Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21620 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21620 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME (Cui 04IRI1Q) nato in KOSOVO il 06/08/1996 avverso la sentenza del 25/09/2024 della CORTE D’APPELLO DI TRIESTE
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME propone ricorso, a mezzo del difensore, avverso la sentenza della di appello di Trieste, indicata in epigrafe, che ha confermato quella del Giudice del preliminare del Tribunale di Trieste, che aveva ritenuto la responsabilità penale dell’i ordine al delitto previsto dall’art. 495 cod. pen., perché, essendo stato richies ricorrente, da parte di personale della Polizia di Stato, di dichiarare le proprie gene ne dichiarava di false.
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta vizio di motivazione, in qu sentenza impugnata – negando la sussistenza di un diritto al silenzio in ordine alla r declinare le generalità – non si sarebbe confrontata con la prospettazione difensiva c faceva riferimento all’assenza di un obbligo di «dire la verità», allorché dalla dichiara proprie generalità possa derivare una conseguenza negativa per il dichiarante, come, n concreto, la sottoposizione al procedimento di espulsione, l’incriminazione per il delitt dall’art. 10-bis d.lgs. n. 289 del 1998, la limitazione della libertà personale presso un C permanenza. In sostanza la Corte territoriale avrebbe dovuto confrontarsi non con il d silenzio, bensì con il diritto di rendere dichiarazioni mendaci in forza del principio nemo tenetur se detegere.
Inoltre, la Corte di appello avrebbe, citando la sentenza della Corte costituziona del 2023, equiparato la situazione valutata dalla Corte delle leggi, relativa a dichiar da soggetto indagato, a quella del Gashi, che invece non era né indagato né imputato.
Anche il richiamo alla sentenza della Corte di cassazione n. 4264 del 2022, da part sentenza impugnata, risulterebbe non escludere l’applicazione del principio nemo tenetur se detegere.
Infine, la Corte di appello non avrebbe valutato che l’art. 495 cod. pen. co richiedere che le false dichiarazioni siano destinate a essere riprodotte in un atto f non essendo sufficiente la sola percezione delle stesse da parte del pubblico ufficiale.
Con il secondo motivo denuncia vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazi dell’art. 131-bis cod. pen., lamentando la irrisorietà del danno cagionato, nonché la p dell’imputato non ostativa, comprovata dalla scelta del rito abbreviato, difettando d motivazione riguardo alla negazione della pronuncia invocata.
Quanto al primo motivo di ricorso, lo stesso è manifestamente infondato, in q prospettazione di enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo consolidata giurisprudenza di legittimità.
4.1 Quanto all’ultimo rilievo difensivo, relativo alla necessità che la dichiarazion ex art. 495 cod. pen. debba rifluire o sia destinata a rifluire in un atto fidefaciente manifestamente infondata.
A ben vedere il ricorrente non si confronta con la modifica dell’art. 495 cod. pen. ad opera dell’art. 1, comma 1, lett. b-ter), d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, che ha escluso dal testo della norma la che la dichiarazione false fosse effettuata «in atto pubblico» o fosse «destinat riprodotta in un atto pubblico».
In tal senso, deve qui richiamarsi l’orientamento prevalente e più recente, esp ultimo da Sez. 5, n. 2676 del 05/11/2021, dep. 24/01/2022, COGNOME, Rv. 282650 – 0 ha affermato in motivazione che nel delitto di falsa attestazione inerente ad una qualità del dichiarante il delitto di consuma nel momento in cui la dichiarazione p al pubblico ufficiale, indipendentemente dalla sua riproduzione in un atto pubblico, l’esclusione del rilievo della successiva dichiarazione veritiera resa dall’imputato (sul stesso senso, Sez. 5, n. 24308 del 31/03/2015, Noto, Rv. 265145 – 01, ha esplici affermato che il delitto di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sull’identità proprie o altrui si consuma nel momento in cui la dichiarazione perviene al pubblico u indipendentemente dalla sua riproduzione in un atto pubblico; conf.: N. 21863 del 20 247353 – 01; più recentemente, Sez. 5, n. 3015 del 2025, ric. COGNOME, n.m., in motivazi 1.2; Sez. 7, n. 45155 del 2024, ric. COGNOME, n.m., in motivazione fol. 1; in rel «parallela» fattispecie dell’art. 496 cod. pen., Sez. 5, n. 23353 del 01/04/2022, 283432 – 01).
