Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30369 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30369 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 23/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOMECOGNOME nato ad Aversa il 30-12-1979, COGNOME NOME, nato a Caserta il 01-01-1974, avverso la sentenza del 02-10-2024 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Presidente COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento de l secondo motivo di entrambi i ricorsi ( in punto di riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 3 del d. lgs. n. 74 del 2000), con inammissibilità dei ricorsi nel resto; uditi gli avvocati COGNOME e COGNOME Anna, difensori di fiducia dell’imputato COGNOME che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso; udit o l’ avvocato COGNOME COGNOME , difensore di fiducia dell’imputato COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 2 giugno 2020, il Tribunale di Napoli Nord condannava NOME COGNOME e NOME COGNOME alle pene, rispettivamente, di anni 3 e mesi 6 di reclusione il primo, e di anni 2 e mesi 7 di reclusione il secondo; i predetti imputati, in particolare, venivano ritenuti colpevoli, COGNOME, di tre episodi del reato di cui all’art. 2 del d. lgs. n. 74 del 2000 (capi A, B e C, commessi rispettivamente il 29 settembre 2014, il 23 settembre 2015 e il 27 settembre 2016 in San Cipriano d’Aversa, in qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, mentre COGNOME veniva ritenuto colpevole di tre episodi del reato di cui all’art. 8 del d. lgs. n. 74 del 2000 (capi A, B e C, commessi rispettivamente il 13 settembre 2013, il 31 dicembre 2014 e il 23 settembre 2015, in San Cipriano d’Aversa, in qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, nonché di tre episodi del reato di cui all’art. 2 del d. lgs. n. 74 del 2000 (capi D, E ed F, commessi rispettivamente il 29 settembre 2014, il 23 settembre 2015 e il 27 settembre 2016 in San Cipriano d’Aversa , in qualità di legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE Con la medesima sentenza veniva altresì disposta la confisca del bene immobile sequestrato con ordinanza del 19 maggio 2017 resa dal G.I.P. del Tribunale di Napoli Nord.
Con sentenza del 2 ottobre 2024, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti di COGNOME in ordine al reato ex art. 8 di cui al capo A, perché estinto per prescrizione e, risolta parzialmente la continuazione, riduceva la pena inflittagli ad anni 2 e mesi 4 di reclusione. Con riferimento a COGNOME, i giudici di appello confermavano il giudizio di colpevolezza e revocavano la pena accessoria dell’interdizione temp oranea dai pubblici uffici applicata dal Tribunale.
Avverso la sentenza della Corte di appello partenopea, COGNOME e COGNOME tramite i rispettivi difensori, hanno proposto distinti ricorsi per cassazione.
2.1. COGNOME ha sollevato cinque motivi.
Con il primo, la difesa contesta la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di cui all’art. 2 del d. lgs. n. 74 del 2000, osservando che i giudici di merito hanno perso di vista il tema centrale della verifica dell’esistenza delle operazioni, omettendo di considerare che i lavori di cui alle fatture sono stati eseguiti, come del resto si evince da entrambe le sentenze. Né si è tenuto conto che la coop. RAGIONE_SOCIALE è subappaltante di sola manodopera in favore del gruppo Agnese, che era titolare dei cantieri, dei mezzi e dei materiali e che metteva a disposizione il proprio capocantiere NOME COGNOME per ogni necessità. NOME a sua volta era subappaltante di sola manodopera per effetto di
contratto verbale stipulato con COGNOME e si serviva degli stessi mezzi del gruppo RAGIONE_SOCIALE, ciò in forza di contratti scritti pure richiamati dai giudici di merito. Peraltro, nessuno dei testi ha riferito che i lavori non sono stati eseguiti da Maisto in favore della cooperativa o che fossero inesistenti, in tutto o almeno in parte. Del resto, la RAGIONE_SOCIALE ha assunto ben 14 operai nel periodo 20122014, il che smentisce la tesi che si fosse in presenza di una società cartiera.
Né la Corte territoriale ha fornito risposta all ‘ulteriore tema dedott o nell’atto di appello, ossia l’ estraneità della coop. di COGNOME alle società Savio e altri che hanno avuto rapporti soltanto con RAGIONE_SOCIALE, avendo le fatture riguardato non un manufatto finito, ma la sola attività di manodopera di intonaco, montaggio e smontaggio dei relativi ponteggi, oltre che di assistenza tecnica e altri lavori.
