Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 3019 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 3019 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a VALONA( ALBANIA) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/06/2022 della CORTE APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;
udito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso riportandosi ai motivi e chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.11 sig. COGNOME NOME ricorre per l’annullamento della sentenza del 03/06/2022 della Corte di appello di Ancona che, pronunciando sulle impugnazioni dell’imputato e del pubblico ministero avverso la sentenza del 15/11/2019 del Tribunale di Ascoli Piceno, in accoglimento del gravame del Procuratore generale ed in parziale riforma della sentenza impugnata, ha disposto la confisca dei beni in disponibilità del ricorrente fino alla concorren della somma di euro 619.261,00, equivalente al profitto del reato di cui all’art. d.lgs. n. 74 del 2000, a lui contestato perché, quale legale rappresentante del società «RAGIONE_SOCIALE», al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valo aggiunto, aveva presentato le dichiarazioni annuali della società relative agli ann di imposta 2013 e 2014 senza alcuna indicazione di dati e valori contabili, pur annotati nelle scritture contabili e registri IVA, così evadendo l’imposta sul valo aggiunto per un ammontare indicato nella misura di euro 319.090,00 per l’anno di imposta 2013 e nella misura di euro 300.171,00 per l’anno di imposta 2014, confermando nel resto la condanna alla pena (principale) di un anno e quattro mesi di reclusione, oltre pene accessorie.
1.1.Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000, e degli artt. 2, 3 e 6 d.P.R. n. 633 del 1972, nonché la mancanza, l contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione e il travisamento del prova.
Lamenta, in particolare, l’erronea sussunzione dell’attività svolta dall società «RAGIONE_SOCIALE» nell’ambito delle “cessioni di beni” piuttosto che i quello delle “prestazioni di servizi” (trattandosi di società che si occupava del lavorazione di buste in conto terzi senza acquisire la proprietà della merc utilizzata per la lavorazione, come chiaramente emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale e come contraddittoriamente riconosciuto dalla stessa Corte territoriale), con conseguente applicazione di un errato regime fiscale posto che, per le prestazioni di servizio, si applica una tassazione basata sul principio cassa, collegata, cioè, al pagamento del corrispettivo e non alla cessione de bene.
Del tutto errata, prosegue, la affermazione della Corte di appello secondo cui il fatto che le prestazioni di servizio fossero rese da una società di capi determina ex se l’applicazione del criterio di competenza. La corretta applicazione del principio di cassa giustificava la mancata emissione delle fatture per prestazioni di servizio rese ma non ancora pagate con conseguente insussistenza del debito IVA.
Anche la ripresa a tassazione dell’IVA che si assume indebitamente detratta per gli anni 2013 e 2014 è fondata su un rilievo della GdF carente di motivazione.
Fermo restando quanto sin qui detto, aggiunge che: a) dall’imposta contestata come evasa ai fini IVA nell’anno 2013 (euro 319.000,00) va detratta la somma di euro 92.400,00 relativa a fatture emesse ma non incassate nonché l’IVA relativa alle operazioni eseguite con soggetti residenti fuori dall’Italia (euro 184.537,61), con conseguente abbassamento della soglia di punibilità al di sotto della penale rilevanza; b) anche dall’imposta contestata come evasa ai fini IVA nell’anno 2014 (euro 300.171,00) va detratta l’imposta relativa a operazioni con soggetti esteri nonché i costi sostenuti e le mancate entrate, con conseguente assestamento dell’imposta evasa al di sotto della soglia di punibilità.
Il regime fiscale ritenuto applicabile dalla Corte di appello imponeva una perizia contabile finalizzata ad accertare l’effettivo superamento della soglia di punibilità. L’illogicità della motivazione deriva, inoltre, dal fatto che la Corte territoriale sposa la ricostruzione fornita dalla Guardia di Finanza tentando di accreditarla con una diversa sussunzione dei fatti e degli elementi di giudizio pur sapendo che le indagini di polizia giudiziaria e l’accertamento fiscale sono stati condotti seguendo una diversa linea di principio, tale da inficiare l’intero risultato probatorio.