L’orientamento, a volte citato in dottrina come di segno opposto, in vero rappresenta la destinazione ad atto pubblico della attestazione (falsa) come elemento di prova ulteriore e distintivo rispetto alla sussidiaria fattispecie dell’art. 496 cod. pen.
Difatti Sez. 5, n. 47044 del 10/07/2019, COGNOME, Rv. 277839 – 01, in motivazione ha chiarito che la tesi, secondo la quale l’autore del reato debba essere «in grado di avvedersi che le dichiarazioni destinate ad essere inserite in un atto pubblico, è errat diritto, poiché pretende di assegnare all’inserimento in un atto pubblico della dichiarazione fals la natura di requisito del delitto ex art. 495 cod. perì., requisito che, invece, non è contemplato nella norma incriminatrice speciale e che, quindi, non può essere adottato a criterio discretiv tra le due fattispecie di falso in discussione». Nello stesso senso, è stato ritenuto, in mo condivisibile, che integra il reato di cui all’art. 495 cod. pen. la condotta di colui che, privo di documenti di identificazione, fornisca ai Carabinieri, nel corso di un controllo stradale, fa dichiarazioni sulla propria identità, considerato che dette dichiarazioni – in assenza di altri me di identificazione – rivestono carattere di «attestazione» preordinata a garantire al pubbli ufficiale le proprie qualità personali, e, quindi, ove mendaci, ad integrare la falsa attestazi che costituisce l’elemento distintivo del reato di cui all’art. 495 cod. pen., nel testo modif dalla legge n. 125 del 2008, rispetto all’ipotesi di reato di cui all’art. 496 cod. pen. (così 5, n. 7286 del 26/11/2014, dep. 18/02/2015, COGNOME, Rv. 262658; nello stesso senso, essendo il riferimento alla destinazione ad atto pubblico esclusivamente elemento sintomatico della natura «attestativa» della dichiarazione resa, Sez. 5, n. 5622 del 26/11/2014, dep. 05/02/2015, Cantini, Rv. 262667 – 01).
4.2 Deve pertanto ribadirsi che integra il reato di cui all’art. 495 cod. pen. la condotta di colui che fornisca a un pubblico ufficiale, nel corso di un controllo, false dichiarazioni sulla pr identità, considerato che dette dichiarazioni – in assenza di altri mezzi di identificazio rivestono carattere di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qual personali, e, quindi, ove mendaci, ad integrare la falsa attestazione – indipendentemente dalla non necessaria riproduzione della dichiarazione in un atto pubblico – che costituisce l’elemento distintivo del reato di cui all’art. 495 cod. pen., nel testo modificato dalla legge n. 125 del 2 rispetto all’ipotesi di reato di cui all’art. 496 cod. pen.
4.3 In ordine alla ulteriore censura mossa con il primo motivo di ricorso, deve rilevarsi da subito come la Corte di appello abbia richiamato la parte della sentenza della Corte costituzionale n. 111 del 2023 che, certamente, fa riferimento al diritto al silenzio dell’indagato e all’ imput escludendo tale diritto in relazione «alle domande relative alle proprie generalità e a quant’alt può valere a identificarli».
In sostanza, la Corte di appello richiama la sancita – dalla Corte costituzionale inderogabilità del dovere a rendere dichiarazioni veritiere in ordine alle proprie generali cosicché il richiamo non è assolutamente da intendersi come peregrino, a differenza di quanto sostiene il ricorrente.
Vale bene richiamare la decisione della Corte costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi: 1) l’art. 64, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cu prevede che gli avvertimenti ivi indicati siano rivolti alla persona sottoposta alle indagi all’imputato prima che vengano loro richieste le informazioni di cui all’art. 21 disp. att. cod. pen. 2) l’art. 495, comma 1 cod. pen., nella parte in cui non esclude la punibilità della perso sottoposta alle indagini o dell’imputato che, richiesti di fornire le informazioni indicate ne 21 disp. att. cod. proc. pen. senza che siano stati loro previamente formulati gli avvertimenti cui all’art. 64, comma 3, cod. proc. pen., abbiano reso false dichiarazioni.