Con il secondo motivo, le critiche difensive concernono la qualificazione giuridica de l delitto di cui all’art. 2 del d. lgs. n. 74 del 2000, evidenziandosi che , una volta riconosciuto che Maisto ha eseguito i lavori in proprio nella qualità di artigiano titolare di partita iva, residuava unicamente la configurabilità dell ‘ ipotesi di sovrafatturazione eventualmente rilevante ai sensi dell’art. 3 del d. lgs. n. 74 del 2000, fattispecie per la quale andava verificata la soglia di punibilità.
Con il terzo motivo, oggetto di doglianza è il trattamento sanzionatorio, eccependosi che, nel ritenere congrua la pena fissata dal primo giudice, la Corte di appello ha ritenuto erroneamente che la pena irrogata all’imputato fosse stata quella di anni 2 di reclusione, mentre in realtà era stata di anni 3 e mesi 6 di reclusione, essendosi in presenza non di un error calami , ma di un error iudicandi destinato a riflettersi sulla corretta applicazione dell’art. 133 cod. pen., tanto più che è stato del tutto ignorato il motivo di appello con cui, punto per punto, era stato specificato l ‘ effettivo importo delle imposte evase, risultato pari a 254.676 euro, ossia a un quarto rispetto alla cifra genericamente indicata nella sentenza di primo grado, in cui si parla erroneamente di un milione di euro di redditi occultati, confondendosi evidentemente il ricavato con il reddito imponibile.
Il quarto motivo è dedicato al diniego delle attenuanti generiche, non avendo la Corte di appello fornito una risposta pertinente alla richiesta difensiva, con cui era stato richiamato il calcolo corretto delle imposte evase al fine di valutare l’entità effettiva della condotta, che avrebbe giustificato la mitigazione della pena.
Il quinto motivo ha ad oggetto la statuizione della confisca per equivalente, rilevandosi che, come esposto nei motivi di appello, la stessa è stata erroneamente disposta, nel senso che dal debito erariale complessivo di 89.557 euro (53.107 euro per iva e 36.450 euro per irpef e irap) andavano detratti 32.000 euro già appresi dal conto corrente, per cui la confisca dell’appartamento risulta sproporzionata, in quanto lo stesso è stato valutato 165.000 euro, essendo stati
pertanto confiscati oltre 100.000 euro in più dell’importo confiscabile, dovendo la confisca per equivalente corrispondere all’esatto valore del risparmio fiscale .
2.2. Maisto ha sollevato tre motivi.
Con il primo, la difesa contesta la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di cui all’art. 8 del d. lgs. n. 74 del 2000, osservando che i giudici di appello si sono limitati a recepire acriticamente la motivazione del primo giudice, peraltro meramente congetturale, omettendo di confrontarsi con i rilievi difensivi volti a rimarcare il fatto che nessuno degli operanti della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate si è recato sul posto per verificare l’effettiva esecuzione dei lavori e la loro entità, non essendo stato verificato se i lavori erano stati eseguiti da COGNOME, in quale quantità e per quale importo. L a corretta applicazione dell’art. 8 del d. lgs. n. 74 del 2000 impone infatti di accertare in concreto se le operazioni sono inesistenti, il che nel caso di specie non è avvenuto, essendo anzi emerso, in senso contrario alla prospettazione accusatoria, che la RAGIONE_SOCIALE ha assunto ben 14 operai nel periodo 2012-2014, il che smentisce la tesi che si fosse in presenza di una società cartiera. Del resto, l’istruttoria ha dimostrato che COGNOME non fa ceva parte della cooperativa e non ha mai chiesto di farne parte, lavorando egli in proprio, per cui sarebbe stato impossibile pagarlo come socio della cooperativa: di qui la necessità di lavorare con partita iva (RAGIONE_SOCIALE) di fatturare i lavori effettuati, che sono esclusivamente quelli che si riferiscono alla sua attività e non a quelli della cooperativa RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo, è stata censurata la conferma del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine al delitto di cui all’art. 2 del d. lgs. n. 74 del 2000, evidenziandosi che la Corte di appello ha omesso di dare risposta alla obiezione difensiva con cui era stato rilevato che, avendo COGNOME provveduto materialmente al confezionamento delle fatture della RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, avendo dunque utilizzato fatture materialmente false, la condotta non era sussumibile nella fattispecie ex art. 2 del d. lgs. n. 74 del 2000, ma in quella di cui all’ art. 3 del d. lgs. n. 74 del 2000, per la quale non è stata raggiunta la soglia di punibilità. Su questo tema la sentenza impugnata sarebbe rimasta silente.
