Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27859 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27859 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME nato a Bella il 01/02/1964
avverso la sentenza del 22/11/2024 della Corte di appello di Potenza visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del l’Avvocato generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
lette le richieste del difensore delle parti civili NOME COGNOME e NOME COGNOME, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso e ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
lette le richieste del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Potenza ha confermato la sentenza del 28 gennaio 2021 del Tribunale di Potenza che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME per il delitto continuato di
false comunicazioni sociali e l’aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia, nonché al risarcimento del danno, da liquidarsi separatamente, in favore di NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME costituitisi quali parti civili.
A NOME COGNOME è stato contestato di avere, quale legale rappresentante e presidente del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso e con l’intento di ingannare i soci e conseguire un ingiusto profitto, facendo apparire all’esterno realizzate le condizioni per procedere all’aumento di capitale e più precisamente quella dell’avvenuto integrale versamento del capitale sociale già sottoscritto, esposto fatti materiali rilevanti e non rispondenti al vero nei bilanci della società relativi agli anni 2015, 2016 e 2017, in modo da indurre i terzi in errore; in particolare, indicava il valore del capitale sociale in euro 1.397.291,00 invece di quello sottoscritto e versato di euro 1.360.307,10 ed occultava crediti verso soci per l’importo di euro 36.901,90, ricorrendo ad un espediente contabile consistito nell’iscrivere, in luogo degli stessi, imprecisate sopravvenienze passive di pari importo, in tal modo alterando sensibilmente la rappresentazione della situazione economica e patrimoniale societaria.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando tre motivi, dei quali il terzo è suddiviso in quattro «sottomotivi».
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’erronea applicazione degli artt. 2621 cod. civ. e 157 cod. pen.
Sostiene, citando un precedente di questa Corte di cassazione (Sez. 5, n. 191 del 19 ottobre 2000, dep. 2001, COGNOME, Rv. 218073), che il reato di cui all’art. 2621 cod. civ. ha natura istantanea e si consuma nel momento in cui i documenti che incorporano la falsità sono depositati ai sensi di legge, mentre le successive conferme delle false comunicazioni sociali non integrano una nuova violazione della medesima disposizione e non rilevano agli effetti della continuazione.
Assumerebbe, quindi, rilievo solo la prima comunicazione falsa, mentre le falsità riportate nei bilanci successivo al primo sarebbero effetto dell’unica condotta istantanea e rappresenterebbero un post factum non punibile.
Secondo quanto accertato nel corso del giudizio, la falsa indicazione in ordine all’ammontare del capitale sociale traeva origine da un atto notarile di trasformazione della originaria società in nome collettivo in una società a responsabilità limitata del 23 maggio 2006 ed era stata poi riportata in occasione dell’assemblea straordinaria del 7 ottobre 2010 e nei bilanci successivi e l’imputato si era limitato a prendere atto del dato ed ad esporlo negli esercizi
successivi. Ne conseguirebbe, secondo quanto sostenuto dal ricorrente, che il termine di prescrizione decorreva dal 7 ottobre 2010 e doveva ritenersi ampiamente decorso al momento della pronuncia della sentenza di appello.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’erronea applicazione degli artt. 2621 cod. civ. e 157 cod. pen. sostenendo che, anche laddove non fossero ritenuti fondati gli argomenti posti a sostegno del primo motivo, dovrebbero comunque ritenersi estinti per prescrizione già prima della pronuncia della sentenza di appello i reati di false comunicazioni sociali relativi agli anni 2015 e 2016, contestati come commessi il 31 dicembre di ciascun anno, pur considerando i 64 giorni di sospensione del termine connessi all’emergenza pandemica.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la mancanza o illogicità della motivazione della sentenza impugnata, non avendo questa dato risposta ai motivi di impugnazione ed essendosi limitata ad affermare, utilizzando una formula di stile, «che la piattaforma probatoria costituita da dati documentali e contabili e dalle deposizioni dei testi consenta di poter confermare la sentenza censurata anche con riguardo alle statuizioni civili disposte nella sentenza impugnata alla luce delle condivisibili argomentazioni espresse dal Giudice di prime cure» ed avendo motivato con affermazioni illogiche, come quella secondo la quale l’imputato, rimanendo assente nel giudizio, non avrebbe fornito alcuna plausibile spiegazione alternativa, mentre in realtà egli era comparso nel giudizio di primo grado e si era anche sottoposto all’esame fornendo ogni chiarimento sulla propria condotta.
Più in dettaglio, il ricorrente evidenzia che nella sentenza viene omesso qualsiasi accenno all’occultamento di crediti verso i soci per euro 36.901,00 e, quanto all’elemento soggettivo del reato, non viene data alcuna risposta ai motivi di gravame che il COGNOME riporta nel suo ricorso per cassazione.