Sez. 5, n. 33201 del 21/05/2024, COGNOME, Rv. 286786 – 01 ha chiarito come la Consulta, a proposito del diritto al silenzio – garantito sia dalla nostra Costituzione che dalle sovranazionali – abbia rilevato che la mancata previsione dell’avviso all’imputato del diritto non rispondere alle domande previste dall’art. 21 disp. att. cod. proc. pen. – si badi, a eccezione di quelle che riguardano le sue generalità anagrafiche – confligge con il diritto dell’imputato a non fornire informazioni potenzialmente utilizzabili contra reum, incombendo l’onere della raccolta di queste ultime sul pubblico ministero.
Informazioni a carico che possono derivare, tra l’altro, dalle notizie circa i precede penali, notizie potenzialmente foriere di conseguenze negative per il dichiarante (si pensi all recidiva ovvero alla pericolosità sociale).
Ne consegue – ha sostenuto la Corte costituzionale – che, qualora non siano precedute dagli avvisi di cui all’art. 64 cit., anche le dichiarazioni preliminari all’interrogatorio restare colpite dalla sanzione di inutilizzabilità di cui al comma 1-bis della medesima disposizione. Una volta garantito il diritto al silenzio, tuttavia, la Corte costituzionale ha negato una equiparazione tra le dichiarazioni di cui all’art. 21 disp. att. cod. proc. pen. e quelle attin fatto contestato, la cui falsità non comporta sanzioni, salvo i casi in cui si commettano i reat cui agli artt. 367 e 368 cod. pen. Il Giudice delle leggi ha ritenuto, infatti, che, una vol l’avviso sia stato fornito e che, ciò nonostante, il dichiarante abbia accettato di render dichiarazioni preliminari di cui all’art. 21 cit. e le abbia rese false, ciò possa integrare la fat criminosa di cui all’art. 495 cod. pen., in quanto: «L.] non appare a questa Corte irragionevol che – laddove l’interessato rinunci consapevolmente a esercitare quel diritto – il legislatore pos vietargli di rendere dichiarazioni false sulle circostanze relative alla propria persona e preved una sanzione penale nel caso di inosservanza di tale divieto».
4.3 Delimitato l’ambito e la ragione del richiamo da parte della Corte di appello dell’intervento della Corte costituzionale, va anche evidenziato, a riprova della manifes infondatezza del motivo, che plurime pronunce di questa Corte di legittimità hanno confermato il principio per cui sussiste un obbligo inderogabile, quanto alle dichiarazioni delle prop generalità.
4.4. Per quanto concerne il dichiarante già indagato, si richiama, fra le altr Sez. 7, n. 50588 del 2023, ric. COGNOME, n.m., che ha affermato «che la condotta punita ai sens dell’art. 495 cod. pen., al quale si vuole estendere, in bonam partem, l’applicazione della
scusante di cui all’art. 384 cod. pen., è proprio coerente al sistema, in relazione al principio generale, ex art. 64 cod. proc. pen., del nemo tenetur se detegere invocato dalla difesa, rispetto al quale, però, è espressamente escluso dal legislatore tutto ciò che c dichiarazioni relative alle proprie generalità e le notizie che valgano all’iden dell’imputato o indagato che, invece, quest’ultimo, pur essendo titolare del diritto a della facoltà di mentire, ha, invece, l’obbligo di fornire». Nello ste Sez. 5, n. 27563 del 2023, ric. COGNOME, sempre in relazione a indagato tratto in a aveva reso dichiarazioni false quanto alle generalità alla polizia giudiziaria, identificazione: non può trovare applicazione la scriminante dell’esercizio di una facoltà perché, pur essendo l’indagato titolare del diritto al silenzio e della facoltà di me comunque l’obbligo di fornire le proprie generalità secondo verità (Sez. 5, n. 06/12/2021, dep. 2022, Orlando, Rv. 282740; Sez. 5, n. 15654 del 05/02/2014, Vlatko 259876 che ha riconosciuto la sussistenza del reato in rassegna a carico di un sogge colpito da mandato di arresto internazionale, aveva fornito false generalità alla polizia che procedeva alla sua identificazione).
