Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9201 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9201 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MANTOVA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/05/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, trattato cartolarmente ai sensi dell’art. 23, comma 8, di. n. 137 del 2020 e successive modd. ed integrazioni;
letta la nota del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, pervenuta telennaticamente in data 30 novembre 2023.
Depositata in Cancelleria
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23 maggio 2023, la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del 2 marzo 2022 del Tribunale di Mantova, appellata da COGNOME NOME, rideterminava la pena al medesimo inflitta in 2 anni e 3 mesi di reclusione, confermando nel resto l’appellata sentenza che lo aveva riconosciuto colpevole del reato di omesso versamento IVA in relazione al periodo di imposta 2012, per un ammontare superiore ai limiti di legge, nonché per il delitto di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, fatti contestati come commessi secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nelle relative imputazioni.
Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, il predetto propone ricorso per cassazione tramite il difensore, deducendo cinque motivi, di seguito sommariamente indicati.
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge ex art. 2, d. Igs. n. 74 del 2000 per insussistenza del reato di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, atteso il difetto dell’elemento psicologico del reato.
In sintesi, si duole la difesa per essere stato ritenuto provato il dolo del delitto contestato in assenza di elementi a sostegno. I giudici territoriali avrebbero ritenuto sussistente la responsabilità dell’imputato sulla base di tre elementi (non sarebbe stato rintracciato alcun documento né restituzione delle somme versate relative alle fatture incriminate; non vi sarebbe la presenza di un contratto; l’imputato, dopo la cessione delle quote della società RAGIONE_SOCIALE, avrebbe continuato a disporre della carta di credito). Diversamente, si sostiene, sarebbe emerso che: a) la società RAGIONE_SOCIALE avrebbe emesso 5 fatture nei confronti della RAGIONE_SOCIALE tutte pagate da quest’ultima, ma solo 4 su 5 sarebbero state ritenute inesistenti perché in ordine alla prima’ la n. 37, è stato reperito il DDT d consegna degli animali, e quindi non è chiaro per quale motivo il presunto disegno criminoso attuata dal ricorrete avrebbe dovuto escludere la fattura n. 37; b) non risponderebbe al vero che dopo la cessione delle quote, il COGNOME avrebbe continuato a disporre della carta di credito della società, né sarebbe stata fornita alcuna prova a sostegno di quanto sopra, non chiarendo le movimentazioni della carta di credito allegate al PVC chi abbia utilizzato la carta né possono essere attribuite al COGNOME, circostanza che sarebbe avvalorata da una sentenza della CTP di Mantova depositata in atti; c) agli atti del giudizio sarebbe stato prodotto l’atto notar cessione delle quote, e la teste COGNOME avrebbe confermato che il cessionario era
contento di acquistare la società che avrebbe portato avanti con i suoi progetti; d) sarebbe stata prodotta in atti anche una lettera di un legale con cui si chiedeva la restituzione delle somme. Non vi sarebbero pertanto elementi per ritenere le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE inesistenti, e dunque configurato il dolo di evasione, avendo anzi il COGNOME proceduto al pagamento delle fatture nella convinzione di ricevere la fornitura richiesta, che sarebbe però avvenuta solo per la prima fattura, la n. 37.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di motivazione sotto il profilo della manifesta illogicità per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente il delitt di cui all’art. 2, d. Igs. n. 74 del 2000 sulla base di mere presunzioni tributarie.
In sintesi, premessa la giurisprudenza di questa Corte, la difesa si duole sostenendo che i giudici territoriali avrebbero ritenuto configurabile il reato di ut lizzazione di fatture per operazioni inesistenti esclusivamente sulla base della presunzione tributaria per cui le fatture sono false solo perché alle stesse non corrisponde la consegna degli animali e, quindi, l’emissione del DDT, dimenticando invece che tali fatture sono state pagate e registrate nella convinzione di ricevere le forniture, non potendo il COGNOME immaginare la mancata consegna degli animali dopo che la prima fattura era stata regolarmente eseguita.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di motivazione sotto il profilo della sua mancanza in ordine al terzo motivo di appello, con cui era stata contestata la mancanza di motivazione della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto sussistente la recidiva infraquinquennale e specifica.
In sintesi, la difesa, riprodotto il motivo di appello e richiamata la giurispru denza di legittimità, si duole per aver il Tribunale di Mantova applicato la recidiva specifica ed infraquinquennale sulla base dei meri precedenti penali ritenendoli espressivi di una maggiore pericolosità dell’imputato, senza fornire adeguata motivazione in ordine alla maggiore pericolosità del reo e della più accentuata colpevolezza per il fatto.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’applicazione della recidiva.
