Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 43764 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 43764 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/10/2024
SENTENZA
Procuratore Generale presso la Corte di appello di Catanzaro sui ricorsi proposti da e NOME COGNOME nato a Cosenza il 5/4/1987
avverso la sentenza del 13/12/2023 emessa dalla Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso del Procuratore Generale e di dichiarare inammissibile il ricorso dell’imputato; lette le conclusioni dell’Avvocato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento
del proprio ricorso e il rigetto di quello proposto dal Procuratore Generale.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13/12/2023, la Corte d’appello di Catanzaro confermava la pronuncia del Tribunale di Cosenza con la quale il ricorrente era stato condannato alla pena di mesi otto di reclusione ed euro 3.000,00 di multa per il reato di cui all’art. 73, quinto comma, D.P.R. 309/1990.
Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Catanzaro ha formulato un unico motivo di ricorso per violazione di legge e vizio di motivazione, contestando la derubricazione del fatto nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Si deduce, in particolare, che la quantità delle sostanze detenute (complessivamente 1.195,68 gr di marijuana e 356,30 gr di hashish), la loro qualità (tutte le sostanze presentavano efficacia drogante) e le circostanze del fatto (le modalità di occultamento e di confezionamento) non consentivano il giudizio di minor offensività della condotta ritenuto dai giudici di merito.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati formulati tre motivi di ricorso.
3.1. Con il primo motivo, deduce il vizio di motivazione in ordine alla configurabilità del reato, prospettandosi l’inoffensività della condotta per mancanza di concreta capacità drogante della sostanza detenuta e, comunque, la destinazione ad uso personale di una quota di essa.
3.2. I restanti motivi attengono alla determinazione della pena. In particolare, il ricorrente deduce il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta recidiva (secondo motivo), nonché l’omesso riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche (terzo motivo).
Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso presentato dalla Procura generale è infondato.
La parte pubblica censura il riconoscimento della lieve entità, chiedendo l’applicazione della fattispecie più grave di cui all’art. 73, quarto comma, D.P.R. 309/1990 sulla base, essenzialmente, di quattro motivi: (a) l’elevato quantitativo (lordo); (b) l’eterogeneità delle sostanze; (c) le modalità di occultamento e di confezionamento; (d) la sicura efficacia drogante delle sostanze, nonostante la
modesta entità di principio attivo rinvenuto.
2.2. Quanto al dato ponderale lordo, la Procura generale esclude l’integrazione della fattispecie di cui al quinto comma facendo applicazione, in primis, delle soglie quantitative recepite dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 45061 del 3/11/2022, COGNOME, Rv. 284149 – 01). Secondo quei dati, infatti, il fatto lieve sarebbe integrato quando il quantitativo lordo non superi i 110 g per la marijuana e i 102 g per l’hashish.
2.3. Nel caso di specie entrambi tali parametri risultano effettivamente superati, ritiene il Collegio, tuttavia, che questo argomento non sia idoneo a disarticolare il ragionamento della Corte d’appello.
Occorre premettere che il principio richiamato dal ricorrente non fornisce affatto dei valori soglia da utilizzare, nella loro astrattezza e singolarmente considerati, per stabilire se una condotta rientri o meno dell’ambito del fatto lieve ex art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
La predetta sentenza specifica che ai fini della valutazione della sussistenza del “fatto lieve”, da effettuarsi con riguardo alla fattispecie complessivamente considerata, il giudice può tener conto del fatto che il dato ponderale sia stato ritenuto, dalla giurisprudenza maggioritaria risultante dalla ricognizione statistica su un campione significativo di sentenze, compatibile con l’art. 73, comma 5.
Ciò non esclude che, a fronte del dato quantitativo, il giudice di merito deve ugualmente compiere quella valutazione complessiva che è richiesta dalla consolidata giurisprudenza in materia (Sez.U, n. 51063 del 27/9/2018, COGNOME, Rv. 274076).
Quanto detto comporta che i valori individuati nella sentenza “COGNOME“, richiamata dal ricorrente, non introducono limiti di sorta all’ampiezza della valutazione richiesta per l’accertamento o meno della configurabilità dell’art. 73, comma 5, cit.
