Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 39176 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 39176 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME · nato a GENOVA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/03/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso e la conferma delle statuizioni civili. uditi i difensori presenti:
AVV_NOTAIO NOME COGNOME del foro di LECCO, per la parte civile che ha depositato conclusioni scritte e nota spese e ha chiesto il rigetto del ricorso presentato con la conferma delle statuizioni civili.
AVV_NOTAIO NOME COGNOME del foro di LECCO difensore di COGNOME NOME, presente in proprio e quale sostituto del difensore AVV_NOTAIO del foro di MONZA, che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 47909/23 del 10 novembre 2023, la Terza sezione penale di questa Corte ha annullato la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Milano il 26 gennaio 2023 nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. L’annullamento Ł avvenuto senza rinvio, essendo il reato estinto per prescrizione/ quanto all’affermazione della penale responsabilità degli imputati per la contravvenzione di cui agli artt. 110, 113 cod. pen. e 44, comma l, lett. b) d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (capo 1). ¨ stata annullata senza rinvio per intervenuta prescrizione anche l’affermazione della penale responsabilità di NOME COGNOME per il delitto di cui all’art. 481 cod. pen. commesso in Lecco il 27 settembre 20131 che gli era stato contestato al capo 2). L’annullamento Ł stato disposto con rinvio in relazione ad altra violazione dell’art. 481 cod. pen., in tesi accusatoria commessa il 26 giugno 2015, anch’essa ascritta a COGNOME al capo 2) della rubrica. La sentenza rescindente ha rilevato che quest’ultimo reato, a differenza degli altri, non era estinto per prescrizione e ha ritenuto che la Corte di appello non avesse fornito motivazione adeguata con riferimento ad alcune delle doglianze formulate da COGNOME nei motivi dì gravame in relazione alle quali, dunque, era necessario un approfondimento.
2. Come emerge dalla lettura della sentenza rescindente (pag. 25 e pag. 29), l’illecito urbanistico di cui al capo 1) si Ł estinto per prescrizione il 7 novembre 2022 e la violazione dell’art. 481 cod. pen. del 27 settembre 2013, contestata nel capo 2), si Ł estinta per prescrizione il 31 dicembre 2022. In entrambi i casi, la prescrizione Ł intervenuta dopo la sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Lecco il 28 gennaio 2022 con la quale NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati ritenuti responsabili dei reati sopra indicati (COGNOME anche del reato di cui agli artt. 640, 61 n. 7 cod. pen. in danno di NOME COGNOME, che Ł stato dichiarato estinto per prescrizione dalla Corte di appello).
Nel procedimento si erano costituiti parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, acquirenti degli immobili oggetto dell’illecito urbanistico. All’esito del giudizio di primo grado, COGNOME, COGNOME e COGNOME furono condannati, in solido, al risarcimento dei danni nei confronti di COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME. Il solo COGNOME fu condannato al risarcimento del danno nei confronti della parte civile NOME COGNOME (costituitasi in giudizio, oltre che quale danneggiata dall’illecito urbanistico e dal faiS0 1 anche quale persona offesa dal reato di truffa contestato al capo 3). In favore di tutte le parti civili fu lìquidata una provvisionale di € 10.000 1 00.
PoichØ le statuizioni civili della sentenza di primo grado erano state confermate in grado di appello, l’annullamento senza rinvio per prescrizione (maturata dopo il giudizio di primo grado e prima della sentenza di appello) richiedeva che, in sede di legittimità, ci si pronunciasse sulle doglianze relative alla sussistenza dei reati prescritti, il cui eventuale accoglimento avrebbe potuto incidere su tali statuizioni.
La sentenza n. 47909/23 del 10 novembre 2023 ha ritenuto sussistente l’illecito contravvenzionale di cui al capo 1) ed anche la falsità della certificazione sottoscritta da COGNOME il 27 settembre 2013, con la quale (come si legge a pag. 29 della sentenza stessa) egli aveva attestato «che le opere realizzate sul map. 6768 fossero conformi agli atti progettuali depositati con DIA del 29 settembre 2008 e successive varianti». Per questi reati, infatti, l’annullamento Ł avvenuto senza rinvio limitatamente alle statuizioni penali, ferme restando «le statuizioni civili di condanna a favore di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME/ COGNOME NOME» delle quali Ł stata disposta la «conferma» (così, testualmente, nel dispositivo e a pag. 35 della motivazione}.
Come si Ł detto, l’annullamento Ł stato disposto con rinvio quanto alla violazione dell’art. 481 cod. pen. del 26 giugno 2015 (per la quale il termine di prescrizione non Ł ancora decorso). La sentenza rescindente ha demandato «alla Corte di appello in sede dì rinvio» anche una nuova valutazione sulle «statuizioni civili a favore di COGNOME NOME».
Nel disporre l’annullamento con rinvio, la Terza Sezione penale ha rilevato che non tutte le doglianze sollevate nell’appello proposto da NOME COGNOME in relazione alla affermazione di penale responsabilità per il reato di cui all’art. 481 cod. pen. del 26 giugno 2015 avevano trovato adeguata risposta. Ha ritenuto, pertanto, che la motivazione dovesse essere integrata con riferimento ad alcuni temi, specificamente indicati alle pagine 33 e 34 della motivazione.
Ai giudici del rinvio Ł stato chiesto:
di motivare sulle ragioni per le quali il contenuto dell’atto era stato ritenuto falso e di fornire risposta alla prospettazione difensiva secondo la quale, poichØ COGNOME aveva attestato che i lavori eseguiti erano conformi ai titoli edilizi (in specie agli strumenti urbanistici di dettaglio attuati attraverso le DIA e le SCIA), in presenza di schede catastali rispondenti alle pratiche edilizie 1 non si poteva sostenere che la dichiarazione fosse ideologicamente falsa;
-di motivare sulle ragioni della rilevanza ex art. 481 cod. pen. della dichiarazione del 26 giugno 2015, contenente, in tesi difensiva, un «giudizio di conformità tra realizzato e pratiche edilizie» privo di disvalore penale;
-di chiarire che non vi fosse stata «confusione tra l’art. 481 cod. pen. e le disposizioni riguardanti le norme sulle asseverazioni di cui all’art. 20, comma 13, e 23 TUE (ciò , soprattutto alla luce della giurisprudenza la quale ritiene che il reato di cui all’art. 20, comma 13, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, introdotto dalla legge 12 luglio 2011 n. 106, che punisce le false dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni circa l’esistenza dei requisiti e presupposti per il rilascio del permesso di costruire, ha un ambito applicativo che si sovrappone interamente alla fattispecie di falso ideologico in certificati commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessità (art. 481 cod. pen.) e di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.), di cui assorbe il disvalore, e si consuma quando oggetto di asseverazione non siano esclusivamente fatti che cadono sotto la percezione materiale dell’autore della dichiarazione, ma giudizi (Sez. 3, n. 29251 del 05/05/2017, Rv. 270432- 01)»;
di motivare sulle ragioni della ritenuta sussistenza dell’elemento psicologico del reato tenendo conto del fatto che, prima della dichiarazione di fine lavori di cui si discute, COGNOME aveva presentato pratiche edilizie corredate da fotografie idonee a documentare la tipologia e la conformazione degli edifici e, in tesi difensiva, di fronte al dato rappresentato fotograficamente «non sarebbe stato possibile intervenire con contrarie false attestazioni»;
di motivare, infine, sulle ragioni per le quali al collaudatore poteva essere ascritto un falso avente ad oggetto l’utilizzazione dei vani accessori. Ciò alla luce della giurisprudenza secondo la quale non Ł certo possibile attestare falsamente le intenzioni del committente o del proprietario quanto alla destinazione dei locali.
