Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20571 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20571 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 14-03-2023 della Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto di rigettare il ricorso.
lette le conclusioni rassegnate dall’AVV_NOTAIO COGNOME, difensore di fiducia dell’imputato, che ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 14 marzo 2023, la Corte di appello di Bologna confermava la sentenza del 10 settembre 2020, con cui il Tribunale di Ravenna aveva condannato NOME COGNOME alla pena di anni 3 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole dei reati di cui agli art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000 (capo A, commesso in Ravenna dal 4 gennaio al 20 febbraio 2015) e 10 del d. Igs. n. 74 del 2000 (capo B, accertato in Ravenna il 25 gennaio 2016).
Avverso la sentenza della Corte di appello felsinea, COGNOME, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi.
Con il primo, la difesa contesta l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in relazione al reato ex art. 8 del d. Igs. n. 74 del 2000, osservando che i giudici di secondo grado si sarebbero limitati a recepire acriticamente gli argomenti del Tribunale, senza confrontarsi con le censure difensive, con cui era stata lamentata l’omessa valutazione di una pluralità di dati probatori significativi, come la deposizione della teste NOME COGNOME, l’appartenenza dell’attività di impresa dell’imputato e di quella dell’impresa destinataria delle fatture oggetto di imputazione al medesimo settore merceologico, la sussistenza di un contratto di prestazione di servizi intercorrente tra i medesimi imprenditori, la circostanza che NOME procedeva al prelievo di somme di denaro per l’acquisto di bancali in contanti; il fatto che il prezzo indicato per somministrazione di bancali a favore della RAGIONE_SOCIALE corrispondeva a quello di mercato e, ancora, la circostanza che le transazioni commerciali tra le predette imprese avveniva per il tramite di mezzi di pagamento tracciabili.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è la conferma del giudizio di colpevolezza rispetto al reato di cui all’art. 10 del Igs. n. 74 del 2000, rilevandosi che gli indizi valorizzati dai giudici di merito, ossia l’omessa esibizione delle fatture e la qualità di evasore totale dell’imputato, sarebbero privi di valenza dimostrativa, atteso che l’omessa esibizione delle fatture può dipendere anche dalla loro mancanza o dalla loro omessa registrazione, così come il secondo elemento ben potrebbe derivare dalla mancata tenuta delle scritture contabili.
2.1. Con memoria trasmessa il 12 febbraio 2024, il difensore di COGNOME, nel replicare alle considerazioni del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, ha insistito nell’accoglimento del ricorso, ribadendone e sviluppandone le argomentazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
1. Iniziando dal primo motivo, occorre evidenziare che l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 8 del d. lgs. n 74 del 2000 (capo A ) non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede. Occorre evidenziare in proposito che le due conformi sentenze di merito, le cui motivazioni sono destinate a integrarsi per formare un apparato motivazionale unitario, hanno compiuto un’adeguata disamina delle prove raccolte, valorizzando in particolare gli esiti della verifica fiscale svolta nel 2015 dall Guardia di Finanza di Ravenna nei confronti della ditta individuale di NOME COGNOME, avente ad oggetto la compravendita e la riparazione di bancali, ditta che, a partire dal 2011, è risultata priva di sede operativa, essendo cessati i contratti di locazione degli immobili di Fornace Zarattini e Trezzano sul Naviglio. La sede dell’impresa risultò quindi coincidere con il luogo di residenza dell’imputato, dove tuttavia non vi era spazio utile né per accantonare i bancali, né per procedere alla loro riparazione, né, in definitiva, per movimentare la merce indicata nelle fatture emesse negli anni dal 2011 al 2015 nei confronti della principale cliente della ditta, ossia la società RAGIONE_SOCIALE, e ciò tanto più alla luce del fatto che la ditta era priva di dipendenti e beni strumentali. Dagli accertamenti svolti presso il conto corrente intestato all’imputato è inoltre emersa la coincidenza tra il versamento degli assegni corrisposti dalla RAGIONE_SOCIALE a saldo delle fatture emesse e il prelievo in contanti, pressoché integrale, delle somme in questione da parte dell’imputato, condotta questa sintomatica della restituzione della somma riscossa al debitore, così come è stata ritenuta significativa, nell’ottica della falsità delle fatture, la drastica riduzione numero delle stesse in prossimità dell’abolizione del regime del reverse charge.