1.2.Con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen., e il vizio di mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla eccessiva severità del trattamento sanzionatorio e al diniego delle circostanze attenuanti generiche giustificato dalla Corte di appello con il semplicistico rilievo della mancanza di positivi elementi di valutazione, l’irrilevanza dello stato di incensuratezza e l’intensità del dolo, senza tenere in considerazione il comportamento collaborativo tenuto in costanza di accertamento e il fatto che, diversamente da quanto affermato dal primo Giudice, egli sia rimasto in Italia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2.11 ricorso è infondato.
3.11 primo motivo è infondato.
3.1.Va innanzitutto stigmatizzata l’affermazione della Corte di appello secondo la quale il criterio di competenza è sempre applicabile quando la prestazione di servizio viene resa da una società di capitali. Si tratta di conclusione smentita dalla chiarezza del dato normativo che non si presta ad ambiguità di sorta quando individua il momento in cui le prestazioni di servizio si
considerano effettuate in quello nel quale viene effettuato il pagamento del corrispettivo, prescindendo completamente dalla qualificazione del soggetto erogatore del servizio (art. 6, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972). Deroghe al principio di cassa ve ne sono (per esempio, per le prestazioni di servizi indica nell’art. 3, terzo comma, primo periodo, d.P.R. n. 633, cit.) ma nessuna di esse giustificata dalla qualifica del soggetto erogatore del servizio come società d capitali.
3.2.In termini generali, dunque, in caso di prestazioni di servizi imponibili a fini IVA, il fatto costitutivo del rapporto obbligatorio tributario è costituito pagamento del corrispettivo (art. 6, comma 3, d.P.R. n. 633 del 1972; cd. “principio di cassa”). Diversamente, le cessioni di beni si considerano effettuate in termini generali, nel momento della stipulazione del contratto (se si tratta beni immobili) o in quello della tradítio o della spedizione se si tratta di beni mobili (art. 6, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972; cd. “principio di competenza”).
3.3.La questione devoluta dal ricorrente in appello aveva, dunque, un suo fondamento ed una sua rilevanza allorquando sollecitava l’applicazione del criterio di competenza ai fini: a) sia dell’accertamento dell’effettivo pagament del corrispettivo (l’an del fatto imponibile); b) sia della individuazione del momento del pagamento stesso (il quando del fatto imponibile). Tutti aspetti che incidono sulla penale rilevanza della condotta sanzionata dall’art. 4 d.lgs. n. del 2000 che fa riferimento non solo all’entità dell’imposta evasa (an e quantum dell’imposta) ma anche all’anno di imposta (quando dell’imposta).
3.4.La Corte di appello ha completamente eluso queste verifiche avvalendosi di una affermazione contraria al dato normativo.
3.5.Sennonché, ed è questo il punto non colto dal ricorrente, ove il prestatore di servizi emetta fattura prima del pagamento del corrispettivo l’operazione si considera effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato alla data della fattura a prescindere dall’effettivo pagamento (art. 6, comma d.P.R. n. 633, cit.), con conseguente irrilevanza della invocata detraibilità del somme non incassate, ancorché fatturate. In buona sostanza, è lo stesso contribuente che, emettendo fattura prima del pagamento del corrispettivo, determina con la propria condotta l’applicazione del criterio di competenza, a prescindere dalla natura dell’operazione fatturata.
3.6.Nel caso di specie, l’importo dell’imposta evasa è stato desunto (stando alla lettura delle sentenze di primo e secondo grado) proprio in base alle fattur attive annotate dalla società nelle scritture contabili, con conseguente irrilevan della questione inerente la natura dell’attività svolta dalla società «RAGIONE_SOCIALE» e al travisamento della relativa prova.