4.5 Se dunque, rispetto all’indagato, l’obbligo dichiarativo delle gen esplicitamente affermato dalla Corte costituzionale e dalle sentenze di questa Corte di le ad analoghe conclusioni deve giungersi anche per il soggetto, come l’attuale imputa indagato.
Va ribadito che, pertanto, il senso del richiamo da parte della Corte di appello dei declinati dalla Corte costituzionale serve a comprovare come, anche per il soggetto non i sussiste – a maggior ragione, stante l’assenza di un proprio statuto di garanzia – l’in dell’obbligo di dichiarare le proprie generalità non sia suscettibile di essere oggetto d del diritto al silenzio, ovvero del diritto a mentire.
E ciò, pur nelle differenze che distinguono il caso in esame da quello oggett valutazione della Corte costituzionale. A tal proposito, in modo condiv Sez. 5, n. 32138 del 2024, ric. Rigamonti, n.m., in motivazione al par. 3, ha osserv «la pronuncia della Corte costituzionale riguarda le dichiarazioni rese all’autorità gi alla polizia giudiziaria in un procedimento penale in cui il dichiarante rivestiva la p indagato o imputato e che essa ha costituito una coerente e condivisibile applicazione de di difesa e, dunque, della garanzia offerta all’accusato di non doversi dichiarare Dunque, la sentenza in questione non riguarda certamente la situazione del soggetto ch rivestendo la qualità di indagato o imputato, sia stato interpellato sulla prop dall’autorità di polizia o da altro pubblico ufficiale per ragioni connesse a accertamento amministrativo e rispetto al quale, pertanto, non vi è alcuna specifica es garanzia correlata, né rispetto al diritto di non rispondere, né rispetto a un diri informati delle conseguenze giuridiche, tenuto conto dell’onere incombente in capo ai con di conoscere il generale contenuto dei precetti penali».
In un caso assolutamente sovrapponibile a quello in esame, relativo alla dichiar mendace resa per sottrarsi al provvedimento amministrativo di espulsione dal ter nazionale, Sez. 5, n. 22969 del 2022, Dragan, n.m., ha osservato come il principio d nemo tenetur se detegere sia espressione del cd. diritto al silenzio di chi sia sottoposto a proce penale, tradizionalmente, e si intende che operi esclusivamente nell’ambito di un proce penale già avviato, non potendo essere esteso, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., ai reat atto pubblico.
Il riconoscimento ad un soggetto del diritto a tacere e a non contribuire all incriminazione, a conferma e garanzia irrinunciabile dell’equo processo previsto dall’art. opera esclusivamente nell’ambito di un procedimento penale già attivato e non nella f esso precedente e relativa alla commissione di un reato, poiché la sua ratio è da individuarsi nella protezione dell’imputato da coercizioni abusive da parte dell’autorità (Sez. 3, n. 3/10/2018, A., Rv. 275452; Sez. 5, n. 12697 del 20/11/2014, dep. 2015, Strazimir 263034). Sez. 5 COGNOME si confronta poi con la sentenza della Corte di Giustizia Europea Grande Sezione, 2 febbraio 2021, causa C-481/19 – avente ad oggetto la domanda di pronu pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Corte costi italiana, con ordinanza del 6 marzo 2019, nel procedimento DB contro CONSOB – riconoscend che potrebbe oggi ritenersi possibile un ampliamento dell’ambito di applicazione del d silenzio a quei procedimenti amministrativi funzionali all’irrogazione di sanzioni sostan penali e con forti tratti peculiari, sia per le modalità attraverso le quali essi si s gli importanti esiti afflittivi ai quali possono dar luogo.
Osserva Sez. 5 COGNOME che, nella richiamata pronuncia, la Grande Camera della Cort Giustizia – alla luce anche della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uo di diritto ad un «processo equo», ha stabilito che l’articolo 14, paragrafo 3, del 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa all’abuso di informazioni priv e alla manipolazione del mercato (abusi di mercato), e l’articolo 30, paragrafo 1, lett regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo agli ab mercato (regolamento sugli abusi di mercato) – ha interpretato gli artt. 47 e 48 della Diritti Fondamentali dell’Unione Europea nel senso che essi consentono agli Stati membri sanzionare una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi dall’autorità competente a titolo di detta direttiva o di detto regolamento, si rifiu tale autorità risposte che possano far emergere la sua responsabilità per un illecito p sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penal concetto di sanzioni sostanzialmente penali, cfr., tra le molte, Sez. 5, n. 39999 del Respigo, Rv. 276963; Sez. 5, n. 49869 del 21/9/2018, COGNOME, Rv. 274604).