In sintesi, si duole la difesa del ricorrente per aver ritenuto applicabile la Corte d’appello la recidiva reiterata e la continuazione, rideterminando la pena in 2 anni e 3 mesi di reclusione. Richiamata sul punto la giurisprudenza di questa Corte, la difesa sostiene che la recidiva applicata non è reiterata e non è quindi
previsto come obbligatorio che l’aumento della continuazione sia di 1/3, con conseguente necessità di rideterminazione della pena e contenimento della stessa nel minimo edittale anche in termini di aumento ex art. 81 cpv, c.p.
2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 10-ter, d. Igs. n. 74 del 2000, attesa l’insussistenza del reato di omesso versamento IVA, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.
In sintesi, si duole la difesa per aver ritenuto la Corte d’appello configurabile il predetto delitto sulla base di mere presunzioni tributarie e per non essere stati svolti quegli accertamenti fattuali che avrebbero condotto a verificare che la soc. RAGIONE_SOCIALE si trovava in forte crisi aziendale, tale non riuscire a versare VIVA dovuta, derivata anche dalla circostanza di aver versato le somme di cui alle fatture contestate emesse dalla “RAGIONE_SOCIALE” senza ricevere alcuna fornitura.
Il Procuratore AVV_NOTAIO presso questa Corte, con requisitoria scritta del 2 dicembre 2023, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Il PG premette che la sentenza impugnata è integralmente confermativa di quella di prime cure in ordine alla ritenuta sussistenza della penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati di cui ai capi a) e c) della rubrica. La doppia con formità delle decisioni di condanna ha decisivo rilievo con riguardo ai limiti di deducibilità in cassazione del vizio di travisamento della prova. Sul punto si richiama il consolidato orientamento della Corte di cassazione, anche recentemente ribadito (si veda Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018 Ud., dep. 05/02/2018, rv. 272018, che ha stabilito che “Il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gra vame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti”. Recentemente la Corte di cassazione (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019 Ud., dep. 26/11/2019, rv. 277758). Fatte queste premesse, il PG ritiene che la Corte abbia offerto ampia motivazione in ordine al giudizio di responsabilità dell’imputato anche in ragione delle criticità sollevate dalla difesa dell’imputato, alle quali si fornisce adeguata risposta, e nproposte integralmente in questa sede, con la conseguenza che deve escludersi che “entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento di risultanze probatorie
acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti”. Nella sentenza si esaminano compiutamente le censure difensive, con riferimento ai reati di cui agli artt. 2 e 10 ter d.lgs. 74/2000, riproposte in quest sede, e ritenute infondate alla luce delle risultanze probatorie in atti, in relazione alle quali le considerazioni difensive sono del tutto generiche, non confrontandosi con il percorso argomentativo delle Corti di merito. Anche con riferimento alle censure relative alla recidiva la motivazione della sentenza impugnata risulta del tutto adeguata alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione richiamata. La sentenza impugnata non presenta, pertanto motivi di illegittimità censurabili in questa sede, con la conseguenza che il ricorso, palesemente infondato, dovrebbe essere dichiarato inammissibile.
Con istanza depositata telematicamente in data 30/11/2023, l’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente, ha chiesto alla cancelleria di questa Sezione di conoscere se per il processo in esame è stata fissata l’udienza pubblica con la partecipazione in presenza del difensore o se sia necessario depositare apposita istanza in tal senso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, trattato cartolarmente ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020 e successive modifiche ed integrazioni, è inammissibile.
Va premesso che, in relazione all’istanza pervenuta dal difensore, il rito applicabile è quello stabilito dall’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 (recante “Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”), conv. con modd. in I. 18 dicembre 2020, n. 176, il quale così dispone “8. Per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione a norma degli articoli 127 e 614 del codice di procedura’ penale la Corte di cassazione procede in Camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle altre parti, salvo che una delle parti private o il procuratore generale faccia richiesta di discussione orale. Entro il quindicesimo giorno precedente l’udienza, il procuratore generale formula le sue richieste con atto spedito alla cancelleria della Corte a mezzo di posta elettronica certificata. La cancelleria provvede immediatamente a inviare, con lo stesso mezzo, l’atto contenente le richieste ai
difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l’udienza, possono presentare con atto scritto, inviato alla cancelleria della corte a mezzo di posta elettronica certificata, le conclusioni. Alla deliberazione si procede con le modalità di cui al comma 9; non si applica l’articolo 615, comma 3, del codice di procedura penale e il dispositivo è comunicato alle parti. La richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal procuratore generale o dal difensore abilitato a norma dell’articolo 613 del codice di procedura penale entro il termine perentorio di venticinque giorni liberi prima dell’udienza e presentata, a mezzo di posta elettronica certificata, alla cancelleria (omissis)”.