Nemmeno, segnala il ricorrente, la Corte di merito ha dato motivata risposta alla richiesta di applicazione degli artt. 2621bis e 2621ter cod. civ.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Nell’ipotesi in cui la falsità abbia ad oggetto dati contabili la cui indicazione nel bilancio sia prescritta dalla legge, come nel caso di specie, in cui si discute dell’omessa menzione nel bilancio della circostanza che il capitale sottoscritto non era stato ancora integralmente versato, essa è suscettibile di integrare singoli reati istantanei di falso in bilancio, ciascuno dei quali relativo a ll’ anno dell’esercizio sociale cui il bilancio si riferisce.
In tal senso si è già espressa questa Corte di cassazione (Sez. 5, n. 21672 del 16/02/2018, COGNOME, Rv. 273027, non massimata sul punto) che a tale proposito ha osservato che lo stato patrimoniale, di cui è composto il bilancio ai sensi dell’art. 2423, primo comma, cod. civ., «è chiamato a fornire una ‘fotografia’ del capitale dell’azienda, rappresentandone, sì, la situazione istantanea alla data di bilancio, ma evidenziandone anche, da un lato, la provenienza e, dall’altro, la destinazione».
Poiché lo stato patrimoniale rappresenta la fotografia della consistenza del capitale aziendale ad una certa data, qualora la falsa indicazione venga ripetuta anche nei bilanci successivi, vi sarà una pluralità di reati di false comunicazioni sociali, poiché ciascun bilancio, rappresentando lo stato patrimoniale ad una data differente, vale ad integrare una condotta diversa ed autonoma rispetto ai bilanci, pure caratterizzati da falsità, che lo hanno preceduto.
Difatti, affermare nel bilancio relativo ad un determinato anno che sussiste una determinata componente attiva o passiva è condotta ontologicamente diversa dal rappresentare la persistenza di tale componente alla fine dell’esercizio successivo.
Deve, a tale proposito, considerarsi che è attraverso il bilancio che i soci ed i terzi in genere possono verificare il grado di solidità patrimoniale di un’impresa, la sua situazione finanziaria, la sua redditività, il suo andamento e le sue prospettive future; tali parametri variano da un esercizio sociale all’altro e quindi è ben diverso fornire la rappresentazione patrimoniale della società alla fine di un esercizio sociale piuttosto che alla fine dell’esercizio successivo.
Qualora le falsità relative ai vari bilanci costituiscano attuazione del medesimo disegno criminoso sarà, quindi, possibile applicare la disciplina del reato continuato, ai sensi dell’art. 81, secondo comma, cod. pen.
Il ricorrente, onde sostenere il contrario, invoca i principi affermati da altro precedente di questa Corte di cassazione (Sez. 5, n. 191 del 19 ottobre 2000, dep. 2001, COGNOME, Rv. 218073) che tuttavia solo apparentemente si pongono in contrasto con la sentenza sopra citata.
Difatti, con la sentenza «Mattioli» questa Corte di cassazione si è limitata ad affermare che il delitto di false comunicazioni sociali è reato istantaneo e, pertanto, quando la comunicazione assume forma scritta, esso si consuma nel momento in cui i documenti che la incorporano sono depositati ai sensi di legge, con la conseguenza che successive dichiarazioni di conferma della comunicazione falsa non integrano nuova violazione della medesima disposizione di legge, né, tantomeno, rilevano agli effetti della continuazione o della permanenza (Sez. 5, n. 191 del 19/10/2000, dep. 2001, COGNOME, Rv. 218069 – 01).
La fattispecie riguarda il deposito di bilanci, relativi a più anni, contenenti
false indicazioni che erano poi state confermate in sede assembleare mediante dichiarazioni verbali rese agli azionisti della società.
Con la sentenza si è affermato che una volta che il bilancio relativo ad una annualità sia stato depositato presso la sede della società e messo a disposizione dei soci, il reato di false comunicazioni sociali si è perfezionato, a nulla rilevando le successive dichiarazioni rese oralmente agli azionisti presenti in assemblea con le quali siano state confermate le false indicazioni contenute nel bilancio.
Le dichiarazioni verbali si limitavano, infatti, a confermare la falsa comunicazione sociale già contenuta nel bilancio depositato e avevano, quindi, il medesimo contenuto del bilancio affetto da falsità.
Nel caso che ci occupa, invece, ricorrono più bilanci affetti da falsità, ciascuno dei quali relativo ad un diverso esercizio sociale e, sulla base di quanto sopra esposto, idoneo ad integrare un’autonoma condotta di false comunicazioni sociali.