3.1. Giudicando in sede di rinvio, con sentenza del 7 marzo 2024, la Corte di appello di Milano ha confermato l’affermazione della penale responsabilità di COGNOME per la violazione dell’art. 481 cod. pen. commessa il 26 giugno 2015 e (tenendo conto della intervenuta dichiarazione di prescrizione per altri reati) ha rideterminato la pena nella misura di mesi sei di reclusione. Ha confermato, inoltre, le statuizioni civili in favore di NOME COGNOME condannando l’imputato a rifondere a questa parte civile «le spese di proseguita difesa, sia nel giudizio di legittimità che nel giudizio di rinvio».
Contro la sentenza del 7 marzo 2024, NOME COGNOME ha proposto tempestivo ricorso per mezzo dei difensori di fiducia cui ha conferito apposito mandato ex art. 581, comma 1 quater, cod. proc. pen.
In premessa, la difesa rileva che l’annullamento con rinvio Ł stato disposto con esclusivo riferimento alla dichiarazione di fine lavori del 26 giugno 2015, riguardante l’unità immobiliare contraddistinta dal mappale 6768 sub. 702 e 703 di proprietà di NOME COGNOME, sicchØ i giudici di rinvio avrebbero dovuto
motivare con riferimento esclusivo al contenuto di quella dichiarazione e degli atti ad essa relativi senza fare riferimento, come invece Ł avvenuto, all’atto di acquisto relativo all 1 immobile di proprietà di NOME COGNOME e alla documentazione catastale ad esso allegata. Secondo la difesa, NOME COGNOME non avrebbe avuto titolo a interloquire sull’imputazione oggetto del giudizio di rinvio non essendo stata danneggiata dalla ipotizzata falsità (riguardante un documento riferito all’immobile acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE) e la presenza in giudizio di questa parte civile Ł stata ritenuta doverosa solo in ragione del contenuto della sentenza rescindente, che ha imposto una nuova valutazione delle statuizioni civili relative alla posizione COGNOME e ha sancito l’irrevocabilità delle statuizioni civili riguardanti la RAGIONE_SOCIALE.
Tanto premesso, la difesa articola sette motivi che di seguito si riportano, nei limiti strettamente necessari alla decisione, come previsto dall’art. 173, comma 1, d.lgs. 28 luglio 1989 n. 271.
4.1. Col primo motivo, i difensori deducono violazione di legge e vizi di motivazione. Rilevano che la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente la falsità del contenuto dichiarativo del documento del 26 giugno 2015 in relazione a due fatti nuovi e diversi rispetto a quelli oggetto di imputazione: la presentazione a catasto di ptanimetrie attestanti una situazione differente rispetto a quella delle schede catastali e delle «fotografie» allegate ai rogiti; la decisione di allegare alla richiesta di agibilità relativa alle unità immobiliari planimetrie attestanti una situazione diversa da quella reale.
La difesa osserva: che oggetto del giudizio di rinvio era la sola dichiarazione di fine lavori del 26 giugno 2015 alla quale non era allegata alcuna planimetria; che le planimetrie catastali prodotte dalla difesa della COGNOME (cui la sentenza di appello fa riferimento) sono mere «bozze», mai depositate a catasto (lo dimostra il fatto che sono prive del codice meccanografico identificativo) e sono dunque prive di ogni valore probatorio; che COGNOME non Ł mai stato chiamato a rispondere dell’ipotizzata falsità delle schede catastali sicchØ le argomentazioni sviluppate dalla Corte di appello su questo tema non sono pertinenti all’imputazione come formulata; che in ogni caso vi Ł perfetta corrispondenza tra le schede planimetriche depositate a catasto e quelle estratte dallo studio notarile in copia conforme e allegate agli atti di compravendita C compresi quelli sottoscritti da COGNOME e COGNOME); che, inoltre, vi Ł perfetta corrispondenza tra le schede planimetriche depositate a catasto e quelle allegate alla dichiarazione parziale di fine lavori del 27 settembre 2013, mentre nessuna scheda catastale Ł stata allegata alla dichiarazione di fine lavori del 26 giugno 2015 (relativa all’immobile di proprietà RAGIONE_SOCIALE).
In sintesi, la difesa rileva che l’imputazione per la quale Ł stato disposto l’annullamento con rinvio Ł quella con la quale Ł stato contestato a COGNOME di «aver falsamente dichiarato nel fine lavori del 26 giugno 2015, su modulo prestampato, la loro rispondenza al progetto» (così testualmente, pag. 8 deWatto di ricorso), sicchØ solo di questo la sentenza impugnata avrebbe dovuto occuparsi e su questo avrebbe dovuto motivare invece di argomentare su falsità non contestate.
4.2. Col secondo motivo (strettamente connesso al primo), la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione per essere stati disattesi i principi affermati dalla sentenza rescindente e per essere state violate le norme sul giudicato. Sostiene che la Corte territoriale avrebbe desunto la responsabilità per il fatto del 26 giugno 2015 dalla ritenuta falsità della dichiarazione di fine lavori parziale del 27 settembre 2013 che non era oggetto del giudizio di rinvio. Secondo la difesa, la Corte di appello ha confuso le due dichiarazioni che sono state separatamente contestate proprio perchØ differenti «quanto ad oggetto (unità immobiliari), nominativi degli interessati e consistenza». Di conseguenza, la motivazione fornita Ł illogica e carente: illogica, perchØ fa riferimento a documenti diversi rispetto alla dichiarazione del 26 giugno 2015 e a fatti che non riguardano la presentazione di questa dichiarazione; carente, perchØ omette di esaminare il contenuto di questa dichiarazione e non spiega perchØ quanto dichiarato non sarebbe conforme al vero.
Con specifico riguardo al contenuto dichiarativo del documento, la difesa rileva che COGNOME, quale «collaudatore e direttore dei lavori», certificò che le opere relative all’unità immobiliare mapp. 6768 sub. 702-70~ di proprietà di NOME COGNOME, erano conformi «agli atti progettuali depositati con la domanda di inizio lavori presentata il 29.9.2008 e con le successive varianti» ivi compresa la «SCIA finale del 15.6.2015». Osserva che tale dichiarazione «reca il mero accertamento dei fatti percepiti» dal dichiarante e il reato sarebbe configurabile in presenza di una «alterazione della verità contenutistica della dichiarazione»: quindi di un «distorcimento del vero percepito>>. Sottolinea che a fronte di una dichiarazione sottoscritta nel giugno 2015 i primi sopralluoghi intervennero nel 2017 e la stessa COGNOME (sentita quale testimone in udienza) ha dichiarato di aver tenuto in casa gli operai anche dopo il mese di giugno «per altre finiture e lavori fino al settembre 2015».
