Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 28547 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 28547 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a Vibo Valentia il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza n. 3739 della Corte di appello di Torino 4 luglio 2024;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
sentito il PM, in persona del AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
lette, altresì, le conclusioni scritte rassegnate per la ricorrente dagli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, entrambi del foro di Torino, che hanno insistito per raccoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Torino, con sentenza pronunziata in data 4 luglio 2024, ha integralmente confermato la sentenza con la quale, il precedente 13 dicembre 2022, il Tribunale della medesima città aveva dichiarato COGNOME NOME colpevole del reato di cui all’art. 2 del dlgs n. 74 del 2000, per avere in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, in relazione agli anni di imposta 2014 e 2015, indicato, nelle relative dichiarazioni fiscali, elementi passivi di reddito fittizi in quanto documentati da fatture riferite ad operazioni in tutto od in parte inesistenti, e la aveva, pertanto, condannata, ritenuta la continuazione fra le diverse condotte contestate e riconosciute le circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni 1 e mesi 3 di reclusione, oltre accessori, con la concessione dei doppi benefici.
Avverso la sentenza della Corte di merito ha interposto ricorso per cassazione la difesa fiduciaria della RAGIONE_SOCIALE, affidando le proprie doglianze a due motivi di ricorso.
Con un primo motivo la ricorrente si è doluta del fatto che i giudici del merito abbiano, dapprima, dichiarato e, quindi, confermato la sua penale responsabilità senza che siano stati raggiunti elementi adeguatamente dimostrativi della sua colpevolezza.
Il secondo motivo di impugnazione attiene alla ritenuta violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice del gravame nell’escludere la applicabilità al caso presente della causa di non punibilità di cui all’art. 131-b cod. pen., sebbene non fosse riscontrabile nel comportamento della COGNOME alcuna abitualità.
In data 4 marzo 2025 la difesa della ricorrente ha rassegnato una memoria contenente le proprie conclusioni scritte volte a confermare la fondatezza del ricorso precedentemente presentato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato e, pertanto, lo stesso deve essere rigettato.
Quanto al primo motivo di impugnazione rileva il Collegio che la Corte territoriale ha articolato il suo giudizio sulla base di una serie di elementi fatto che appaiono ben delineati nella loro rilevanza decisiva nella sentenza censurata; in particolare la Corte subalpina ha osservato che l’oggetto della prestazione che sarebbe stata fornita da tale COGNOME NOME in favore della
impresa gestita dalla COGNOME risulta descritto nelle due fatture di cui al capo di imputazione in termini del tutto vaghi e generici, tali, quindi, da renderne sostanzialmente inverificabile la effettiva esecuzione; ha altresì osservato che la stessa COGNOME ha dichiarato che le predette fatture, sebbene i relativi importi erano stati da costei inseriti nelle relati dichiarazioni fiscali fra le passività relative agli anni di imposta 2014 e 2015, non erano state dalla medesima pagate, circostanza questa che rende pienamente legittima la inferenza operata dalla Corte territoriale – la quale ha ritenuto essere la emissione delle fatture il frutto delle opache relazioni commerciali esistenti fra il COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE – secondo la quale solo la esistenza di un preventivo accordo fraudolento intercorrente fra tali parti avrebbe potuto giustificare, a distanza di quasi un anno dalla prima fattura non onorata, l’emissione di una seconda fattura, riguardante, peraltro, prestazioni che sarebbero state eseguite dopo che la prima fattura non era stata pagata dalla COGNOME.
Non trascurabile è, infine, sotto il profilo della compiutezza della motivazione, la circostanza, evidenziata in sede di merito, che la imputata non abbia fornito alcuna prova dell’avvenuto svolgimento da parte del Pia delle prestazioni genericamente documentate con la ricordate fatture; né, si rileva, una tale affermazione della Corte territoriale si risolve nella inversione dell’onere probatorio riguardante l’avvenuta realizzazione del fatto costituente reato ordinariamente gravante sull’organo del pubblico ministero.
Nel nostro ordinamento, invero, l’accertamento dei fatti è ricavabile anche attraverso elementi di carattere indiziario, laddove questi siano gravi, precisi e concordanti; è di tutta evidenza che, una volta verificata la esistenza di siffatti elementi indiziari, compete a chi voglia contrastare la valenza dimostrativa di un determinato fatto, logicamente desumibile dal contenuto di tali elementi indiziari, fornire altri, diversi, elementi atti a confutare la effic epistemica dei primi.
Un siffatto procedimento logico non costituisce l’espressione di un’inammissibile inversione dell’onere della prova, ma risponde alle basilari regole della dialettica processuale secondo le quali che:intenda destrutturare il ragionamento indiziario che ha condotto alla affermazione della penale responsabilità del soggetto è tenuto a fornire gli elementi che privano di significato sintomatico i dati, invece, valorizzati in occasione della valutazione indiziaria.
Nel caso in esame un tale effetto di scardinamento del ragionamento operato in sede di merito lo avrebbe avuto, appunto, la dimostrazione delle effettività delle prestazioni documentate con le fatture di cui al capo di imputazione e che, in sede indiziaria, i giudici del merito hanno, invece, ritenuto mai realizzate sulla base dei dati, plausibilmente in tale senso deponenti, dianzi illustrati.
Il fatto che la ricorrente si sia sottratta a tale incombente o, quant meno, non lo abbia efficacemente portato a termine non comporta la inversione dell’onere probatorio, ma lascia intatta la forza dimostrativa degli indizi valorizzata nella sentenza della Corte territoriale subalpina.
