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Falso ideologico: la conformità non è un’opinione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di falso ideologico (art. 481 c.p.) a carico di un progettista che aveva attestato la conformità di un’opera edilizia al progetto approvato. In realtà, gli immobili presentavano significative difformità, come piani seminterrati e sottotetti resi abitabili in violazione delle norme urbanistiche. La Corte ha stabilito che la dichiarazione di fine lavori, in questo contesto, costituisce un certificato e che la falsità, commessa con dolo, non poteva essere considerata di particolare tenuità, data la sua funzione di occultare un illecito urbanistico.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Falso Ideologico del Progettista: la Certificazione di Conformità non è un’Opinione

La responsabilità penale dei professionisti tecnici, come architetti, ingegneri e geometri, è un tema di cruciale importanza nel settore edilizio. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito la severità con cui l’ordinamento giuridico tratta il falso ideologico in certificati, confermando la condanna di un progettista per aver attestato una conformità urbanistica inesistente. Questa decisione sottolinea che la dichiarazione di fine lavori non è una mera formalità, ma un atto di fede pubblica con precise conseguenze legali.

I Fatti: Una Dichiarazione di Conformità Sotto Accusa

Il caso ha origine da un complesso intervento di lottizzazione per la costruzione di diverse unità immobiliari. Il progettista e direttore dei lavori, al termine di una parte delle opere, sottoscriveva una “certificazione di collaudo finale parziale”, inserita nella dichiarazione di fine lavori, attestando che le opere realizzate erano conformi ai progetti depositati (Denuncia di Inizio Attività e successive varianti, inclusa la SCIA finale).

Tuttavia, le indagini e i sopralluoghi successivi rivelarono una realtà ben diversa. Gli immobili presentavano significative difformità rispetto agli atti progettuali approvati:

* Piani seminterrati e sottotetti: Progettati come locali di servizio non abitabili (con piccole aperture tipo “bocche di lupo”), erano stati di fatto realizzati come piani abitabili, dotati di finestre, porte-finestre, servizi igienici e con un’altezza interna superiore a quella consentita (2,40 m).
* Aumento di volumetria: Tali modifiche avevano comportato un rilevante aumento del volume urbanistico, in violazione delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Comune, che limitavano la costruzione a un solo piano fuori terra.

Queste non conformità, oltre a costituire un illecito urbanistico, erano state taciute nella certificazione del professionista, dando il via al procedimento penale per il reato di falso ideologico in certificati commesso da persona esercente un servizio di pubblica necessità (art. 481 c.p.).

La Decisione della Corte di Cassazione sul Falso Ideologico

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del professionista, confermando la sua responsabilità penale. I giudici hanno stabilito che la condotta del progettista integrava pienamente gli estremi del reato contestato. La difesa aveva tentato di sostenere che si trattasse di un mero “giudizio di conformità” privo di disvalore penale e che le non conformità potevano essere state realizzate dagli acquirenti dopo la sua dichiarazione. Argomenti, questi, che non hanno trovato accoglimento.

La Suprema Corte ha chiarito che il professionista, attestando la conformità delle opere realizzate “agli atti progettuali depositati”, aveva reso una dichiarazione non conforme al vero, la cui falsità era rilevante ai sensi dell’art. 481 del codice penale.

Le Motivazioni: Perché la Dichiarazione del Progettista è un Certificato Falso?

La sentenza si fonda su un’analisi rigorosa degli elementi costitutivi del reato, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo.

La Natura Giuridica del “Certificato di Collaudo”

Il primo punto affrontato dalla Corte è la qualificazione giuridica dell’atto sottoscritto. Non si tratta di una semplice dichiarazione, ma di un vero e proprio certificato. La normativa di riferimento (nello specifico, una legge della Regione Lombardia) richiede esplicitamente un “certificato di collaudo finale” redatto da un tecnico abilitato. Tale atto ha la funzione di evitare ulteriori controlli da parte della Pubblica Amministrazione, basandosi proprio sulla fiducia riposta nell’attestazione del professionista. Pertanto, dichiarare il falso in un simile documento significa ledere la fede pubblica.