La difesa del ricorrente si duole che, nel valutare se la dichiarazione sottoscritta da COGNOME fosse o meno conforme al vero, la sentenza impugnata non abbia tenuto conto del contenuto della SCIA in variante del 15 giugno 2015 e non abbia spiegato perchØ quanto attestato in questo documento- cui erano allegate fotografie atte a documentare la tipologia e la conformazione dell’edificio- debba essere ritenuto non conforme alla situazione verificata da COGNOME nel giugno 2015; situazione che ben potrebbe essere stata modificata successivamente.
In sintesi, i difensori del ricorrente sostengono che «la percezione di accertamento del fabbricato finito» e della sua conformità agli atti progettuali avrebbe dovuto essere valutata tenendo conto, quale dato di partenza, della SCIA in variante del 15 giugno 2015. Si dolgono che la Corte di appello abbia trascurato il contenuto di questo documento omettendo di spiegare perchØ la situazione esistente alla data del 26 giugno 2015 dovrebbe ritenersi non conforme rispetto a quella attestata (quanto a lavori già eseguiti o ancora da eseguire) dalla SCIA in variante depositata il 15 giugno 2015.
La difesa sottolinea che, secondo la sentenza impugnata (pag. 13), la falsità della «dichiarazione di conformità resa da COGNOME, in relazione all’opera finita rispetto al progetto presentato in sede di pratica RAGIONE_SOCIALE», dovrebbe essere valutata avendo, quale parametro di riferimento, le schede catastali allegate ai rogiti, che erano «corrispondenti alle opere realmente realizzate», ma non erano conformi a quelle a disposizione dell’autorità amministrativa competente e non erano coerenti con il progetto. Così argomentando sostiene la difesa la Corte territoriale ha reso una motivazione manifestamente illogica perchØ ha desunto dall’asserita difformità tra le schede consegnate agli acquirenti e quelle depositate a catasto la falsità di una dichiarazione alla quale nessuna scheda catastale Ł allegata. A sostegno di tale argomentazione/ la difesa ricorda che, in data 13 luglio 2015, NOME COGNOME depositò una richiesta di agibilità che conteneva uno «schema di descrizione del fabbricato» e uno «schema di composizione dell’unità» e questi documenti (ignorati dalla Corte di appello) attestavano una situazione conforme a quella indicata nella SCIA in variante e 1 quindi, conforme alla situazione descritta nella dichiarazione di fine lavori e nel certificato di collaudo del 26 giugno 2015.
4.3. Col terzo motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione quanto alla ritenuta esistenza del dolo. Osserva che, secondo la Corte di appello, la falsa dichiarazione di fine lavori era funzionale a truffare gli acquirenti e tale motivazione Ł manifestamente illogica perchØ, quando la dichiarazione in parola fu sottoscritta, la COGNOME era da tempo proprietaria dell’immobile. Secondo la difesa, COGNOME non avrebbe avuto ragione di sottoscrivere una dichiarazione ideologicamente falsa. Alla SCIA del 15 giugno 2015, infatti[ erano allegate fotografie attestanti lo stato dei luoghi che, per come percepito dall’imputato, era conforme al progetto e ai suoi mutamenti in corso d’opera, mutamenti fatti oggetto di numerose DIA in variante e, infine, della SCIA del 15 giugno. Secondo la difesa, dunque, quand’anche falsa, la dichiarazione di conformità resa da COGNOME non sarebbe consapevolmente tale perchØ egli non aveva ragione di certificare il falso e perchØ attestò, secondo quanto da lui percepito, la congruenza tra i lavori eseguiti e il progetto come progressivamente mutato in corso d’opera.
4.4. Col quarto motivo, la difesa deduce inosservanza della legge penale e vizi di motivazione con riferimento alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. Si duole che la Corte territoriale abbia valutato il fatto grave e l’offesa non tenue tenendo conto dell’insieme dei fatti oggetto di imputazione, laddove la valutazione avrebbe dovuto essere compiuta con esclusivo riferimento al falso del giugno 2015.
Osserva: che l’abitazione oggetto della dichiarazione ritenuta falsa non Ł stata dichiarata non agibile; che, a seguito della riduzione delle altezze del piano seminterrato e alla modifica parziale del piano sottotetto, il RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto sanati gli abusi; che la «ipotetica differenza volumetrica legata all’abuso (e alla dichiarazione di fine !avori del 26 giugno 2015) Ł di cm. 10 per una superficie di 50 mq circa, ovvero 5,6 mc., con costi edili di circa 2.500 euro» e lo stesso calcolo può essere fatto per le altre villette vendute, mentre quelle non vendute e non finite al momento del sequestro «sono state conformate con lavori autorizzati anche dal PM e dal Giudice di Lecco, che hanno dato assenso al dissequestro ben prima della sentenza di primo grado». Si sarebbe, dunque, «ben lontani dall’astronomico valore di 1.400 metri cubi, citati a sproposito nella sentenza impugnata».
Non rilevano inoltre- ancorchØ citati dalla sentenza impugnata i precedenti penali dell’imputato e la ritenuta non occasionalità del fatto che, comunque, Ł altro dall’abitualità.
4.5. Col quinto motivo, la difesa deduce violazione dell’art. 133 cod. pen. e vizi di motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio. Si duole che non sia stata motivata la scelta dì applicare la pena detentiva e del fatto che questa pena sia stata determinata in misura superiore al minimo edittale. Rileva che tale scelta Ł stata fondata sulle medesime illogiche argomentazioni spese per escludere la particolare tenuità del fatto.
4.6. Col sesto motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizi di motivazione per la mancata applicazione delle attenuanti generiche. Si duole che non si sia tenuto conto a tal fine del fatto che sono stati corrisposti alle parti civili «tutti i risarcimenti ad esse riconosciuti, pagando anche tutte le spese legali».
7. Col settimo motivo, la difesa lamenta violazione di legge e vizi di motivazione per essere stato riconosciuto a NOME COGNOME il diritto alla rifusione delle spese legali sostenute per il giudizio di rinvio. Osserva che «vi Ł stata una sostituzione di persona tra la parte civile che sarebbe stata legittimata (COGNOME NOME)» e COGNOME NOME «già ristorata nei precedenti gradi», la quale avrebbe deciso di proseguire nella partecipazione al processo ancorchØ avente ad oggetto un «capo di imputazione che la vedeva estranea».
Con memoria in data 29 agosto 2024, il difensore dì NOME COGNOME ha chiesto la conferma delle statuizioni civili riguardanti la propria assistita e la conferma della condanna alla rifusione delle spese legali di tutti i gradi di giudizio, compreso il giudizio di rinvio. Ha chiesto, inoltre/ la condanna dell’imputato ricorrente alla rifusione delle spese relative al presente giudizio di legittimità.