Poco rileva ai fini della tenuta logica della motivazione della sentenza impugnata il fatto che la Corte di Torino abbia, in via meramente ipotetica, prospettato anche il caso (invero poco credibile ove si rifletta sul dato dichiarato dal Pia e militante per la esistenza di un preventivo accordo fra i questo e la imputata, secondo il quale egli avrebbe indicato nella propria contabilità gli importi riportati nelle due fatture in questione) che le fatture cui al capo di imputazione possano essere state non emesse daRAGIONE_SOCIALE in esecuzione di un accordo truffaldino con la COGNOME ma autonomamente da questa formate posto che – come segnalato nella sentenza in questione l’illecito penale è parimenti riscontrabile sia nel caso in cui siano utilizzate sede di dichiarazione fiscale fatture che un terzo abbia emesso, onde consentire ad altri l’abbattimento dell’imponibile fiscale con conseguente evasione delle imposte, sebbene esse siano relative ad operazioni inesistenti, sia nella ipotesi che dette false fatture siano state direttamente formate attribuendone, tuttavia falsamente la “paternità” a soggetti terzi – da colui che successivamente le abbia utilizzate nella infedele compilazione delle proprie dichiarazioni fiscali essendo priva di conseguenze pratiche la circostanza che le fatture in questione, in entrambi i casi rappresentative di operazioni inesistenti, siano affette da falsità ideologica ovvero da falsità material (Corte di cassazione, sezione III penale, 11 febbraio 2019, n. 6360, rv 275698). AV Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Venendo al secondo motivo di impugnazione, riguardante il vizio di violazione di legge per avere la Corte di appello escluso, sulla base della ripetitività delle condotte delittuose, che la fattispecie potesse essere sussunt nell’ambito della ipotesi di non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen. funzione della “palese spregiudicatezza” dimostrata dalla imputata, osserva il Collegio – al di là della dubbia sindacabilità di una tale valutazione, avente
chiari profili di fatto, sfuggenti al sindacato di questa Corte – c correttamente il giudizio negativo espresso dalla Corte di appello è stato, fra l’altro, ancorato, quale indice appunto della “disinvoltura” comportamentale della imputata, alla circostanza che la medesima abbia già goduto, per una condotta sempre riconducibile ad illeciti di natura fiscale, della ritenut particolare tenuità del fatto.
Invero un tale fattore induce ragionevolmente a ritenere che il fatto in questione non possa essere qualificato fra quelli non punibili ai sensi dell’art 131-bis cod. pen. essendo carente il requisito della sua non abitualità.
Infatti, per un verso non può non osservarsi che la stessa imputazione fa riferimento alle dichiarazioni tributarie presentate in due distinte annualit fiscali (ed a tale riguardo è appena il caso di segnalare come non costituisca ostacolo – in relazione allo specifico scrutino ora in corso afferente all applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. – alla autonoma valutazione di tal illeciti il fatto che gli stessi siano stati avvinti in sede di merito dal vin della continuazione, atteso che, come segnalato da questa Corte nella sua massima espressione nomofilattica, se è vero che in linea astratta la pluralità di reati unificati dal vincolo della continuazione non è di per sé ostativa all configurabilità della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, è altresì vero che il giudice del merito, nel formulare relativo giudizio, deve tenere in considerazione una serie di elementi indicativi – che potrebbero essere sinteticamente indicati come sintomatici della circostanza che i diversi illeciti posti in essere siano espressivi di un, non so unitario ma anche, contestuale atteggiamento antidoveroso del soggetto agente – fra i quali vi sono le modalità delle condotte poste in essere ed i periodo di tempo in cui esse si sono realizzate; elementi questi che, appunto, vanno verificati onde rilevare se essi non contrastino o meno con gli indici normativi che consentono di ritenere particolarmente tenue, e pertanto, non meritevole della sanzione penale, una condotta altrimenti costituente reato; così: Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 12 maggio 2022, n. 18891, rv 283064; nell’occasione la circostanza che fra le due dichiarazioni fiscali presentate dalla COGNOME evocate nel capo di imputazione sia intercorso all’incirca un anno costituisce elemento che legittima la autonoma e distinta valutazione delle condotte allo specifico fine della verifica della loro particolar tenuità), di tal che il comportamento della imputata è espressione di una pluralità di condotte, mentre, per altro verso, legittimamente, la Corte di appello ha tenuto conto, ai fini della valutazione della abitualità delle condott (espressiva di una loro insita gravità), della circostanza che in altra occasione Corte di Cassazione – copia non ufficiale
la prevenuta ha già goduto nella non punibilità ai sensi dell’art. 131-bis cod.
pen., a nulla rilevando che si sia trattato di sentenza riguardante condotte poste in essere successivamente a quelle per cui è ora processo (si tratta,
infatti, di violazione dell’art.
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-quater del dlgs n. 74 del 2000 relativa
all’anno di imposta 2018), dovendo darsi continuità al principio giurisprudenziale secondo il quale ai fini della applicazione della causa di non
punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. per l’apprezzamento della condizione della non abitualità della condotta, assumono rilievo anche i comportamenti
successivi alla commissione del reato (Corte di cassazione, Sezione III penale,
29 gennaio 2018, n. 4123, rv 272039), tanto più laddove siffatta reiterazione, stante la identica indole, come nel caso ora in esame, dei diversi reati
realizzati, sia espressiva, non tanto di una generica capacità a delinquere, quanto di un aggravamento della offesa complessivamente arrecata al bene-
interesse tutelato dalle pur diverse norme precettive violate (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 31 ottobre 2023, n. 43941, rv 285360).
Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato e la ricorrente va, visto l’a 616 cod. proc. pen., condannata al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11 marzo 2025
Il AVV_NOTAIO estensore
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Il Presi nte