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Fatture false: la Cassazione sulla confisca dell’IVA

La legale rappresentante di una società è stata condannata per l’utilizzo di fatture false per operazioni soggettivamente inesistenti al fine di evadere le imposte. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che la società agiva come mero “filtro” in un meccanismo fraudolento. La sentenza ribadisce un principio cruciale: in questi casi, l’IVA versata al fornitore fittizio non è un costo deducibile, e l’intero risparmio d’imposta costituisce il profitto del reato, soggetto a confisca.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Fatture False: Quando l’IVA non è Deducibile e Scatta la Confisca

L’utilizzo di fatture false per evadere le imposte è un reato grave con conseguenze significative. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 10082 del 2024, offre chiarimenti fondamentali sul concetto di operazioni soggettivamente inesistenti e, soprattutto, sul calcolo del profitto da confiscare, confermando un principio consolidato: l’IVA pagata a un fornitore fittizio non è mai un costo deducibile.

I Fatti di Causa: Una Società “Filtro” nel Commercio di Veicoli

Il caso riguarda l’amministratrice di una società operante nel commercio di autoveicoli e componenti elettroniche, condannata per aver utilizzato fatture relative a operazioni soggettivamente inesistenti. Secondo l’accusa, confermata nei gradi di merito, la società si interponeva fittiziamente tra le reali società fornitrici (definite “cartiere”) e gli acquirenti finali.

Questo schema permetteva alla società “filtro” di dedurre costi e detrarre l’IVA basandosi su fatture false, generando un notevole profitto illecito derivante dal mancato versamento delle imposte (IVA e Ires). Le indagini avevano rivelato che la società era priva di una vera sede operativa e di un magazzino, elementi ritenuti incompatibili con un’attività di commercio di beni ingombranti come gli autoveicoli. Le transazioni avvenivano in tempi brevissimi, con pagamenti e vendite quasi contestuali, annullando di fatto qualsiasi rischio d’impresa.

L’Appello in Cassazione: La Difesa Contesta la Fittizietà delle Operazioni

La difesa dell’imputata ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Errata valutazione della prova: Si sosteneva che le operazioni fossero reali e che il modello di business (trading online con merce che rimane presso il fornitore) fosse una prassi commerciale diffusa. La difesa lamentava l’inattendibilità attribuita ai testimoni e contestava la mancanza di dolo, affermando che la società non poteva essere a conoscenza della natura di “cartiere” delle società fornitrici.
2. Errata quantificazione della confisca: Si contestava l’ammontare del profitto confiscato, sostenendo che si sarebbe dovuto tener conto, come costo, dell’IVA effettivamente versata ai fornitori.
3. Pena eccessiva: La sanzione penale era ritenuta sproporzionata rispetto alla condotta.

Le Motivazioni della Sentenza sulle Fatture False

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, rigettandolo integralmente. I giudici hanno chiarito che il loro compito non è riesaminare i fatti, ma verificare la logicità e coerenza della motivazione della Corte d’Appello, che è stata ritenuta puntuale e priva di vizi.

La Corte ha sottolineato come i giudici di merito avessero correttamente evidenziato una serie di anomalie che, lette insieme, rendevano palese la natura fraudolenta dello schema. L’assenza di una sede e di un magazzino, la mancanza di una logica commerciale (perché i clienti finali avrebbero dovuto pagare di più rivolgendosi a un intermediario, visionando la merce direttamente presso il fornitore?) e la rapidità delle transazioni erano tutti indizi gravi, precisi e concordanti.

Sul punto cruciale del dolo, la Cassazione ha ribadito che la consapevolezza della frode emergeva dalle palesi irregolarità fiscali e dalla struttura stessa delle operazioni, che avvenivano con semplici scambi di email e senza contratti formali. L’onere di dimostrare la corrispondenza tra il dato documentale (la fattura) e quello reale (i rapporti giuridici sottostanti) ricade su chi utilizza la fattura, onere che in questo caso non è stato assolto.

La Confisca del Profitto e l’Indetraibilità dell’IVA in caso di Fatture False

Il punto giuridicamente più rilevante della sentenza riguarda la quantificazione della confisca. La difesa sosteneva che l’IVA pagata ai fornitori fittizi dovesse essere considerata un costo, riducendo così il profitto confiscabile.

La Cassazione ha respinto questa tesi richiamando un principio consolidato (ius receptum): nell’ambito di operazioni soggettivamente inesistenti, la detrazione dell’IVA non è consentita e l’importo indicato in fattura non costituisce un costo detraibile. La sua indicazione in dichiarazione realizza una finalità di evasione e genera un profitto illecito, a nulla rilevando che tale costo sia stato effettivamente sostenuto nei confronti del soggetto fittiziamente interposto. Di conseguenza, il profitto del reato coincide con l’intero ammontare delle imposte evase grazie all’utilizzo delle fatture false.

Le Conclusioni

La sentenza n. 10082/2024 della Corte di Cassazione consolida orientamenti giurisprudenziali di fondamentale importanza per imprese e professionisti. In primo luogo, ribadisce che la genuinità di un’operazione commerciale non si valuta solo dalla sua effettiva esecuzione, ma anche dalla corrispondenza soggettiva tra chi emette la fattura e chi esegue la prestazione. In secondo luogo, e con implicazioni patrimoniali dirette, stabilisce in modo inequivocabile che l’IVA versata nell’ambito di una frode carosello non può essere in alcun modo recuperata come costo. Questo principio rafforza il sistema sanzionatorio, assicurando che il profitto derivante da reati fiscali venga integralmente sottratto a chi lo ha illecitamente conseguito.

Quando un’operazione commerciale è considerata “soggettivamente inesistente”?
Un’operazione è soggettivamente inesistente quando la transazione economica (es. la vendita di un bene) è effettivamente avvenuta, ma ha coinvolto soggetti diversi da quelli indicati nella fattura. In pratica, un soggetto si interpone fittiziamente per permettere a un altro di evadere le imposte.

In caso di utilizzo di fatture false, l’IVA pagata al fornitore fittizio può essere detratta?
No. Secondo un principio giuridico consolidato (ius receptum) confermato dalla sentenza, in tema di utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, la detrazione dell’IVA non è consentita e l’importo non costituisce un costo detraibile. L’intero risparmio d’imposta è considerato profitto del reato.

Cosa deve dimostrare chi utilizza una fattura per provare che l’operazione non è fittizia?
È onere di chi utilizza la fattura (il soggetto emittente o chi la registra in contabilità) dimostrare la piena corrispondenza tra il dato documentale (quanto scritto in fattura) e il dato fattuale, cioè i reali rapporti giuridici intercorsi. Una semplice allegazione difensiva non è sufficiente se non supportata da prove concrete.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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