Il 24 settembre 2024, la difesa del ricorrente ha depositato una memoria difensiva, corredata da allegati, insistendo nei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso non meritano accoglimento.
Il presente procedimento ha ad oggetto l’asserita falsità della «certificazione di collaudo finale parziale» sottoscritta da NOME COGNOME nella qualità di «progettista» e «direttore dei lavori», depositata presso il RAGIONE_SOCIALE di Lecco il 26 giugno 2015 e inserita nella «dichiarazione di fine lavori» riferita «alle sole unità mappale 6768 sub. 702/703 e mappale 6767» sottoscritta da NOME COGNOME (quale Amministratore RAGIONE_SOCIALE e legale rappresentante della “RAGIONE_SOCIALE“, proprietaria dei mappali 6767NUMERO_CARTA6795) e NOME COGNOME (proprietaria dell’unità immobiliare contraddistinta dal mappale 6768 sub. 702 e 703).
Il documento di cui si assume la falsità, redatto su modulo prestampato, così testualmente recita: «il sottoscritto NOME COGNOME NOME su incarico della società RAGIONE_SOCIALE e della sig.ra COGNOME NOME, in qualità di Progettista e Direttore dei lavori, consapevole di assumersi ogni responsabilità in caso di dichiarazioni mendaci, CERTIFICA (ai sensi dell’art. 42, comma 14, della legge Regionale 11 marzo 2005 n. 12) che le opere realizzate sono conformi agli atti progettuali depositati con la Denuncia di Inizio Attività presentata in data 29 settembre 2008 prot. n. NUMERO_DOCUMENTO, e successive varianti: in data 12.11.2008, prot. n. NUMERO_DOCUMENTO; in data 2.12.2008, prot. n. NUMERO_DOCUMENTO; in data 23.12.2008, prot. n. NUMERO_DOCUMENTO; in data 13.01.2009, prot. NUMERO_DOCUMENTO; in data 10.02,2009, prot. n. NUMERO_DOCUMENTO; del 02.02.2018; del 17.02.2010; del 02.08.2010 rinnovo in data 19.10.2012, variante de/19.09.2013 e SCIA finale del15.06.2015.>>.
In sede di rinvio la Corte di appello non doveva nØ poteva mettere in discussione quanto definitivamente affermato dalla sentenza rescindente, sia in ordine alla sussistenza dell’illecito urbanistico, sia quanto alla possibilità di applicare l’art. 481 cod. pen. in casi di «infedele attestazione della sussistenza delle condizioni di sicurezza, di igiene, di salubrità e di risparmio energetico del
fabbricato e degli impianti, nello stesso installati, nonchØ della conformità dell’opera al progetto presentato e della sua agibilità» essendo soggetta invece a sanzione pecuniaria la «mancanza di segnalazione certificata delle predette condizioni>> (così recita una delle massime tratte dalla sentenza rescindente Sez. 3, 47909 del 10/11/2023 Rv. 285538).
Nel rispetto dei principi affermati da questa sentenza, la Corte di appello era tenuta a verificare: se, essendosi limitato ad attestare la conformità delle opere realizzate agli atti progettuali, COGNOME aveva reso una dichiarazione ideologicamente falsa; se questa attestazione, inserita in una dichiarazione di fine lavori, fosse rilevante ex art. 481 cod. pen.; se il dolo del reato potesse essere ritenuto sussistente ancorchØ alla SCIA cui la attestazione faceva riferimento fossero state allegate fotografie idonee a documentare lo stato dei luoghi e benchØ la destinazione d’uso che sarebbe stata data ai vani accessori posti al piano seminterrato e al piano sottotetto non potesse essere oggetto di certificazione perchØ conseguente a una libera e futura scelta degli acquirenti.
Sulla base dei principi affermati dalla sentenza di annullamento, in sede di rinvio la Corte di appello doveva anche dare risposta all’ulteriore questione posta dall’appellante in ordine alla possibilità che vi fosse stata “confusione” tra il piano applicativo dell’art. 481 cod. pen. e le disposizioni riguardanti le norme sulle asseverazioni di cui all’art. 20, comma 13, e 23 TUE. Ciò, soprattutto, «alla luce della giurisprudenza la quale ritiene che il reato di cui all’art. 20, comma 13, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, introdotto dalla legge 12 luglio 2011 n. 106, che punisce le false dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni circa l’esistenza dei requisiti e presupposti per il rilascio del permesso di costruire, ha un ambito applicativo che si sovrappone interamente alla fattispecie di falso ideologico in certificati commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessità (art. 481 cod. pen.) e di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.), di cui assorbe il disvalore, e si consuma quando oggetto di asseverazione non siano esclusivamente fatti che cadono sotto la percezione materiale dell’autore della dichiarazione, ma giudizi (Sez. 3, n. 29251 del 05/05/2017, Rv. 270432- 01)». Su questo ultimo punto la Corte di appello ha argomentato sottolineando che nella certificazione compiuta da COGNOME a fine lavori -attestante la corrispondenza tra l’opera effettivamente realizzata e la pratica RAGIONE_SOCIALE, comprensiva di tutte le successive varianti non v’erano profili valutativi, sicchØ la disposizione di cui all’art. 20, comma 13, d.P.R. n. 380/2001 non poteva trovare applicazione. Il ricorrente non ha formulato motivi con riferimento a questa parte della decisione, sicchØ il tema non deve essere ulteriormente affrontato.
3. Col primo e col secondo motivo, il ricorrente sostiene che COGNOME si sarebbe limitato ad esprimere un giudizio di conformità fra quanto realizzato e il contenuto delle pratiche edilizie sicchØ, nel valutare se la dichiarazione fosse falsa, la Corte di appello avrebbe dovuto verificare il contenuto delle varianti, in specie della NUMERO_DOCUMENTO del 15 giugno 2015, cui erano allegate anche fotografie attestanti lo stato dei luoghi.
Secondo fa difesa, la sentenza impugnata ha sostenuto la falsità dell’atto facendo riferimento a planimetrie catastali non conformi al progetto che erano state allegate a precedenti dichiarazioni del 27 settembre 2013 (relative ad altri fabbricati e, tra questi, a quello acquistato da NOME COGNOME). La violazione dell’art. 481 cod. pen. del 27 settembre 2013, però, Ł stata dichiarata prescritta dalla sentenza rescindente che ha annullato senza rinvio fa relativa condanna. Pertanto, la motivazione sarebbe manifestamente illogica: la Corte territoriale, infatti, non avrebbe dovuto occuparsi della dichiarazione del settembre 2013, ma esclusivamente di quella del giugno 2015 e avrebbe dovuto prendere atto che a questa dichiarazione (l’unica oggetto del giudizio di rinvio) non era allegata alcuna planimetria.