3.7.Trattandosi di imposta sul valore aggiunto, inoltre, non hanno rilevanza alcuna i costi sostenuti per l’erogazione della prestazione fatturata; il ricorre
confonde il regime della deducibilità dei costi per la determinazione del reddito imponibile ai fini delle imposte dirette (art. 109, d.P.R. n. 917 del 1986) c quello della detrazione di imposta disciplinato dagli artt. 17 e 19 d.P.R. n. 633 d 1972, in materia di imponibile IVA.
3.8.Come ribadito dalle sezioni civili della Corte di cassazione, in tema di IVA, il diritto del contribuente alla detrazione, fondandosi sul principio neutralità dell’imposta, muove da presupposti diversi da quelli della deducibilit dei costi di impresa, sicché alla indeducibilità non consegue automaticamente l’indetraibilità (Sez. 5 civ., n. 15288 del 17/07/2020, Rv. 658203 – 01 L’imponibile IVA, infatti, è ordinariamente calcolato al netto delle detrazioni previste dall’art. 19, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972 (art. 17, comma 1, d.P.R. n. 633, cit.), salve le eccezioni previste dallo stesso art. 19 e da quelli segue La detrazione ha per oggetto (ed è corrispondente a) l’imposta assolta o dovuta dal contribuente o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni e ser acquistati o importati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione. Peraltro diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o impor sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile «ed è esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all’ anno in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo» (art. 19, comma 1, d.P.R. n. 633, cit.).
3.9.Nel caso di specie non si è verificata nessuna delle condizioni formali e sostanziali stabilite dagli artt. 17 e 19, d.P.R. n. 633 del 1972, per p esercitare validamente il diritto alla detrazione, non avendo il ricorrente ma dedotto, nemmeno in questa fase, di aver prodotto, nella fase di merito, i relativ documenti giustificativi (a cominciare dalle fatture passive).
3.10.Sono del tutto generiche (lo erano anche in appello) le deduzioni relative all’esenzione di imposta delle «operazioni eseguite con soggetti fuor dall’Italia», non avendo mai chiarito il ricorrente le ragioni di tale esenzione avendo preso posizione, in questa sede, sulle ragioni indicate dalla Corte di appello a sostegno del rigetto della deduzione difensiva.
3.11.La Corte territoriale ha fatto riferimento alle operazioni di acquist intracomunitarie regolarmente registrate in contabilità (ma non dichiarate) che, aggiunge il Collegio, sono disciplinate dagli artt. 38 e segg. di. n. 331 del 199 convertito con modificazioni dalla legge n. 427 del 1993, e alle quali si applic l’imposta sul valore aggiunto salve le precisazioni, i termini e le eccezioni del cui prova deve farsi carico chi intende avvalersene, anche solo mediante l’allegazione, in sede penale, dei fatti non costitutivi (o estin dell’obbligazione.
3.12.Di tutto ciò non v’è traccia nell’odierno libello difensivo.
3.13.Del tutto generiche sono anche le deduzioni difensive relative all’indebito disconoscimento della detrazione dell’IVA relativa a prestazioni alberghiere e ristorazione che la Corte di appello ha ritenuto correttamente riprese a tassazione in mancanza di prova dell’inerenza delle prestazioni all’attività di impresa.
3.14.Nè in sede di appello, né in questa, il ricorrente ha mai dedotto di aver indicato o allegato specifici elementi a sostegno dell’inerenza delle prestazioni all’attività di impresa.
4.2.S1 tratta in ogni caso di un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
4.3.Nel caso di specie, la Corte di appello ha negato le circostanze attenuanti generiche sull’assorbente e decisivo rilievo della reiterazione delle
violazioni sintomatiche di un’intensità del dolo non meritevole di attenuazione di una pena-base già fissata nel minimo edittale.
4.4.11 ricorrente, dal canto suo, propone alla Corte di cassazione elementi alternativi di giudizio dando per scontato il potere del Collegio di entrare nel merito della decisione presa, non considerando che oggetto precipuo della cognizione in fase di legittimità è la motivazione positivamente data, non un progetto di motivazione alternativa.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10/10/2023.