Dunque, sino al 30 giugno 2024, il rito previsto ex lege è quello cartolare, salva richiesta di trattazione orale da proporsi nel richiamato termine di decadenza. Non avendo, dunque, la difesa provveduto ad inoltrare tempestivamente detta richiesta, correttamente il giudizio si è svolto secondo il rito cartolare v gente.
Detta disciplina emergenziale, come è noto, è stata prorogata a più riprese, ed è attualmente in vigore sino alla data del 30 giugno 2024, per effetto dell’art. 11, comma 7, del D.L. 30 dicembre 2023, n. 215 (recante “Disposizioni urgenti in materia di termini normativi”), pubblicato nella Gazz. Uff. 30 dicembre 2023, n. 303, a tenore del quale “Il termine di cui all’articolo 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, in materia di giudizi di impugnazione, è prorogato al 30 giugno 2024”. In particolare, è proprio l’art. 94, comma 2, del citato d.lgs. n. 150 del 2022 (attuativo della c.d. riforma Cartabia) a prevedere “Per le impugnazioni proposte sino al quindicesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 31 dicembre 2023 (oggi, come detto, 30 giugno 2024, n.d.r.), di cui ai commi 1 e 3 dell’articolo 87, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui agli articoli 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, e 23bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, i. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176. Se sono proposte ulteriori impugnazioni avverso il medesimo provvedimento dopo la scadenza dei termini indicati al primo periodo, si fa riferimento all’atto di impugnazione proposto per primo”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tanto premesso, e venendo ad esaminare i motivi di ricorso, il primo ed il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente attesa l’intima connessione dei profili di doglianza mossi, sono inammissibili.
3.1. Sono anzitutto generici per aspecificità perché non si confrontano con la motivazione resa sul punto dall’impugnata sentenza che, alle pagg. 7/8, fornisce
adeguata, puntuale e soprattutto logica risposta alle identiche doglianze del ricorrente, riproposte senza alcun apprezzabile elemento di novità critica dinanzi a questa Corte di legittimità.
Ed infatti, i giudici di appello evidenziano come la tesi difensiva volta a far ritenere insussistente il reato di cui all’art. 2 D.Igs. n. 74/2000 si fonda su argo mentazioni non persuasive e comunque recessive a fronte degli eloquenti elementi probatori correttamente evidenziati dal primo giudice, siccome idonei a dimostrare la natura fittizia di alcune fatture del 2012, di cui all’imputazione, emesse dalla RAGIONE_SOCIALE e utilizzate dal COGNOME quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE L’allora appellante, invero, nel censurare il fatto che il primo giudice avrebbe valorizzato mere presunzioni tributarie, si legge in sentenza, non tiene in debito conto la circostanza che, con riferimento a tali fatture, non sia stato rintracciato alcun documento di trasporto, né, pur dopo il pagamento del prezzo senza ricevere i bovini compravenduti, alcuna restituzione delle somme asseritamente versate (si richiama sul punto la deposizione resa dal teste COGNOME NOME, verb. ud. 24.6.2019, pagg. 7 e 9). E ciò, nonostante che il totale dell’importo fatturato superasse l’ammontare di un milione e mezzo di euro. Tanto meno, ancorché il valore economico della compravendita fosse così elevato, risulta l’esistenza di un contratto o comunque di una nota di credito emessa a variazione dell’operazione commerciale (a tal proposito, si richiama quanto riferito dal teste ‘anni Daniele, verb. ud. 30.9.2019, pag. 9). L’obiezione dell’allora appellante, reiterata anche in sede di giudizio di legittimità, finalizzata a dimostrare che la RAGIONE_SOCIALE si sarebb attivata per chiedere la restituzione della somma pagata, si evidenzia in sentenza essere stata affidata ad un documento a tal fine ritenuto, con argomentazione del tutto logica, palesemente insufficiente, dal momento che esso è costituito da una lettera inviata il 24.3.2014, dopo che l’RAGIONE_SOCIALE aveva ricevuto il verbale accertamento da parte della Guardia di Finanza, Direzione Regionale della Lombardia. È sin troppo evidente per i giudici d’appello, la cui conclusione logica non è sul punto censurabile, la strumentalità di questa missiva, in quanto ben