La lettura del provvedimento impugnato non fornisce conferma ai rilievi critici così formulati. Se Ł vero, infatti, che nella motivazione si dà ampio spazio alla differenza esistente tra le planimetrie che furono consegnate alla COGNOME e allegate alla dichiarazione di fine lavori relativa all’immobile da lei acquistato rispetto alle planimetrie depositate a catasto (solo queste conformi al progetto); Ł pur vero che, con questo riferimento, la Corte territoriale ha evidenziato come, già nel 2013, le opere concretamente realizzate erano diverse rispetto a quelle previste dagli atti progettuali depositati con la denuncia di inizio attività e con le successive varianti. A sostegno di tali conclusioni la sentenza impugnata cita: a pag. 12 le dichiarazioni rese in dibattimento dall’architetto NOME COGNOME (all’epoca dei fatti componente dell’Ufficio Tecnico del RAGIONE_SOCIALE Lecco) secondo la quale le schede depositate presso l’ufficio del catasto erano conformi alla pratica RAGIONE_SOCIALE; ma, a pag. 17, cita anche le dichiarazioni rese dagli acquirenti, i quali hanno riferito di aver ricevuto da COGNOME schede tecniche dalle quali si evinceva che gli edifici avrebbero avuto tre piani e, a differenza di quanto risultava a catasto, il piano seminterrato, come il sottotetto, sarebbero stati dotati di finestre e servizi igienici. Come risulta dalla sentenza impugnata, inoltre, tutti gli acquirenti hanno concordemente riferito che, nel corso delle trattative di acquisto, avevano avuto contatti con COGNOME, il quale era a conoscenza delle loro esigenze abitative.
Nessun profilo di contraddittorietà o manifesta illogicità può essere ravvisato nell’aver desunto da questi dati che, quando certificò la conformità delle «opere
realizzate» agli «atti progettuali depositati», COGNOME rese una dichiarazione non conforme al vero.
Il ricorrente sostiene che la falsità della dichiarazione del 26 giugno 2015 avrebbe dovuto essere valutata con riferimento al contenuto della SCIA in variante depositata il 15 giugno 2015 1 espressamente richiamata in quella dichiarazione e si duole che la Corte territoriale abbia fatto riferimento alla divergenza esistente tra le schede depositate a catasto (conformi al progetto) e alcune «bozze» di quelle schede 1 mai depositate e quindi prive di ogni valore.
Così argomentando, tuttavia, la difesa sembra ignorare il contenuto della sentenza rescindente che ha definitivamente accertato la sussistenza dell’illecito urbanistico: un accertamento definitivo che costituiva premessa logica del giudizio di rinvio.
4.1. Come noto, ai sensi dell’art. 22, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 sono realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) «le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria RAGIONE_SOCIALE, non alterano la sagoma dell’edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell’attività di vigilanza urbanistica ed RAGIONE_SOCIALE, nonchØ ai fini del rilascio del certificato di agibilità, tali segnalazioni certificate di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell’intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori».
La sentenza che ha definitivamente accertato l’illecito urbanistico ascritto a COGNOME quale «progettista e direttore dei lavori», fa riferimento al contenuto della SCIA del giugno 2015 e riporta quanto Ł stato riferito sul punto dalla prima sentenza della Corte di appello di Milano. Leggendola, sì apprende (pag. 14): che nella SCIA del giugno 2015 erano state comunicate «tra le altre modifiche, quella dell’inclinazione della copertura» ed era stato indicato un «lieve aumento dell’altezza media, che passa da 1,0 m. a 1,88 m. senza aumento della superficie lorda di pavimento o di volume». La sentenza rescindente dà atto che, secondo quanto riferito dai giudici di merito, l’art. 7 delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del RAGIONE_SOCIALE di Lecco, stabiliva per il PL 25 (vale a dire per il piano di lottizzazione in base al quale fu avviato l’intervento urbanistico oggetto del procedimento) che l’altezza dei singoli volumi fosse «limitata ad un piano fuori terra». Se ne desume che, attestando la conformità di quanto realizzato a
documenti che dovevano, a loro volta, essere conformi alle NTA (la prima DIA, alternativa al permesso di costruire, tutte le DIA in variante e la SCIA del 15 giugno 2015}, COGNOME confermò la realizzazione di un fabbricato costituito da un solo piano fuori terra, con un «lieve» incremento dell’altezza media (da 1,0 m. a 1,88 m.) senza aumento della superficie lorda di pavimento o di volume.
Dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado che, per questa parte, possono essere lette congiuntamente e costituiscono un RAGIONE_SOCIALE complessivo corpo decisionale -emerge, invece (pag. IX della sentenza di primo grado, pag. 18 della sentenza impugnata}:
-che, nei progetti, il piano inferiore dell’edificio risultava interrato con aperture a bocche di lupo aperte su intercapedini, mentre l’immobile realizzato aveva un lato interamente fuori terra, presentava, al posto delle bocche di lupo aperte sul muro, aperture effettive costituite da porte finestre, e aveva un’altezza effettiva superiore a 2,40 m.;
-che, nei progetti, il sottotetto non presentava aperture effettive diverse da finestre tipo “Velux”, ma nella realtà erano state realizzate vere finestre e porte finestre che davano accesso a terrazzi;
-che, secondo la teste COGNOME, ciò aveva comportato un rilevante aumento del volume urbanistico per ogni singolo immobile e per l’intero complesso immobiliare.
Si tratta di circostanze di fatto che il ricorrente contesta in termini meramente oppositivi (e solo nei motivi che riguardano la mancata applicazione dell’art. 131 bis cod. pen e il trattamento sanzionatorio). Da questi dati, i giudici di merito hanno dedotto che.xquanto realizzato.)( non era conforme agli atti progettuali depositati presso il RAGIONE_SOCIALE di Lecco.
Ed ìnvero, come si legge a pag. 15 della sentenza rescindente (che fa rinvio, richiamandola per economia motivazionale, alla descrizione operata a pag. 28 della sentenza della Corte di appello di Milano del 26 gennaio 2023):
-il lieve aumento dell’altezza (così definito nella SCIA) «aveva in concreto comportato pressochØ il raddoppio dell’altezza del tetto, con la conseguente significativa modifica dell’inclinazione»;
-nei verbali dei sopra!luoghi fu dato atto di « una realtà totalmente diversa da quella descritta negli atti depositati in RAGIONE_SOCIALE»;
-i tecnici riferirono che i piani terra degli edifici risultavano «a una quota mediamente di m. 2,00 piø alta rispetto a quanto assentite»; che non era verificabile <<il rispetto dell'altezza di zona con riferimento sia al PRG PL 25 che al PGT»; che tutti i fabbricati- e, tra questi, il fabbricato G) mappale 6768 sub 702703 oggetto della dichiarazione del 26 giugno 2015 -presentavano un «aumento
di volumetria per i piani seminterrati di altezza superiore a quanto indicato nel PRG e nel PL 25».