Nel caso all’esame di questo Collegio, come in quello di interesse di Sez. 5 Draga ci si trova dinanzi ad un procedimento amministrativo del genere di quello instaurato su i della CONSOB per illeciti previsti dal d.lgs. n. 58 del 1998, sicché, anche a voler
l’operatività del diritto al silenzio alla specifica categoria dei procedimenti amminist suddetti, evidentemente tra essi non rientrerebbe la fattispecie in esame.
Per altro manca l’altro decisivo necessario presupposto, utile a far scattare il principio nemo tenetur se detegere e la garanzia del diritto al silenzio: vale a dire che, per quanto risul in questo caso, non ci si trova dinanzi ad una procedura di espulsione già attivata, ma le fal dichiarazioni si collocano in una fase precedente – all’eventuale procedimento o all’acquisizion della qualità di indagato ex art. 10-bis cit. caratterizzata da una situazione di irregolarità della presenza nel territorio dello Stato non ancora emersa neppure all’attenzione della polizia giudiziaria che procedeva al controllo, né tantomeno posta alla base di un qualsiasi procedimento di espulsione, restrizione o allontanamento in relazione al quale il ricorrente risultava ess ascoltato.
Come osserva in modo condivisibile Sez. 5 COGNOME, il presupposto dell’attivazione di un procedimento integra un requisito comunque necessario a far operare la ragione di tutela costituita dall’esigenza di proteggere il soggetto nei confronti di abusi da parte dell’aut statale che intenda porgli delle domande.
Anche Sez. 7, n. 46926 del 2021, ric. Barrera, n.m., in ordine al delitto previsto dall’ 496 cod. pen., esclude possa valere in ordine alla dichiarazione delle generalità il principio nemo tenetur se detegere, come pure Sez. 5, n. 3042 del 03/12/2010, dep. 27/01/2011, Gorizia, Rv. 249707 – 01, al fol. 3 in motivazione, giudica priva di fondamento la tesi che poss trovare applicazione il principio del nemo tenetur se detegere. Affermando tale principio, Sez. 5 Gorizia declina un principio generale, chiarendo che (come affermato da Sez. 5, n. 34928 del 5/6/2007, ric. COGNOME) non è richiamabile il citato principio in relazione a comportamenti dive che, autonomamente considerati, costituiscono l’adempimento di obblighi imposti a tutela di un diverso bene giuridico – nel caso di specie la genuinità delle attestazioni al pubblico ufficiale proprie generalità – e non integrano la confessione di reati.
Il principio citato comporta (Sez. 5, n. 22672 del 15/10/2004, ric. Liggi) la n assoggettabilità ad atti di costrizione tendenti a provocare un’autoincriminazione, ma non anche la possibilità di violare regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati alla pret punitiva, il diritto di difesa non comprendendo anche il diritto di arrecare offese ulteriori.