Con il terzo motivo, oggetto di doglianza è il trattamento sanzionatorio, rilevandosi che, nel ritenere congrua la pena fissata dal primo giudice, la Corte di appello ha ritenuto erroneamente che la pena irrogata all’imputato fosse stata quella di anni 2 di reclusione, mentre in realtà è stata di anni 2 e mesi 4 di reclusione, essendosi in presenza non di un error calami , ma di un error iudicandi destinato a riflettersi sulla corretta applicazione dell’art. 133 cod. pen ., tanto più che è stata adoperata una motivazione unica per i due imputati che avevano posizioni evidentemente differenti, fermo restando che nei giudizi aventi ad oggetti
violazioni tributarie la gravità del reato deve essere rapportata soltanto all’imposta evasa, che nel caso di specie non era tale da giustificare una pena così alta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili, perché manifestamente infondati.
Premesso che le censure in punto di responsabilità (primi due motivi di entrambi i ricorsi) sono suscettibili di trattazione unitaria, perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, occorre evidenziare che la conferma del giudizio di colpevolezza degli imputati in ordine ai reati a loro rispettivamente ascritti non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
Ed invero le due conformi sentenze di merito, le cui argomentazioni sono destinate a integrarsi reciprocamente per formare un apparato motivazionale unitario, hanno innanzitutto compiuto un’adeguata ricostruzione dei fatti di causa, richiamand o gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza svolti nei confronti di due società operanti nel settore dell’edilizia, ovvero il gruppo RAGIONE_SOCIALE, di cui era rappresentante legale NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di cui era legale rappresentante NOME COGNOME
Dalle verifiche effettuate e dall’acquisizione dei dati dello spesometro, è emerso che la RAGIONE_SOCIALE, presso la cui sede legale non fu rinvenuto alcun ufficio, effettuava acquisti presso tre ricorrenti fornitori, ossia la RAGIONE_SOCIALE, la ditta COGNOME e la ditta RAGIONE_SOCIALE, essendo tutti e tre i fornitori soggetti evasori totali, che non dichiaravano né versavano nulla all’Erario. Ciò nonostante, risulta che nel 2013 la RAGIONE_SOCIALE ha effettuato acquisti dai predetti fornitori per 318.000 euro, mentre, sempre nello stesso anno la RAGIONE_SOCIALE ha fatturato al Gruppo RAGIONE_SOCIALE, suo unico committente, l’importo di 373.540 euro, pur non disponendo di mezzi e strutture. Dal 2012 al 2015, la RAGIONE_SOCIALE ha dichiarato di aver svolto per il Gruppo RAGIONE_SOCIALE lavori di manodopera e di noleggio furgoni, ma le fatture relative a tali operazioni sono risultate scarne, incomplete e non corredate da contratti di appalto, fermo restando che, per il periodo oggetto dei lavori, la RAGIONE_SOCIALE non aveva personale (a parte, in alcuni periodi, qualche lavoratore per pochi giorni o per pochi mesi) per poter eseguire una mole di lavori che, in circa 5 anni, ammontava a un milione e mezzo di fatturato.
Alla stregua di tali accertamenti, su cui si sono soffermati nel giudizio di primo grado i testi COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME sono stati ritenuti sussistenti i reati di cui agli art. 8 (capi A, B e C ascritti al solo COGNOME) e 2 (capi D, E ed F ascritti a COGNOME e capi A, B e C ascritti a COGNOME) del d. lgs. n. 74 del 2000, reati contestati, rispettivamente, per avere COGNOME emesso, nei periodi di imposta 2013, 2014 e 2015, fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire al Gruppo
Dega di evadere l’imposta sui redditi e l’iva, e per avere entrambi annotato nelle scritture contabili delle rispettive imprese, negli anni 2013, 2014 e 2015, fatture relative a operazioni inesistenti (in particolare le RAGIONE_SOCIALE le fatture emesse nei suoi confronti dalla RAGIONE_SOCIALE e dalle ditte COGNOME e COGNOME RAGIONE_SOCIALE, e il Gruppo RAGIONE_SOCIALE le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE).