Come risulta dalla sentenza di primo grado, i seminterrati realizzati avevano altezza interna superiore a m. 2,40 e avrebbero dovuto quindi essere considerati nella superficie lorda di pavimento (SLP) ciò che determinava un incremento significativo della volumetria dell'immobile. Ed infatti, le NTA del RAGIONE_SOCIALE di Lecco (riportate a pag. 21 della sentenza rescindente) oltre a stabilire che i sottotetti non debbano «presentare aperture finestrate e/o luci se non quelle strettamente adibite all'ispezione della copertura»- indicavano quale superficie utile «la somma di tutte le superfici di ciascun piano (anche interrato o seminterrato) o soppalco, misurate al netto delle murature perimetrali esterne ed al netto: a) della superficie dei vani completamente interrati o seminterrati e compresi nel sedime dell'edificio, destinati a funzioni accessorie o di servizio alle abitazioni (quali cantine, immondezzai, centrali termiche e di condizionamento} e purchØ con altezza interna, misurata dal piano del pavimento finito all'intradosso del solaio di copertura finito, non superiore a 2,40 m.; omissis; b) delle superfici dei vani sottotetto se aventi altezza media interna (senza considerare eventuali controsoffitti) non superiore a m 2,40 considerando l'intero sottotetto sino all'intradosso della copertura».
5. In punto di diritto, la sentenza rescindente osserva (pag. 16): che le prescrizioni contenute nel piano di lottizzazione e nella relazione tecnica illustrativa dettano <<le caratteristiche dell'urbanizzazione del sito» e sono vincolanti in quanto «hanno la funzione di pianificare l'uso del territorio»; che, pertanto, «le opere realizzate in difformità del piano di lottizzazione sono senz'altro non conformi alla disciplina urbanistica ed RAGIONE_SOCIALE vigente al momento della loro realizzazione (tra cui lo stesso piano di lottizzazione)»; che si tratta di opere non sana bili ex art. 37 d.P.R. n. 380/2001.
Di questi principi i giudici del rinvio hanno tenuto conto quando hanno sostenuto: che gli atti depositati non rappresentavano la concreta realtà delle opere realizzate; che questa realtà era rappresentata, invece, nelle bozze di schede catastali che erano state consegnate agli acquirenti (o almeno ad alcuni di loro); che di questa realtà COGNOME era consapevole. Come anche la difesa riferisce, infatti, COGNOME era l'ideatore e redattore del Piano di lottizzazione, era il direttore dei lavori (dunque doveva seguire le varie fasi della realizzazione degli immobili) e dalla sentenza impugnata risulta che si rapportò direttamente con alcuni acquirenti.
La motivazione Ł congrua e scevra da profili di contraddittorietà o manifesta illogicità, tanto piø se si considera che, come risulta dalla sentenza di primo grado
(pag. VII e VIII), la presenza di finestre non previste nel progetto e nelle piantine catastali riguardava indifferentemente tutti gli immobili (realizzati e in corso di realizzazione).
Con specifico riferimento all'immobile cui si riferisce la dichiarazione del 26 giugno 2015, si deve aggiungere che, come risulta dalla sentenza di primo grado, (pag. XII della motivazione), NOME COGNOME, sentita in udienza, ha dichiarato: di aver acquistato l'immobile dopo aver eseguito vari accessi in cantier7 visitando altri appartamenti nei quali era presente un bagno per ogni piano; di aver constatato che tutti gli immobili realizzati erano dotati al piano inferiore di portefinestre (dunque non di semplici bocche di lupo); di aver incontrato COGNOME nel corso delle trattative.
Si tratta di circostanze di fatto che il ricorrente non contesta perchØ si limita ad affermare che le schede depositate a catasto erano conformi ai progetti e nessuna scheda catastale era allegata alla dichiarazione del 26 giugno 2015.
Da queste circostanze i giudici di merito hanno desunto: che il contenuto delle DIA e della SCIA in variante depositate in RAGIONE_SOCIALE non era conforme a quanto effettivamente realizzato; che quanto realizzato non era conforme al piano di lottizzazione; che di questo COGNOME era consapevole. Sulla base di questa non illogica motivazione Ł stata ritenuta la falsità della dichiarazione con la quale COGNOME "certificò" ai sensi dell'art. 42, comma 14, L.R. 11 marzo 2005 n. 12 che le opere realizzate erano «conformi agli atti progettuali depositati con la Denuncia di Inizio Attività presentata in data 29 settembre 2008 prot. n. NUMERO_DOCUMENTO e successive varianti».
Secondo la sentenza impugnata, la dichiarazione sottoscritta da COGNOME, poichØ volta ad attestare la conformità dell'opera terminata agli atti progettuali, ha valore di certificazione e poichØ tale certificazione proviene dal progettista (e deve comunque essere redatta da un tecnico abilitato), la falsità rileva ai sensi dell'art. 481 cod. pen.
Si tratta di conclusioni non censurabili in punto di diritto.
La Corte di appello osserva, preliminarmente, che l'atto di cui si discute non ha contenuto valutativo e, per questo, nel caso di specie non trova applicazione la giurisprudenza secondo la quale, «non rientrano nella nozione di "certificati" quegli atti che, nell'ambito di un procedimento amministrativo per il rilascio di un'autorizzazione, non hanno la funzione di dare all'Amministrazione un'esatta informazione su circostanze di fatto e, quindi, di provare la verità di quanto in essi affermato, ma sono espressivi di un giudizio, di valutazioni e convincimenti soggettivi, sia pure erronei, ma che non alterano i fatti» (Sez. 2, n. 3628 del 12/12/2006, dep. 2007, Pinto, Rv. 235934).
La sentenza impugnata sottolinea poi che, anche se allegata alla dichiarazione di fine lavori sottoscritta da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nelle rispettive qualità di legale rappresentante della società proprietaria dei mappali NUMERO_CARTA e di proprietaria della unità immobiliare contraddistinta al mappale 6768 sub 702 e 703, la dichiarazione sottoscritta da COGNOME nella qualità di progettista e direttore dei lavori ha contenuto certificativo 1 essendo stata redatta ai sensi dell'art. 42 della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005 n. 12 (norma espressamente richiamata nel documento). Questa disposizione stabilisce infatti che, quando i lavori iniziati sulla base di una segnalazione certificata di inizio attività siano terminati, il progettista (o, in alternativa, un tecnico abilitato) deve rilasciare «un certificato di collaudo finale, che va presentato allo RAGIONE_SOCIALE'RAGIONE_SOCIALE, con il quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato con la segnalazione certificata di inizio attività».
Il riferimento normativa (esplicitato nell'atto) rende evidente che non si tratta di una mera dichiarazione, ma di una vera e propria certificazione, redatta da un professionista abilitato, perchØ volta ad evitare ulteriori controlli o verifiche da parte dell'amministrazione destinataria sul presupposto che i lavori siano iniziati sulla base di una segnalazione certificata di inizio attività.
Il caso in esame Ł diverso da quello cui si riferisce la sentenza Sez. 4, n. 30232 del 07/07/2021, COGNOME, Rv. 281741 1 che ha escluso la possibilità di qualificare come certificato una dichiarazione di fine lavori a firma del committente e del progettista che attesti la conformità dei lavori eseguiti al progetto approvato. Nel caso esaminato da quella sentenza, infatti, (come esplicitato a pag.13 della motivazione) la dichiarazione di fine lavori, sottoscritta dal committente e dal progettista, si riferiva ad un'opera la cui rìlevanza quale illecito urbanistico era stata esclusa.