D’altra parte, costantemente questa Corte ha escluso applicarsi il richiamato principio in relazione ai delitti tributari, avendo valenza recessiva rispetto all’obbligo di concorrere alle s pubbliche sancito dall’art. 53 Cost. e, comunque, operando solo nell’ambito di procedimenti penali già avviati o di procedimenti amministrativi sanzionatori aperti nei confronti di dichiar nell’ambito di un’attività di vigilanza della pubblica amministrazione, tale non potendosi riten l’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria, di cui la dichiarazione d redditi costituisce fase attuativa in termini di mera esternazione di scienza e di giudizio (Sez n. 44311 del 08/10/2024, COGNOME, Rv. 287384 – 03; Sez. 3 , n. 53656 del 03/10/2018, A., Rv. 275452 – 01). Analogamente l’esclusione ha riguardato anche il caso di compilazione mendace di autocertificazione prevista per il contenimento del contagio da Covid-19, risultando
configurabile il delitto di falsità ideologica commesso da privato, non trovando appli principio processuale del nemo tenetur se detegere, trattandosi di dichiarazione di rilievo meramente amministrativo che non costituisce una denuncia a proprio carico e alla qual in via eventuale potranno seguire accertamenti in merito alla veridicità di quanto iv (Sez. 5, n. 35276 del 31/05/2023, Pintilie, Rv. 285293 – 01). Anche in tema di fal pubblico si è affermato che non può essere invocata la scriminante di cui all’art. 51 nella forma del principio nemo tenetur se detegere, per aver il pubblico ufficiale estensore dell’atto attestato il falso in ordine a quanto ivi rappresentato, al fine di non fa propria responsabilità, non potendo la finalità probatoria dell’atto pubblico essere all’interesse del singolo di sottrarsi alle conseguenze di un delitto (Sez. 5, 19/04/2021, COGNOME, Rv. 281406 – 01). Infine non è stato ritenuto applicabile il predetto in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta documentale, in ordine alla c un ex-amministratore di società dichiarata fallita, che non aveva consegnato la document contabile al curatore, al fine di evitare che la stessa fosse utilizzata in suo preg processo penale già in corso, posto che il principio nemo tenetur se detegere comporta la non assoggettabilità ad atti di costrizione tendenti a provocare un’autoincriminazione, ma n la possibilità di violare regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati punitiva (Sez. 5, n. 9746 del 12/12/2014, dep. 05/03/2015, COGNOME, Rv. 262941 – 01)
La rassegna fini qui riportata evidenzia la natura recessiva del principio nemo tenuetur se detegere, allorché non si verta in tema di processo penale o di procedimento amministr sanzionatorio, e ci si trovi al cospetto di ulteriori e diversi obblighi, funzi costituzionalmente significativi, quali quelli fin qui evidenziati, come quelli sanciti d 32, 41 e ss. Cost. – rispetto al bene tutelato dai delitti di bancarotta, riconducibi patrimoniale dei creditori anche in prospettiva di ordine pubblico c.d. economico.
In tal senso il bene della fede pubblica (da ultimo, Sez. 5, n. 28253 del 2023, n.m.), anche in funzione di quello, ritenuto da autorevole dottrina, della amministrazione al corretto accertamento della identità e all’ordine pubblico, rilevante Cost. – beni giuridici tutelati dall’art. 495 cod. pen. – integrano valori di rilievo rispetto ai quali è recessivo il principio invocato dalla difesa.
Pertanto, il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
4.6 Deve, pertanto, affermarsi che in tema di false attestazioni a pubblico uffic identità ex art. 495 cod. pen., va escluso possa trovare applicazione il principio nemo teneutur se detegere, invocato da colui che, a seguito di mero un controllo da parte della p giudiziaria, abbia dichiarato il falso temendo, in caso di attestazione delle real l’autoincriminazione ex art. 10-bis d.lgs. n. 289 del 1998 o altre conseguenze negative come l’espulsione: a ben vedere, l’invocato principio opera solo nell’ambito di pro sanzionatori, amministrativi o penali, già iniziati, ed ha valenza recessiva rispetto principio del buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost.
5. Quanto al secondo motivo di ricorso in quanto il motivo è assolutamente generic fronte dell’assenza di presupposti per l’applicazione della causa di non punibilit
emergono dalla sentenza e non sono stati specificamente indicati dal ricorrente, a riferimento alla opzione per il rito abbreviato. Ma tale riferimento non integra la ca
punibilità, in quanto, alla stregua di quanto previsto per le circostanze attenuanti gen ex lege
può fondarsi sulla scelta di definire il processo nelle forme del rito abbreviato che impl il riconoscimento di una predeterminata riduzione della pena, poiché, in caso contrario,
circostanza comporterebbe due distinte conseguenze favorevoli all’imputato (Sez. 3, n.
del 17/09/2019, COGNOME Rv. 277271 – 01; conf. N. 17537 del 2008 Rv. 240394 – 01, N.
del 2009 Rv. 242861 – 01, N. 24312 del 2014 Rv. 260012 – 01).
6. Pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ric al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cass
ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese proce e della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 7 maggio 2025 Il consigliere estensore Il Presidente