Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15798 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15798 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2025
Oggi,
3 PPR. 2025
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nata a Brescia il 2 agosto 1980;
FLIIIZIONAR
NOME
avverso la sentenza n. 829/2024 della Corte di appello di Brescia del 10 m gg 2024;
SENTENZA
,I ARTO
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore gen Dott., NOME COGNOME il quale ha concluso chiedendo la dichiarazione d inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Brescia ha, con sentenza pronunziata in data 10 maggio 2024, riformato – riconoscendo in favore della imputata le circostanze attenuanti generiche, rimodulando in conformità al minimo edittale la pena pase inflitta alla imputata e modìficando, in ossequio alla sentenza della Corte costituzionale n. 28 del 2022, il criterio di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria – la sentenza, emessa in data 23 novembre 2022, con la quale, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, il Gup del Tribunale di Brescia aveva dichiarato NOME responsabile del delitto a lei ascritto, avente ad oggetto la violazione dell’art. 2 del dlgs n. del 2000, per avere la medesima, nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE al fine di evadere le imposte, indicato nella dichiarazione fiscale relativa all’anno di imposta 2013, elementi passivi fittizi, documentati attraverso fatture relative ad operazioni inesistenti, e la aveva, pertant condannata, riconosciuta in suo favore l’attenuante di cui all’art. 13 -bis del dlgs n. 74 del 2000, alla pena di mesi 8 di reclusione, convertita nella pena pecuniaria di euri 60.000,00 di multa.
Per effetto delle modifiche apportate alla sentenza emessa in primo grado la Corte cidnea ha diminuita la pena inflitta alla COGNOME, portandola a mesi 4 di reclusione, convertita in quella pecuniaria di euri 9.000,00 di multa.
Avverso detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione, tramite i propri difensori di fiducia, la imputata, articolando a tale scopo 4 motivi di impugnazione.
Un primo motivo ha ad oggetto la pretesa manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata per avere ritenuto la Corte di appello che il giudizio di carattere logico deduttivo non costituisca un accertamento presuntivo della responsabilità penale.
Un secondo motivo di impugnazione riguarda la inosservanza o l’erronea applicazione delle disposizioni legislative in materia di apprezzamento probatorio, essendo stato fondato il giudizio di responsabilità della imputata sulle presunzioni, caratteristiche del diritto tributario, utilizzate dalla Agenz delle entrate in occasione della redazione da parte di quella dell’accertamento tributario operato a carico della imputata.
Un terzo motivo di impugnazione ha ad oggetto la denunziata erronea applicazione dell’art. 2, comma 8, del dPR n. 322 del 1998, non essendo stata
data la dovuta rilevanza all’avvenuta presentazione da parte della imputata in data 7 marzo 2018 di una dichiarazione integrativa dei redditi.
Infine, con il quarto motivo di ricorso è stata censurata la sentenza della Corte di Brescia per avere omesso di dichiarare la assoluzione della imputata stante la carenza dell’elemento soggettivo che deve sostenere la condotta ai fini della integrazione del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile e per tale lo stesso deve essere dichiarato.
In ordine al primo motivo di impugnazione si rileva, che, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, il tipo di accertamento tributario che è stato operato nella occasione, e che ha portato alla elevazione a carico della imputata della contestazione penale a suo carico, non è stato assolutamente eseguito attraverso l’utilizzazione di dati di tipo presuntivo.
Premesso che il capo di imputazione in relazione al quale è stato celebrato il processo nei confronti della COGNOME riguarda la violazione dell’art. 2 del dlgs n. 74 del 2000, per avere la stessa indicato, nella dichiarazione dei redditi da lei presentata in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE elementi passivi di reddito documentati con fatture relative ad operazioni inesistenti, si rileva che in sede di merito la mera fittizietà de fatture in questione è stata desunta, con procedimento logico-inferenziale, dalla circostanza obbiettiva secondo la quale la impresa che le aveva emesse era del tutto priva delle capacità operative che le avrebbero permesso di eseguire le prestazioni documentate con le fatture citate.
Non si tratta, pertanto, di un’operazione basata su di una presunzione figura giuridica il cui effetto è quello di sollevare un soggetto, in presenza d un fatto, dall’onere di provarne un altro che dal primo viene fatto discendere (si immagini la cosiddetta presunzione di continuità nel possesso, la quale fa sì che, laddove sia dimostrata la libera disponibilità di un bene da parte di un individuo nei due momenti distali di un segmento temporale, tale circostanza faccia presumere, senza la necessità della relativa prova a carico di chi vi abbia interesse, che il possesso sia stato esercitato per tutta la durata di qu segmento) – ma semplicemente di un’operazione logica che consente di desumere da un dato noto, sulla base di una legge di copertura (che in questo caso è una legge empirica, ma potrebbe anche trattarsi di una legge
scientifica ovvero una regola di comune esperienza), un dato ignoto che, però ne costituisce la immediata conseguenza.