Nel caso oggetto del presente giudizio, invece, la dichiarazione oggetto di imputazione Ł stata rilasciata ai sensi dell'art. 42 della legge della Regione Lombardia n. 12/2005 che parla in termini espliciti di "certificato". Del resto, anche l'art. 23, comma 7, d.P.R. n. 380/2001 richiede, che all'ultimazione dei lavori, il progettista o un tecnico abilitato rilascino «un certificato di collaudo finale, che va presentato allo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con il quale si attesta la conformità dell'opera al progetto presentato» e non si può ignorare che, nel caso di specie, la prima denuncia di inizio attività potØ essere presentata in attuazione del Piano di Lottizzazione n. 25, a quella denuncia furono apportate numerose varianti (prima con DIA e, da ultimo, con SCIA) e, con ciascuno di questi documenti, costituenti «parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale», il progettista attestò falsamente che le varianti non violavano le prescrizioni del PL e delle NTA.
Secondo quanto affermato dalla sentenza rescìndente: il piano di lottìzzazione e le prescrizioni contenute nella relazione tecnica illustrativa che lo integra sono vincolanti perchØ dettano «le caratteristiche dell'urbanizzazione del sito» e «hanno la funzione di pianificare l'uso del territorio» (pag. 16); gli interventi edilizi concretamente realizzati, poichØ difformi dal piano di fottizzazione nelle altezze e nella volumetriaf avrebbero richiesto «un permesso a costruire (o un titolo abilitativo equipollente, costituito, prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 222 del 2016 dalla "Super Dia")» (pag.19); il possesso di SCIA e DIA "ordinarie" (quali erano quelle presentate) non poteva rendere legittimi gli interventi edilizi in questione e gli stessi, non essendo rispondenti alle indicazioni normativamente previste, non potevano neppure «essere assentiti mediante una SCIA a sanatoria» (pag. 18). Nel caso di specie, dunque, la certificazione proveniente dal progettista (e direttore dei lavori) secondo la quale le opere realizzate erano conformi alla DIA del 29 settembre 2008 e a tutte le successive varianti, fino alla SCIA del 15 giugno 2015, era funzionale ad attestare la conformità dell'opera al piano dì lottizzazionef ciò che rende applicabile, ave la certificazione sia falsa, la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 481 cod. pen. integrata, peraltro, secondo quanto definitivamente affermato dalla sentenza rescindente, anche dalla falsa certificazione del 27 settembre 2013.
Quanto sin qui esposto assume rilievo anche con riferimento al terzo motivo di ricorso, col quale la difesa deduce violazione di legge e vizi di motivazione quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato.
Non v'Ł dubbio che la falsità della dichiarazione del 26 giugno 2015- riferita all'immobile di proprietà di NOME COGNOME non potesse essere funzionale alla realizzazione della truffa ai danni di NOME COGNOME. La falsità non era funzionale neppure a indurre la COGNOME ad acquistare, atteso che l/acquisto era già avvenuto. Per questa parte, dunque, la motivazione fornita dalla Corte territoriale appare illogica. Come si Ł detto, tuttavia, dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado emerge con chiarezza che COGNOME aveva una approfondita e risalente conoscenza degli strumenti urbanistici ai quali le opere realizzate dovevano attenersi e, quale direttore dei lavori, aveva seguito la realizzazione di quelle opere. In questa prospettiva non Ł illogico aver escluso che egli possa aver predisposto la dichiarazione in parola sulla base di quanto emergeva dalle fotografie o possa aver percepito una realtà diversa rispetto a quella che fu verificata nel corso dei sopralluoghi. Se Ł vero infatti che- come sottolineato dalla difesa i sopralluoghi sono successivi alla presentazione della dichiarazione del 26 giugno 2015, Ł pur vero che quei sopralluoghi (eseguiti a partire dal l o febbraio 2016, quando l/area fu sottoposta a sequestro) riscontrarono irregolarità in tutti
gli immobili e non solo in quello di proprietà di NOME COGNOME essendo emerso: che l'altezza degli edifici era superiore a quella prevista; che vi erano finestre ove avrebbero dovuto esserci bocche di lupo e lucernari; che i piani seminterrati avevano altezza interna superiore a m. 2,40 (con aumento conseguente della superficie lorda di pavimento e della volumetria dell'immobile). In questa situazione, la tesi difensiva secondo la quale le variazioni avrebbero potuto essere state apportate dall'interessata in epoca successiva alla 25 giugno 2015 non può che apparire come frutto di una mera congettura.
La tesi, sviluppata nei motivi di ricorso, secondo la quale «sarebbe stato autolesionistico/ da parte del professionista, incorrere in dichiarazioni false nella fine lavori parziale», dopo aver presentato l'aggiornamento ai titoli edilizi e le varianti (in specie la SCIA del 15 giugno 2015 e l'integrazione del 7 agosto 2015) contenenti la descrizione di quanto realizzato corredata da fotografie/ non tiene conto della non conformità delle varianti al PL 25 (accertata in via definitiva). NØ può discutersi in questa sede della inoffensività del falso – che dovrebbe desumersi dalla presenza/ in allegato alla SCIA/ di fotografie attestanti lo stato dei luoghi atteso che, in sede di rinvio, non Ł stato chiesto alla Corte di appello di compiere valutazioni su questo punto e i motivi con i quali, già nel primo ricorso, si sosteneva che, ove esistente, il falso sarebbe stato innocuo sono stati respinti.
¨ appena il caso di rilevare, infine, che -come ampiamente e non illogicamente argomentato dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado› la destinazione dei vani accessori presenti nel sottotetto e nel seminterrato ad uso abitativo non può essere ascritta a una iniziativa estemporanea degli acquirenti perchØ questa diversa utilizzazione risultava dal fatto che in ogni piano era stato realizzato un bagno; perchØ tutti i piani presentavano finestre e portefinestre; perchØ bozze catastali, nelle quali la diversa utilizzazione era prevista, erano state consegnate~ nel corso delle trattative, ad alcuni acquirenti. Non Ł illogico (e certamente non Ł contraddittorio)/ aver desunto da tali circostanze e dal fatto che, durante le trattative finalizzate all'acquisto, COGNOME ebbe rapporti personali con gli acquirenti l quali gli rappresentarono esigenze abitative che andavano ben al di là della superficie del piano terra (l'RAGIONE_SOCIALE abitabile secondo la documentazione depositata) -che l'imputato fosse consapevole della divergenza tra quanto concretamente realizzato e «gli atti progettuali» depositati in RAGIONE_SOCIALE, nessuno dei quali era difforme dal contenuto del PL 25 e delle NTA ad esso relative.