Nel confrontarsi con le allegazioni difensive, i giudici di merito hanno osservato come sia del tutto inverosimile che Maisto, senza mezzi propri e con tre soli operai, impiegati per due ore al giorno, sia riuscito a fatturare in proprio in tre anni lavori per oltre un milione di euro, incassando peraltro solo 460.000 euro dal Gruppo Dega, essendo piuttosto significativo che l’operazione immediatamente successiva all’accredito dei vari bonifici di Della Gatta fosse , da parte di Maisto, il prelievo in contan ti o l’emissione di assegno di pari importo, ciò a riprova della natura fittizia dei pagamenti operati dal RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE
Quest’ultima compagine, come si evince anche dalla denominazione, che conservava le iniziali del cognome di COGNOME, rappresentava in definitiva un ente creato appositamente da quest’ultimo al fine realizzare, con la complicità di COGNOME, suo operaio di fiducia con mansioni di capocantiere nel RAGIONE_SOCIALE, una sorta di scudo utilizzato per abbattere il reddito del Gruppo RAGIONE_SOCIALE, derivante dalle lavorazioni svolte per la società appaltante RAGIONE_SOCIALE. Dunque, come sottolineato sia dal Tribunale (pag. 24-26 della decisione di primo grado) che dalla Corte di appello (pag. 9 della sentenza impugnata), le prestazioni lavorative rese da RAGIONE_SOCIALE e dai suoi collaboratori erano prive di autonomia, in quanto interne alle lavorazioni del Gruppo Deca, costituendo l’apparente esternalizzazione dei lavori un espediente per aumentare il volume dei costi deducibili, duplicando l’ammontate delle poste passive di bilancio correlate al costo del lavoro, atteso che i dipendenti di Maisto coincidevano in buona parte con quelli di COGNOME.
1.1. Da ciò discende anche la correttezza della qualificazione giuridica dei fatti ai sensi dell’art. 2 del d. lgs. n. 74 del 2000 , dovendosi richiamare in proposito l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 1998 del 15/11/2019, dep. 2020, Rv. 278378, Sez. 3, n. 4236 del 18/10/2018, dep. 2019, Rv. 275692 e Sez. 3, n. 30874 del 02/03/2018, Rv. 273728), secondo cui il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti sussiste sia nell ‘ ipotesi di inesistenza oggettiva dell ‘ operazione, cioè quando non sia stata posta mai in essere nella realtà, sia in quella di inesistenza soggettiva, ossia quando l ‘ operazione vi sia stata ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura, sia infine nel caso di sovrafatturazione qualitativa, nel quale la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti, in quanto oggetto di repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale.
1.2. Orbene, in quanto preceduto da una disamina razionale delle fonti dimostrative disponibili, correttamente intese nel loro reale significato, e fondato su argomentazioni non illogiche, il giudizio sulla sussistenza e sull’ascrivibilità agli imputati delle condotte illecite a loro contestate resiste alle censure difensive, che, pur dietro l’apparente denuncia (anche) della violazione di legge, si articolano nella sostanziale proposta di una lettura alternativa e invero frammentaria del materiale istruttorio, operazione non consentita in questa sede, dovendosi ribadire (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Al riguardo deve infatti ricordarsi che, come precisato da questa Corte (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, Rv. 281647 -04 e Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Rv. 270519), il principio dell’ ‘ oltre ragionevole dubbio “, introdotto nell’art. 533 cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, non ha mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, che non può essere utilizzato per valorizzare e rendere decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità, come avvenuto nel caso di specie, sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello, giacché la Corte è chiamata a un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito.
Di qui la manifesta infondatezza delle censure in punto di responsabilità.
Residuano le censure in punto di trattamento sanzionatorio e di confisca, che anch’esse si connotano come manifestamente infondate .