Ne consegue che, ai fini della prescrizione, ciascuna delle condotte oggetto di contestazione nei confronti dell’odierno ricorrente va considerata autonomamente, non essendo, peraltro, applicabile, ratione temporis , il primo comma dell’art. 158 cod. pen., nel testo attualmente in vigore, come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. d) , della legge 9 gennaio 2019, n. 3, secondo il quale, nell’ipotesi di reato continuato, il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui è cessata la continuazione.
2. Il terzo motivo di ricorso è fondato.
La motivazione della sentenza impugnata è meramente apparente, atteso che essa si limita ad affermare di condividere le ragioni già poste dal Giudice di primo grado a fondamento della sua decisione, senza in alcun modo confrontarsi con gli argomenti posti dal ricorrente a base delle sue specifiche censure riguardanti sia l’elemento oggettivo dei tre reati di false comunicazioni sociali, sia l’elemento soggettivo.
In presenza di un atto di appello non inammissibile per carenza di specificità, il giudice d’appello non può limitarsi al mero e tralaticio rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, in quanto, anche laddove l’atto di appello riproponga questioni già di fatto dedotte e decise in primo grado, egli ha l’obbligo di motivare, onde non incorrere nel vizio di motivazione apparente, in modo puntuale e analitico su ogni punto a lui devoluto (Sez. 2, n. 52617 del 13/11/2018, Di, Rv. 274719 – 02).
Nel caso di specie, la Corte di merito si è limitata ad affermare di condividere le argomentazioni già espresse dal Giudice di primo grado ed a richiamare genericamente le prove già acquisite.
Quanto all’elemento psicologico, esso viene desunto dalla carica apicale ricoperta dall’imputato in seno alla società e dal contegno processuale dell’imputato, che sarebbe rimasto assente nel corso del giudizio senza fornire alcuna spiegazione alternativa plausibile, mentre dalla sentenza di primo grado risulta che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, l’imputato ha partecipato al giudizio di primo grado sottoponendosi anche all’esame.
Neppure la Corte di appello, pur confermando la penale responsabilità dell’imputato, ha in alcun modo motivato il rigetto dei motivi di appello con i quali si invocava l’applicazione degli artt. 2621 -bis e 2621ter cod. civ.
Questa Corte di cassazione è stata dal ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, chiamata a valutare se i reati di false comunicazioni sociali commessi con i bilanci relativi agli esercizi chiusi al 31 dicembre 2015 e 31 dicembre 2016 fossero estinti per prescrizione già prima della sentenza di appello.
In realtà, stante la fondatezza del terzo motivo di ricorso, questa Corte di cassazione dovrebbe rilevare anche di ufficio, ex art. 129 cod. proc. pen., la estinzione per prescrizione di quei reati per i quali alla data della presente sentenza risulta ormai maturato il relativo termine.
Deve, tuttavia, osservarsi che, come già sopra esposto, il delitto di false comunicazioni sociali è reato istantaneo e, pertanto, quando la comunicazione assume forma scritta, esso si consuma nel momento in cui i documenti che la incorporano sono depositati ai sensi di legge.
In particolare, qualora il documento che incorpora la falsa comunicazione sociale sia il bilancio di una società di capitali, il reato si perfezionerà, in caso di società per azioni, con il suo deposito ai sensi dell’art. 2429 cod. civ. nella sede della società per restare a disposizione dei soci che intendano consultarlo oppure, in caso di società a responsabilità limitata, venga messo a disposizione dei soci ai sensi dell’art. 2478 -bis cod. civ.
La data di chiusura del bilancio, per le società di capitali, coincide generalmente con la fine dell’esercizio sociale, che è il 31 dicembre di ogni anno, ma tale data indica solo il momento in relazione al quale viene rappresentata la situazione patrimoniale della società, perché il bilancio viene redatto e poi approvato dai soci in un momento successivo alla chiusura dell’esercizio sociale cui il bilancio si riferisce.
Ne consegue che, nel caso di specie, sebbene nel capo di imputazione si facciano coincidere le date di consumazione dei singoli delitti di false comunicazioni sociali con le date di chiusura degli esercizi ai quali i bilanci si riferiscono, in realtà i singoli reati sono stati commessi in epoca successiva.
Dalle due sentenze di merito non risulta, però, possibile ricavare le date di
consumazione dei singoli delitti di false comunicazioni sociali, cosicché anche tale questione deve essere rimessa al Giudice del rinvio.
Concludendo, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese processuali tra le parti private.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno. Spese della parte civile a definitivo.
Così deciso il 09/07/2025.