La valutazione complessiva della tenuità del fatto deve essere pur sempre svolta valorizzando tutti gli elementi della fattispecie, salvo restando che – specie nelle ipotesi in cui non vi sono specifici indici della offensività del fatto circostanza che un dato quantitativo sia stato tendenzialmente ricondotto all’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, può assumere una valenza assorbente o, quanto meno, impone un maggior onere motivazione al giudice che intenda dare al fatto una diversa qualificazione.
Ciò implica che se il quantitativo accertato è sopra-soglia, il giudice di merito ben può applicare la fattispecie di lieve entità, ove siano presenti ulteriori elementi probatori in tal senso.
Specularmente, se il quantitativo accertato è sotto-soglia, il giudice può
applicare la fattispecie più grave, ma in tal caso dovrà dare conto degli elementi probatori indici di una maggiore gravità del fatto.
In conclusione, pur in presenza di un quantitativo di stupefacente che, statisticamente, viene ritenuto incompatibile con il riconoscimento della fattispecie di cui all’art. 73, comma 5, cit., il giudice di merito è tenuto, in ossequio al dettat normativo, a valutare tutti i criteri di cui al quinto comma sinergicamente (ex multis, Sez. 4, n. 50257 del 05/10/2023, Rv. 285706).
2.4. Sulla base di tali premesse, deve precisarsi che, essendo soprattutto nella purezza della sostanza che si appunta l’offensività in concreto della condotta, occorre raffrontare il dato ponderale lordo con la concentrazione di principio attivo.
Nel caso di specie emerge che, sia pure presentando indubbiamente efficacia drogante, la sostanza detenuta dal Rose era di scarsissima qualità. Secondo gli accertamenti tossicologici riportati in entrambe le sentenze di merito, infatti, i campionamenti hanno rilevato la presenza di principio attivo in percentuali che vanno dallo 0,5 al 3,9%.
Nel caso di specie, dunque, a fronte di una concentrazione di principio attivo estremamente ridotta e a fronte della riconosciuta destinazione ad uso personale di una parte delle sostanze, correttamente il superamento delle soglie lorde non è stato ritenuto un elemento idoneo a far ritenere integrata l’ipotesi più grave di cui al quarto comma.
Per giungere all’esclusione del fatto lieve, non sono dirimenti gli altri elementi probatori valorizzati dalla parte pubblica.
Secondo la Procura generale, infatti, sarebbero indice di maggiore gravità del fatto anche le modalità di confezionamento della sostanza (distinti e plurimi involucri), le modalità di occultamento (in posti diversi, all’interno dell’abitazione nell’adiacente magazzino nonché nell’autovettura del ricorrente) e il rinvenimento di un bilancino elettronico.
Ritiene il Collegio che si tratti di elementi certamente idonei a provare la destinazione allo spaccio della sostanza detenuta, ma non anche a provare la maggiore o minore gravità dello stesso.
In altri termini, tali elementi sono utili a discriminare la detenzione per uso personale dalla detenzione a fini di spaccio, ma nulla dicono rispetto alle dimensioni della commercializzazione e, più in generale, all’offensività della condotta. In buona sostanza, nell’indagine sulla gravità del fatto, questi elementi risultano tendenzialmente neutri.
Con riferimento, in particolare, alle modalità di confezionamento della sostanza, la giurisprudenza di legittimità afferma che è proprio la divisione in dosi
a caratterizzare il piccolo spaccio (basato sulla cessione di singole dosi), rispetto alle ipotesi più gravi, in cui la cessione ben più probabilmente riguarda partite di droga indivise (Sez. 6, n. 5517 del 07/11/2017, dep. 2018, COGNOME, non mass.).
2.1. Ulteriore aspetto da considerare è che, secondo un’affermazione costante nella giurisprudenza di legittimità, il fatto lieve si configuri anche in presenza di cessioni ripetute nel tempo e poste in essere con modalità professionali o comunque servendosi di una minima organizzazione all’uopo approntata (ex multis, Sez. 6, Sentenza n. 28251 del 09/02/2017, Rv. 270397).
Tale approdo giurisprudenziale è stato implicitamente confermato dal legislatore.
Il d.l. 123/2023 (conv. in I. 159/2023, c.d. Decreto Caivano), infatti, ha inserito all’art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990 un’aggravante per il fatto lieve nei casi in cui la condotta «assume caratteri di non occasionalità». Vi è, pertanto, una piena compatibilità tra fattispecie lieve e stabile attività di spaccio.