Alla luce di queste considerazioni, il terzo motivo di ricorso non merita accoglimento pur dovendosi dare atto al ricorrente che non tutte le argomentazioni spese dalla sentenza impugnata in ordine alla sussistenza dell'elemento psicologico del reato sono congrue. Ed invero, quando il convincimento del giudice poggia su piø ragioni distinte, ciascuna delle quali idonea a giustificare la decisione
. .
adottata, i vizi logici o giuridici relativi ad una sola di tali ragioni non inficiano la decisione poichØ essa trova adeguato sostegno negli altri motivi non affetti da quei vizi (Sez. 5, n. 37466 del 22/09/2021, COGNOME, Rv. 281877; Sez. 5, n. 2128 del 13/1/1978, COGNOME, Rv. 138077; Sez. 4, n. 216 del 02/05/1975, dep. 1976, Alba, Rv. 131797; Sez. l, n. 604 del 02/05/1967, COGNOME, Rv. 105773).
8. Col quarto motivo, la difesa deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione della causa di non punibilità dì cui all'art. 131 bis cod. pen. Si duole, in particolare, che la valutazione della gravità dell'offesa sia stata compiuta tenendo conto dell'insieme dei fatti ascritti a COGNOME, pur dichiarati prescritti, invece che con specifico riferimento al falso del giugno 2015. Sottolinea a tal fine che il fatto per il quale Ł intervenuta la dichiarazione di penale responsabilità non può essere considerato grave, atteso che l'immobile di proprietà della RAGIONE_SOCIALE non Ł stato dichiarato inagibile, l'ordine di demolizione Ł stato revocato e, con riferimento a questo immobile, l'aumento di cubatura (eliminato con costi edili di circa 2.500 euro) era modesto (5,6 mc. circa).
Come noto, il giudizio sulla tenuità del fatto necessario per poter applicare la causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 131 bis cod. pen. richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (cfr., per tutte, Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). In breve, come efficacemente chiarito dal supremo Collegio, (pag. 8 della motivazione della sentenza n.13681/2016) si richiede «una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta; e non solo di quelle che attengono all'entità dell'aggressione del bene giuridico protetto». Ai fini della applicazione dell'art. 131 bis cod. pen., infatti, «non esiste un'offesa tenue o grave in chiave archetipica. ¨ la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore».
La Corte territoriale ha fatto buon governo di questi principi considerando il contesto nel quale la condotta oggetto di imputazione si inseriva e argomentando sulla particolare intensità del dolo desunta dalla significativa difformità esistente tra quanto autorizzato e quanto concretamente realizzato. La motivazione non Ł illogica o contraddittoria/ atteso che i provvedimenti autorizzativi il cui rispetto fu l certificato da COGNOME avevano ad oggetto l'intero intervento urbanistico e (come posto in luce dalla sentenza di primo grado- pag. XXX della motivazione) la falsità era funzionale ad attestare la conformità dell'opera al piano di lottizzazione.
A ciò deve aggiungersi che il riferimento ai precedenti «anche specifici», non Ł finalizzato a sostenere l'esistenza di una abitualità ostativa e, come emerge chiaramente dal contenuto della motivazione, i precedenti sono stati indicati, ai sensi dell'art. 133 cod. pen., quale elemento del quale tenere conto nel valutare la gravità del fatto.
Non ha maggior pregio il quinto motivo col quale la difesa si duole della dosimetria della pena. La scelta di applicare la pena detentiva in luogo della pena pecuniaria prevista, in alternativa, dall'art. 481 cod. pen. Ł stata motivata con riferimento al contesto nel quale la falsa dichiarazione Ł avvenuta e tale motivazione non Ł illogica atteso che, pur dichiarandolo estinto per prescrizione, la sentenza rescindente ha ritenuto sussistente l'illecito urbanistico. Nell'affermare che il danno cagionato all'acquirente dell'unità immobiliare sarebbe modesto, inoltre, il ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza di primo grado (pag. XXXI e XXII) secondo la quale il falso aveva la funzione di occultare «l'illecito edilizio antecedente» e il danno lamentato dalle parti civili «discende, in sostanza, dall'acquisto di un bene affetto da gravi irregolarità edilizie», irregolarità che «possono incidere, tra le altre cose, sul valore dell'immobile».
Considerazioni analoghe devono essere svolte con riferimento al sesto motivo, col quale il ricorrente si duole della mancata applicazione delle attenuanti generiche. Basta in proposito ricordare che, per giurisprudenza costante, al fine di ritenere o escludere le circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente e atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicchØ anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato e alle modalità di esecuzione dello stesso può risultare sufficiente allo scopo (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014; COGNOME, Rv. 259899). La circostanza che l'imputato abbia rimborsato alle parti civili le spese legali e abbia provveduto al pagamento delle provvisionali non rileva in senso contrario, tanto piø che le statuizioni civili di condanna a favore di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono divenute irrevocabili.
Resta da esaminare il settimo motivo, col quale il ricorrente lamenta violazione di legge e vizi di motivazione per essere stato riconosciuto a NOME COGNOME il diritto alla rifusione delle spese legali sostenute per il giudizio di rinvio. La difesa osserva che «vi Ł stata una sostituzione di persona tra la parte civile che
sarebbe stata legittimata (COGNOME NOME)» e COGNOME NOME «già ristorata nei precedenti gradi» e sostiene che la COGNOME avrebbe deciso di proseguire nella partecipazione al processo ancorchØ avente ad oggetto un «capo di imputazione che la vedeva estranea».
Si obietta in proposito che la sentenza n. 47909/23 del 10 novembre 2023 ha disposto il rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano «quanto al reato di cui all'art. 481 cod. pen. commesso il 26/6/2015» ed anche «per le statuizioni civili a favore di COGNOME NOME» e ciò imponeva una nuova valutazione quanto alla posizione di questa parte civile.
PoichØ le statuizioni civili nei confronti della COGNOME non erano definitive (lo erano, invece, quelle in favore di NOME COGNOME) la COGNOME era legittimata a partecipare al giudizio di rinvio e a chiedere alla Corte di appello il rigetto dei motivi di impugnazione e la conferma delle statuizioni civili in suo favore. Analoga richiesta la parte civile ha formulato nel presente giudizio di legittimità a seguito di quanto stabilito dalla sentenza rescindente.
A ciò deve aggiungersi che l'errore in cui si assume essere incorsa la sentenza rescindente non Ł stato fatto oggetto di ricorso nei centottanta giorni dal deposito del provvedimento ai sensi dell'art. 625 bis cod. proc. pen. sicchØ COGNOME non può dolersene oggi, nØ può dolersi del fatto che NOME COGNOME abbia partecipato al giudizio di rinvio.
12. Per quanto esposto, i motivi di ricorso non meritano accoglimento. Al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. PoichØ Ł soccombente nei confronti della parte civile NOME COGNOME -regolarmente presente in giudizio a seguito dell'annullamento con rinvio disposto dalla sentenza 47909/23- il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese che la stessa ha sostenuto nel presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchØ alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dalla parte civile COGNOME NOME nel presente grado di legittimità che liquida in euro tremila oltre accessori come per legge.
Così deciso il 25 settembre 2024