successiva alla verifica fiscale eseguita dai finanzieri a carico della società amministrata dall’imputato. Quanto poi alla circostanza, evocata dalla difesa, e replicata ancora una volta davanti a questa Corte, che per una fattura (la n. 37) vi fosse il documento di trasporto, trattasi per i giudici di appello di argomento che “prova troppo”, dal momento che ciò non può scalfire la dimostrazione dell’inesistenza oggettiva – quanto meno – delle prestazioni indicate nelle altre fatture. Considerazione, sul punto, certo non manifestamente illogica. Né convinc:e la Corte territoriale la tesi dell’allora appellante diretta a dubitare del fatto che il COGNOME, mediant la fraudolenta copertura costituita da tali fittizie fatture, avrebbe trasferito inge Corte di Cassazione – copia non ufficiale
somme di denaro a NOME (nuovo proprietario della RAGIONE_SOCIALE) senza alcun tornaconto economico. Ancora una voltai, sottolineano i giudici territoriali, la difesa valuta in modo parcellizzato il materiale probatorio acquisito all’esito del dibattimento di primo grado, omettendo di considerare che la stessa società cedente le fatture (la RAGIONE_SOCIALE) era stata costituita dal COGNOME, da lui poi dap prima ceduta a COGNOME NOME – ovvero alla donna con la quale l’imputato ebbe una relazione e un figlio (NOME, verb. ud. 12.2.2020, pag. 5) – e indi da questa a NOME COGNOME, il quale aveva trasferito la sede legale in Romania. Orbene, osservano del tutto logicamente i giudici di appello, la successione di tali eventi ed il fatto che proprio nel 2012 (il 6.8.2012), subito dopo l’emissione di quelle fatture, fosse stato nominato nuovo amministratore della RAGIONE_SOCIALE, inducono a ritenere apparente il ruolo di quest’ultimo nella vicenda. D’altronde, evidenzia ancora la Corte territoriale, l’appellante trascura pure di considerare che NOME COGNOME non ebbe mai la disponibilità dei conti correnti bancari della società (verb. di accertamento, ff. 9 e 10) e, in particolare, che l’imputato, pur dopo la cessione delle quote, aveva continuato a disporre della carta di credito della RAGIONE_SOCIALE (si rinvia alle dichiarazioni rese dal teste COGNOME NOME, verb. 24.6.2019, pag. 9).
3.2. Al cospetto di tale apparato argomentativo le doglianze del ricorrente appaiono manifestamente infondate, in quanto si risolvono ancora una volta nel “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, atti gendo la sentenza impugnata e tacciandola per un presunto vizio motivazionale di cui al terzo motivo, con cui, in realtà, si propongono doglianze non suscettibili di sindacato da parte di questa Corte.
Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dall Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – deo. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
3.3. Nondimeno, le doglianze del ricorrente appaiono manifestamente infondate, in quanto si risolvono nel “dissenso” sulla ricostruzione dei fatti e sulla valutazione delle emergenze processuali svolta dai giudici di merito, operazione vietata in sede di legittimità, attingendo la sentenza impugnata e tacciandola per
un presunto vizio di violazione di legge, con cui, in realtà, si propongono doglianze non suscettibili di sindacato da parte di questa Corte. Deve, sul punto, ribadirsi infatti che il controllo di legittimità operato dalla Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v., tra le tante: Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999 – dep. 31/01/2000, Moro, Rv. 215745).
Anche il terzo motivo è inammissibile per le stesse ragioni già esposte a proposito dei primi due motivi.
Ed invero, la sentenza motiva sul punto in maniera del tutto adeguata e scevra da illogicità manifeste. In particolare, si legge in sentenza come non potesse essere ritenuta fondata la doglianza relativa all’applicazione della contestata recidiva.
La Corte d’appello mostra di condividere il maggioritario orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale “ai fini della rilevazione della recidiva intesa quale elemento sintomatico di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le p cedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato ‘sub iudice” (il riferimento, in sentenza, è a Cass. 10 luglio 2017 n. 33299; giurisprudenza, questa, assolutamente costante, si v. da ultimo: Sez. 2, n. 10988 del 07/12/2022, dep. 2023, Rv. 284425 – 01).