Ne consegue che la preventiva suddivisione in dosi, come pure la disponibilità di una minima “scorta” di stupefacente, necessaria per soddisfare plurime richieste di cessione, sono elementi non univoci per escludere l’ipotesi di cui all’art. 73, quarto comma, D.P.R. 309/1990.
2.2. Discorso simile può essere fatto per quanto riguarda le modalità di occultamento della sostanza, anch’esse, infatti, si rivelano essere indici tendenzialmente neutri.
Poiché già la sola detenzione per consumo personale espone il detentore a conseguenze personali rilevanti, sia pure sotto il profilo di mera illiceità amministrativa (Sez. 3, n. 43262 del 19/09/2019), l’occultamento delle sostanze non dovrebbe essere valorizzato per escludere la lievità del fatto, perché nulla dice rispetto alle dimensioni dell’attività illecita e dimostra unicamente la logica finalità del detentore di stupefacente di sottrarsi agli effetti pregiudizievoli che, in ogni caso, derivano da tale condotta.
2.3. Infine, con riferimento al rinvenimento del bilancino elettronico, si rileva come tale dato fattuale può essere riscontrato in qualsivoglia ipotesi di uso e detenzione di stupefacente.
L’esigenza di pesare la sostanza stupefacente, infatti, ben può ricorrere sia nel caso di assunzione personale della stessa (per procedere all’assunzione singola di una sostanza stupefacente non preventivamente suddivisa), sia nei casi di piccolo spaccio (per il confezionamento in dosi del quantitativo costituente la scorta di stupefacente destinata alla cessione), come nelle fattispecie più gravi (è il caso, ad esempio, di un soggetto inserito in una stabile organizzazione, che
assume il ruolo di “confezionatore” della droga).
L’ambivalenza probatoria della disponibilità di strumenti di pesatura, dunque, induce ad escludere che si tratti di un elemento assorbente rispetto al discrimine tra piccolo spaccio e fattispecie più grave.
2.4. Alla luce di tali considerazioni, pertanto, deve ritenersi che la motivazione della sentenza impugnata, nella misura in cui valorizza la minima concentrazione di principio attivo e la destinazione ad uso personale di una parte della sostanza detenuta, risulta immune da censure, avendo correttamente escluso la ricorrenza di ulteriori elementi di per sé idonei ad escludere la compatibilità della condotta con l’ipotesi lieve di cui all’art. 73, comma 5, cit.
Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato è infondato.
In relazione al primo motivo, il ricorrente non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza impugnata, la quale dà conto dell’offensività in concreto della condotta. In particolare, la Corte d’appello ha correttamente riscontrato la potenzialità drogante della sostanza detenuta, sulla base delle risultanze degli accertamenti tecnici effettuati in sede di indagini preliminari. Se da un lato è vero – come rileva la difesa – che le sostanze campionate presentavano un tasso bassissimo di principio attivo, dall’altro lato, però, la concentrazione di principio attivo nelle quantità riscontrate non lascia dubbi rispetto alla potenzialità psicotropa della sostanza detenuta dal ricorrente, e dunque rispetto all’offensività in concreto della sua condotta.
4.1. Del tutto generica è l’ulteriore doglianza concernente il mancato riconoscimento dell’uso personale.
La Corte di appello ha espressamente motivato in ordine alla sussistenza di plurimi indici attestanti la destinazione della sostanza, quanto meno in parte, alla cessione a terzi (mancata indicazione del dato quantitativo-qualitativo compiuto per uso personale, quantitativo complessivo), senza che il ricorrente abbia illustrato le ragioni per cui la motivazione della sentenza impugnata dovrebbe ritenersi manifestamente illogica o contraddittoria.
Il secondo e il terzo motivo sono reiterativi di analoghe questioni già poste all’attenzione della Corte d’appello e dalla stessa esaminate con motivazione immune da censure sotto il profilo logico-giuridico.
Nell’esercizio dei poteri discrezionali che le competono in punto di determinazione della pena, la Corte di merito ha offerto compiuta motivazione sia sull’applicazione della recidiva sia sul giudizio di equivalenza tra questa e le
circostanze attenuanti generiche.
Alla luce di tali considerazioni, entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna NOME al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 9 ottobre 2024