Il giudizio sulla configurabilità a carico di COGNOME del reato di emissione per operazioni inesistenti è dunque scaturito da una valutazione unitaria degli elementi indiziari desunti dagli accertamenti svolti, dovendosi in ogni caso considerare che né il ricorrente né il destinatario delle fatture hanno provato l’effettivo svolgimento delle operazioni fatturate; sul punto la Corte territoriale nel replicare a uno degli argomenti difensivi, ha sottolineato invero che il contratto di prestazione di servizi del 19 maggio 2011 giustifica esclusivamente le fatture che si riferiscono a prestazioni eseguite presso la sede del cliente RAGIONE_SOCIALE e non anche il complessivo e ben più intenso rapporto commerciale risultante dalle fatture complessivamente emesse negli anni in relazione alla vendita dei bancali, attività per la quale l’impresa dell’imputato è risultata non attrezzata, essendo rimasta poi del tutto non provata l’affermazione difensiva di un asserito trasferimento diretto dei bancali dal fornitore alla RAGIONE_SOCIALE
1.1. In definitiva, il percorso argomentativo delle sentenze di merito, in quanto razionalmente ancorato alle acquisizioni probatorie disponibili, non presta il fianco alle censure difensive, che, in termini non specifici, sollecitano different
apprezzamenti di merito non consentiti in sede di legittimità, dovendosi ribadire (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601) che, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi d fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dai ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Di qui la manifesta infondatezza delle doglianze riferite al reato di cui al capo A.
Ad analoga conclusione deve pervenirsi rispetto alle censure articolate nel secondo motivo di ricorso in relazione al capo B, avente ad oggetto il reato di cui all’art. 10 del d. Igs. n. 74 del 2000.
Anche in tal caso, la Corte di appello non ha mancato di confrontarsi con le obiezioni difensive, superandone con considerazioni non illogiche.
In particolare, nella sentenza impugnata (pag. 5) è stato evidenziato che nel caso di specie non si è pervenuti alla ricostruzione dell’ammontare dei redditi e del volume di affari della società amministrata dall’imputato, mentre solo a seguito di controlli incrociati presso diversi soggetti economici è stato possibile acquisire documenti riguardanti le operazioni attive e passive effettuate sin dal 2010, documenti non rinvenuti presso la ditta di NOME, evidentemente perché distrutti od occultati, per cui, a fronte della mancata esibizione dei documenti contabili riferibili alla gestione aziendale, è stata ritenuta ragionevolmente irrilevante dai giudici di appello la circostanza che i militari della Guardia di Finanza non abbiano effettuato un accesso ispettivo presso il luogo di domicilio fiscale dell’imputato, ossia in un appartamento posto al quinto piano di un immobile sito in Lido Adriano di proprietà del padre di NOME.
Allo stesso modo, non dirimente risulta anche il fatto che comunque gli operanti siano riusciti a ricostruire il complessivo movimento di affari dell’impresa tramite i dati forniti dagli altri ventidue operatori economici con i quali la ditta RAGIONE_SOCIALE ha avuto rapporti commerciali, avendo questa Corte precisato (Sez. 3, n. 41683 del 02/03/2018, Rv. 274862 – 01 e 02) che l’impossibilità di ricostruire il reddito o il volume di affari derivante dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili, elemento costitutivo del reato di cui all’art. 10 del d. Igs. n. 74 del 2000, non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all’acquisizione della documentazione mancante presso terzi o aliunde, avendo la pronuncia sopra richiamata altresì chiarito che, in tema di reati tributari, poiché la fattura deve essere emessa in duplice esemplare, il rinvenimento di uno di essi presso il terzo destinatario dell’atto può far desumere che il mancato rinvenimento dell’altra copia presso l’emittente sia conseguenza della sua distruzione o del suo occultamento.
Ciò posto, i giudici di appello hanno altresì osservato, in maniera pertinente, che l’imputato non ha presentato negli anni di imposta in esame alcuna dichiarazio fiscale, risultando un evasore totale, elemento questo rivelatore, sul versante soggettivo, dello scopo dell’occultamento e/o distruzione dei libri contabili, che era evidentemente quello di evadere le imposte sui redditi o sull’iva.
2.1. Orbene, anche in tal caso, a fronte di un apparato argomentativo non illogico, le censure difensive (ri)propongono una diversa interpretazione dei dati probatori valorizzati dai giudici di merito, operazione questa che, tuttavia, come si è già evidenziato, risulta estranea al perimetro del giudizio di legittimità.
In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone infine che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22/02/2024