Fatto di lieve entità e detenzione di droga: quando la quantità esclude l’attenuante
La qualificazione di un reato in materia di stupefacenti come fatto di lieve entità è una questione centrale nel diritto penale, con importanti conseguenze sulla pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la valutazione deve essere globale, ma un quantitativo assai rilevante di sostanza può, di fatto, precludere l’accesso a questa fattispecie più mite. Analizziamo la decisione per capire le ragioni giuridiche alla base.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un soggetto condannato in primo e secondo grado per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti, specificamente cocaina, commesso a Messina nell’ottobre 2022. La Corte di Appello aveva confermato la sentenza del Tribunale, rigettando le richieste della difesa volte a ottenere una qualificazione più favorevole del reato e il riconoscimento di una circostanza attenuante.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due principali motivi:
1. Mancato riconoscimento del fatto di lieve entità: La difesa sosteneva che i giudici di merito non avessero correttamente applicato l’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90, che prevede pene più miti per i fatti di lieve entità. Secondo il ricorrente, la motivazione della Corte d’Appello era viziata.
2. Mancato riconoscimento dell’attenuante della collaborazione: Si contestava la decisione di non applicare l’attenuante prevista dal comma 7 dello stesso articolo, che premia chi si adopera per evitare che l’attività criminosa sia portata a conseguenze ulteriori.
Le motivazioni della Cassazione sul fatto di lieve entità
La Suprema Corte ha dichiarato il primo motivo inammissibile, ritenendolo una semplice riproposizione di una censura già correttamente esaminata e respinta dalla Corte di Appello. I giudici di legittimità hanno colto l’occasione per ribadire l’orientamento consolidato, anche delle Sezioni Unite, sul tema. Per stabilire se un reato rientri nel fatto di lieve entità, il giudice deve compiere una valutazione globale di tutti gli elementi indicativi: i mezzi, le modalità dell’azione, la qualità e, soprattutto, la quantità della sostanza.
Nel caso specifico, la Corte ha sottolineato che la Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato due elementi ostativi:
* Il quantitativo assai rilevante: la detenzione riguardava ben 208 grammi di principio attivo di cocaina.
* Le modalità del fatto: queste non presentavano alcuna connotazione di ‘intrinseca modestia’.
Secondo la Cassazione, il percorso logico seguito dai giudici di merito è stato coerente. Essi non si sono limitati a considerare un singolo dato ostativo, ma hanno spiegato perché la carica negativa di tali elementi non potesse essere bilanciata da altri fattori, escludendo così la ridotta offensività del fatto.
Le motivazioni sul mancato riconoscimento dell’attenuante
Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha osservato che la confessione resa dall’imputato, sebbene avesse chiarito la sua responsabilità e forse evitato il coinvolgimento di un’altra persona, non aveva inciso in alcun modo sulla prosecuzione dell’attività criminale. La circostanza attenuante in questione richiede un contributo concreto che vada oltre la mera ammissione di colpa, finalizzato a interrompere o limitare le conseguenze del reato, cosa che in questo caso non si è verificata.
Le conclusioni
L’ordinanza riafferma con chiarezza che, nella valutazione del fatto di lieve entità, la quantità di stupefacente non è l’unico parametro, ma può assumere un peso decisivo. Un quantitativo ingente, come quello in esame, è un indicatore talmente forte di offensività da rendere difficile, se non impossibile, qualificare il fatto come lieve, anche in presenza di altri elementi potenzialmente favorevoli. La decisione conferma la necessità di un’analisi complessiva e rigorosa, che bilanci tutti i fattori in gioco, respingendo ricorsi che si limitano a riproporre argomenti già vagliati senza introdurre nuove e decisive critiche alla logicità della sentenza impugnata.
Un’ingente quantità di droga può impedire il riconoscimento del fatto di lieve entità?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, un quantitativo assai rilevante di sostanza stupefacente (nel caso di specie, 208 grammi di principio attivo di cocaina) è un elemento che osta alla qualificazione del reato come fatto di lieve entità, in quanto indicativo di una significativa offensività.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché considerato meramente riproduttivo di censure già adeguatamente valutate e respinte dalla Corte di Appello con una motivazione logica e coerente. Non sono stati sollevati vizi di legittimità effettivi, ma solo contestazioni di merito.
La confessione garantisce sempre l’applicazione dell’attenuante della collaborazione?
No. La Corte ha chiarito che la confessione dell’imputato, pur avendo riguardato la sua responsabilità, non è sufficiente per l’attenuante se non incide in alcun modo sulla prosecuzione dell’attività criminale. L’attenuante richiede un contributo attivo per limitare le conseguenze del reato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8504 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8504 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/03/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME ha presentato ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Messina del 20.3.2023 di conferma della condanna del Tribunale di Messina in ordine al reato di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, commesso in Messina il 27 ottobre 2022.
Rilevato che il primo motivo, con cui COGNOME ha dedotto la violazione della legge e il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art 73 comma 5 d.P.R n. 309/90 è inammissibile, in quanto riproduttivo di profilo di censura già adeguatamente vagliato e disatteso dalla Corte di merito con percorso argomentativo logico e coerente. Secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite, il giudice, nell’affermare o negare la tipicità del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, T. U. stup., deve dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata a solo alcuni di essi. Con la conseguenza, precisata dal Supremo Collegio, che “il percorso giustificativo deve dar conto non solo dei motivi che logicamente impongono nel caso concreto di valutare un singolo dato ostativo al riconoscimento del più contenuto disvalore del fatto, ma altresì di quelli per cui la carica negativa non può ritenersi bilanciata da altri elementi eventualmente indicativi, se singolarmente considerati, della sua ridotta offensività” (Sez U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv 274076). La Corte di Appello si è fatta carico della valutazione globale degli elementi che hanno caratterizzato il reato e ha rilevato che ostavano alla qualificazione del fatto come lieve il quantitativo assai rilevante di sostanza stupefacente del tipo cocaina detenuta (pari a gr. 208 di principio attivo) e le modalità del fatto che non avevano connotazione di intrinseca modestia. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Considerato che il secondo motivo, con cui ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 73 comma 7 d.P.R. n. 309/90, è inammissibile in quanto meramente riproduttivo di censura già vagliata e disattesa dalla Corte di Appello con motivazione coerente e logica, e, comunque, prospettazione di enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità. La Corte di Appello, infatti, ha rilevato che l confessione dell’imputato aveva riguardato la sua responsabilità e probabilmente evitato il coinvolgimento di un innocente, ma non aveva in alcun modo inciso sulla prosecuzione dell’attività criminale.
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2024
Il Con. .1 e estensore
Il Pr sidente