2.1. In ordine al primo aspetto, oggetto del terzo motivo del ricorso di COGNOME e del terzo e quarto motivo del ricorso di COGNOME, occorre innanzitutto evidenziare che la frase, contenuta a pag. 10 della sentenza impugnata, ‘è pari ad anni 2 di reclusione’ , letta nel contesto del periodo in cui è inserita, costituisce chiaramente un mero refuso, dovendosi rilevare che, a pagina 2 della medesima sentenza, la Corte territoriale ha dato prova di avere ben chiara l’entità della pena irrogata dal primo giudice, come del resto si desume anche dal fatto che, nel rideterminare la pena irrogata a Maisto per effetto della declaratoria di estinzione per prescrizione del reato ascrittogli al capo A, i giudici di appello hanno eliminato
il corrispondente aumento di pena a titolo di continuazione, esattamente nella misura indicata nella sentenza del Tribunale, ossia 3 mesi di reclusione.
Tanto premesso, non appaiono illegittimi né il diniego delle attenuanti generiche in favore di COGNOME nè la conferma della determinazione della pena operata per entrambi gli imputati dal giudice di primo grado, stante il pertinente e non illogico richiamo della decisione impugnata alla particolare callidità del sistema illecito creato dagli imputati e alla gravità del fatto, per come rivelata dalla rilevanza del danno cagionato agli imputati, non potendosi in ogni caso sottacere che, per entrambi gli imputati, la pena è stata fissata in misura prossima più al minimo che al massimo edittale e che gli aumenti operati a titolo di continuazione sono risultati contenuti (essendo stati fissati in misura non superiore a un sesto) .
2.2. Infine, rispetto alla statuizione della confisca (censurata con il quinto motivo del ricorso di COGNOME), parimenti non si ravvisa alcuna criticità.
La Corte di appello, al riguardo, ha osservato (pag. 10 e 11 della sentenza gravata) che, pur a volere prendere per buona la stima dell’ammontare dell’imposta evasa sostenuta dalla difesa (pari a 89.557 euro), vi sarebbe comunque una differenza a debito, essendovi in atti solo un verbale, risalente al 12 maggio 2017, di sequestro di somme giacenti sul conto della cooperativa RAGIONE_SOCIALE , per l’importo di 32.000 euro, da ciò conseguendo che, al fine di colmare la differenza mancante, doveva ritenersi legittima la confisca anche dell’appartamento sito in Riccò del Golfo di Spezia, tanto più che, come ben evidenziato dal Tribunale (cfr. pag. 30 della sentenza di primo grado), tale immobile, sebbene formalmente intestato alla moglie di NOME COGNOME, NOME COGNOME, è risultato in realtà riconducibile all’imputato, che lo ha acquistato (attraverso un bonifico da lui effettuato con causale ‘acquisto immobile’) dalla società NOME COGNOME con cui COGNOME aveva privilegiati rapporti lavorativi, e in un’area geografica, la Provincia di La Spezia, in cui egli svolgeva lavori per la società venditrice.
Sul punto deve solo aggiungersi che le questioni relative all’eventuale sproporzione tra il valore dei beni sequestrati e confiscati e i l reale ammontare dell’imposta evasa (ossia del profitto del reato) restano demandate alla fase esecutiva.
3 . Alla stregua delle considerazioni svolte, i ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME e COGNOME devono essere dichiarati quindi inammissibili, con onere per i ricorrenti, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Resta solo da precisare che, al momento dell’emissione della sentenza impugnata (2 ottobre 2024), non era maturata la prescrizione in relazione ai residui reati per i quali è stato confermato il giudizio di colpevolezza, tenuto conto della sospensione intervenuta dal 20 marzo al 2 ottobre 2024 per l’ adesione delle difese all’astensione delle udienze, maturando i relativi termini, per i reati più risalenti, ossia quelli commessi il 29 settembre 2014 (capo A, ascritto a COGNOME, e capo D, ascritto a Maisto), alla data del l’11 aprile 2025. Né rileva la circostanza che la prescrizione sia intervenuta per tali reati in epoca successiva alla emissione della sentenza impugnata, essendo la declaratoria di estinzione del reato comunque impedita dal rilievo della manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, non consentendo l’inammissibilità originaria dei ricorsi per cassazione la valida instaurazione dell’ulteriore fase di impugnazione ( cfr. in termini, ex multis , Sez. 7, n. 6935 del 17/04/2015, dep. 2016, Rv. 266172).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23.06.2025