L’Accertamento della Falsità e l’Elemento Soggettivo

La falsità della certificazione era evidente: le opere realizzate erano strutturalmente diverse da quelle previste nei progetti. I giudici hanno ritenuto provato anche l’elemento soggettivo del reato, ovvero il dolo. Il progettista non poteva non essere a conoscenza delle difformità, data la sua duplice qualifica di ideatore del piano di lottizzazione e di direttore dei lavori. Egli aveva seguito tutte le fasi di realizzazione e aveva avuto contatti diretti con gli acquirenti, ben consapevole delle loro esigenze abitative che andavano oltre quanto consentito dai progetti. La Corte ha concluso che il professionista era pienamente conscio della divergenza tra la realtà e quanto attestato, agendo con la volontà di certificare una conformità inesistente.

L’Inapplicabilità della Particolare Tenuità del Fatto

La difesa aveva richiesto l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), sostenendo che il danno fosse modesto. La Cassazione ha respinto anche questa istanza. La valutazione della gravità del fatto non può limitarsi al solo danno economico per il singolo immobile, ma deve considerare l’intero contesto. La falsità era funzionale a occultare un sistematico e grave illecito urbanistico che interessava l’intero complesso immobiliare. L’intensità del dolo e la lesione del bene giuridico protetto (la fede pubblica) sono state ritenute tali da escludere la particolare tenuità.

Le Conclusioni: Responsabilità Penale del Progettista

La sentenza in esame rappresenta un importante monito per tutti i professionisti tecnici. La certificazione della conformità edilizia non è un atto da prendere alla leggera. Essa implica l’assunzione di una responsabilità diretta, non solo civile e amministrativa, ma anche penale. La firma apposta su una dichiarazione di fine lavori attesta fatti precisi e la sua veridicità è garantita dalla competenza e dall’onorabilità del professionista. Quando questa fiducia viene tradita attraverso un’attestazione falsa, le conseguenze legali possono essere molto serie, come dimostra la conferma della condanna per falso ideologico in questo caso.

Una dichiarazione di fine lavori firmata da un progettista è un certificato rilevante per il reato di falso ideologico?
Sì. Secondo la Corte, quando una norma (in questo caso una legge regionale) richiede un “certificato di collaudo finale” redatto da un tecnico abilitato per attestare la conformità dell’opera, tale atto ha valore di certificazione ai sensi dell’art. 481 c.p. La sua funzione è quella di provare la verità di fatti (la conformità) e di sostituire i controlli della pubblica amministrazione, ledendo la fede pubblica in caso di falsità.

Come si dimostra l’intenzione (dolo) nel reato di falso ideologico del professionista tecnico?
L’intenzione viene desunta da elementi concreti. Nel caso specifico, il dolo del progettista è stato provato sulla base della sua approfondita e risalente conoscenza degli strumenti urbanistici, del suo ruolo di ideatore del progetto e di direttore dei lavori, che gli imponeva di seguire la realizzazione delle opere, e dei suoi contatti diretti con gli acquirenti. La natura macroscopica delle difformità rendeva impossibile che egli non ne fosse a conoscenza.

Il reato di falso ideologico può essere considerato di “particolare tenuità” se le difformità edilizie sono modeste?
No, non necessariamente. La Corte di Cassazione ha chiarito che la valutazione della gravità del fatto deve considerare tutte le peculiarità del caso concreto, non solo l’entità del danno. Nel caso esaminato, la particolare intensità del dolo e il fatto che la falsa certificazione fosse funzionale a occultare un intero intervento urbanistico illegittimo hanno portato a escludere la particolare tenuità, nonostante il danno economico relativo al singolo immobile potesse apparire limitato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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