Così come è lecito desumere che la presenza di una ecchimosi corporea sia la conseguenza, in assenza di fattori determinanti una particolare fragilità vascolare del soggetto sul quale essa si è manifestata, di una percossa o comunque di una traumatismo da quello subito, così – senza che ciò comporti il riferimento al diverso istituito della presunzione – è lecito ritenere c laddove un soggetto commerciale non abbia la struttura operativa per eseguire determinate operazioni imprenditoriali, gli eventuali documenti che depongano per la loro realizzazione si riferiscano ad operazioni inesistenti.
Ed è questo il caso, come rilevato dalla Corte territoriale con coerenti argomentazioni, delle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, società priva di qualsivoglia struttura operativa, nei confronti della società commerciale della quale la COGNOME era la legale rappresentante e da questa utilizzate onde abbattere í redditi aziendali in sede di dichiarazione dei redditi.
Venendo al secondo motivo di impugnazione, logicamente collegato al precedente, se ne rileva l’inammissibilità; esso, invero, ha ad oggetto la contestazione, inammissibile in questa sede ove non venga dimostrata la sua manifesta illogicità, della valutazione del compendio probatorio operata dai giudici del merito al fine di accertare la fittizietà delle operazioni sottostanti emissione delle fatture ci cui al capo di imputazione contestato all’imputata.
Come detto, la circostanza, non oggetto di confutazione, che la Overall fosse una mera “scatola vuota” priva di strutture operative, legittima pienamente la inferenza – che come si è rilevato non costituisce il frutto di una presunzione di carattere tributario ma è il portato di un legittimo apprezzamento operato in sede di merito – che le fatture dalla medesima emesse non documentassero alcuna reale operazione commerciale ma fossero solo gli strumenti per consentire, attraverso la indicazione di costi inesistenti a terzi l’abbattimento del reddito imponibile.
Anche il terzo motivo di impugnazione non appare superare il vaglio della manifesta infondatezza; con esso, infatti, la ricorrente difesa intende segnalare l’error juris in cui sarebbe caduto il Collegio bresciano nel non dare rilievo, quale fattore idoneo ad escludere la responsabilità della imputata, al fatto che la stessa, in data 7 marzo 2018, ebbe a presentare una dichiarazione integrativa dei redditi dalla quale erano state espunte le poste passive documentate con le fatture di cui al capo di imputazione; si tratta di
argomento privo di pregio, cui, peraltro, la Corte di appello aveva già dato congrua risposta, osservando che il reato in contestazione è reato istantaneo
che si perfeziona al momento della presentazione della dichiarazione annuale contenente il richiamo alle fatture relativa ad operazioni inesistenti, a null
rilevando l’eventuale presentazione di una successiva dichiarazione integrativa
(in tale senso, infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 4 febbrai
2022, n. 3957, rv 282710; Corte di cassazione, Sezione III penale, 29 maggio
2019, n. 23810, rv 275993; Corte di cassazione Sezione III penale, 31 marzo
2017, n. 16459, rv 269652).
Con riferimento al quarto motivo di doglíanza, afferente alla sussistenza dell’elemento soggettivo, si tratta di dolo specifico, che caratterizza il reato
discorso, si rileva la sua assoluta genericità; infatti, a fonte di motivazione resa in sede di merito, attestante le ragioni in funzione delle quali
la Corte cidnea ha ritenuto sussistere, rigettando un motivo di gravame al riguardo presentato dalla difesa dell’imputata, in capo a costei la volontà di
evadere le imposte, resa manifesta dal complessivo contegno da quella tenuto (la presentazione di una dichiarazione che indicava costi inesistenti in misura pari a circa la metà di quelli dichiarati e la immediata destinazione dell’atto tale modo redatto alla liquidazione delle imposte dovute), la difesa della COGNOME si è limitata ad opporre il comportamento riparatorio dalla stessa tenuto, senza tenere conto degli altri decisivi argomenti esposti nella sentenza impugnata a conforto della direzione della volontà di quella come volta a consentirle un indebito abbattimento dei reddito aziendali con conseguente riduzione del carico tributario da lei dovuto.
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile e, di conseguenza, visto l’art. 616 cod. proc. pen., la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2025
Il Consigliere estensore
COGNOME Il Presidente