Nel caso di specie, rileva la Corte d’appello, l’imputato ha riportato condanne nel 2009 e 2011 per omesso versamento dell’IVA e bancarotta semplice. Esse, evidentemente, sottolinea la Corte territoriale, sono state prive di effetto deterrente ed evidenziano come il COGNOME abbia seguitato a delinquere in un crescendo criminale comprovante la maggiore riprovevolezza di queste nuove plurime violazioni, siccome concernenti gli artt. 2 e 10-ter D.Igs. n. 74/2000, nonché conseguentemente la maggiore pericolosità sociale del loro autore, che giustificano l’aumento di pena. Nondimeno tale aumento è stato ritenuto dalla Corte d’appello non potesse essere superiore a mesi 6, pari alla somma delle pene irrogate con i
due precedenti penali, così accogliendosi sul punto il relativo motivo d’impugnazione.
La motivazione fornita dai giudici territoriali risulta, dunque, assolutamente rispondente ai canoni esegetici individuati dalle Sezioni Unite di questa Corte che, in punto di motivazione sull’applicazione della recidiva, hanno chiarito come la recidiva, operando come circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole, va obbligatoriamente contestata dal pubblico ministero, in ossequio al principio del contraddittorio, ma può non essere ritenuta configurabile dal giudice, a meno che non si tratti dell’ipotesi di recidiva reiterata prevista dall’art. 99, comma quinto, cod. pen., nel qual caso va anche obbligatoriamente applicata, specificando come, in presenza di contestazione della recidiva a norma di uno dei primi quattro commi dell’art. 99 cod. pen., è compito del giudice quello di verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali (V. Corte cost., 14 giugno 2007 n. 192; 14 giugno 2007 n. 198; 30 novembre 2007 n. 409; 21 febbraio 2008 n. 33; 4 aprile 2008 n. 90; 4 aprile 2008 n. 91; 6 giugno 2008 n. 193; 10 luglio 2008 n. 257; 29 maggio 2009 n. 171; Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010, Calibè, Rv. 247838 – 01).
5. Il quarto motivo è inammissibile perché generico per aspecificità.
Sul punto, infatti, la Corte d’appello aveva già risposto osservando come, contrariamente a quanto eccepito dall’allora appellante, l’aumento per la continuazione non risultava applicato dal primo giudice in misura di un terzo della pena base, ma in appena mesi 3 di reclusione. La pena è stata pertanto rideterminata in anni 2 e mesi 3 di reclusione secondo il seguente, corretto, calcolo: pena base anni 1 e mesi 6 di reclusione, aumentata per la recidiva ad anni 2 di reclusione, ulteriormente aumentata per la continuazione ad anni 2 e mesi 3 di reclusione.
6. Infine, anche l’ultimo motivo è inammissibile.
A pag. 8 dell’impugnata sentenza, la Corte d’appello fornisce risposta all’identica doglianza, ancora una volta replicata senza alcun apprezzabile elemento di novità critica dinanzi a questa Corte di legittimità, osservando come parimenti infondato si appalesava il (reiterato) motivo d’impugnazione concernente
la sussistenza del reato di cui all’art. 10-ter D.Igs. n. 74/2000 (con cui viene lamentata la mancanza di indagini a riscontro degli accertamenti tributari), laddove si consideri che l’omesso versamento dell’IVA è risultato incontrovertibilmente provato.
Non va del resto dimenticato che già il primo giudice aveva evidenziato come l’imputato non aveva provveduto a regolarizzare VIVA dichiarata in relazione all’annualità 2012, per un importo superiore a 659 mila euro, come risultante anche dal mod. IVA NUMERO_DOCUMENTO prodotto dal PM. La Corte d’appello, del resto, aggiunge come la teste COGNOME NOME aveva riferito che sul punto non vi è stata alcuna contestazione, né pagamento, a fronte dell’iscrizione a ruolo conseguente all’irregolarità comunicata (verb. ud. 24.6.2019, pag. 5).
Le censure svolte in sede di legittimità dunque appaiono puramente contestative, in quanto tali espongono il fianco al giudizio di inammissibilità, dovendosi sul punto ribadire che in tema di reato di omesso versamento dell’IVA, la colpevolezza del contribuente non è esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l’omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell’IVA per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l’emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo (tra le tante: Sez. 3, n. 23796 del 21/03/2019, Rv. 275967 – 01).
Oneri probatori, nella specie, non assolti minimamente dalla difesa del ricorrente.
Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle ammende, non potendosi escludere profili di colpa nella sua proposizione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 9 gennaio 2024
Il Cons liere stensore