Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 34505 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6   Num. 34505  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 18/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Torino il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/01/2025 della Corte di appello di Torino
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; letta la requisitoria del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria depositata 1’8 settembre 2025 dal difensore del ricorrente, che ha insistito nell’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 gennaio 2025 la Corte di appello di Torino ha confermato la pronuncia emessa il 10 novembre 2023 dal Tribunale della stessa
città, con cui NOME COGNOME è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 374-bis cod. pen.
Secondo la ricostruzione effettuata in entrambe le sentenze di merito, NOME COGNOME aveva dichiarato falsamente, in un atto destinato ad essere prodotto all’autorità giudiziaria (istanza volta ad ottenere un’attenuazione della detenzione), di avere stipulato un contratto di lavoro come dipendente manovale edile presso la ditta “RAGIONE_SOCIALE” di NOME COGNOME, al fine di ottenere l’autorizzazione a lasciare il domicilio, ove stava scontando un periodo di detenzione domiciliare. NOME COGNOME aveva predisposto o fatto predisporre i documenti atti a simulare il rapporto di lavoro, così concorrendo nel reato di cui all’art. 374bis cod. pen.
 Avverso la sentenza di appello il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito indicati.
3.1. Erronea applicazione dell’art. 374-bis cod. pen., essendo l’imputato stato ritenuto responsabile per una condotta di falso materiale, mentre l’art. 374-bis cod. pen. mira a reprimere la condotta di falsità ideologica.
3.2. Erronea applicazione della legge e carenza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. La Corte di  appello sarebbe incorsa in un travisamento della prova, laddove ha affermato che il contratto di lavoro era privo di data certa, mentre la ricevuta di trasmissione telematica riporterebbe inconfutabilmente la data. Sarebbe poi apodittico il rilievo secondo cui il contratto di lavoro era destinato ad essere prodotto all’autorità giudiziaria.
3.3. Erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. La Corte territoriale avrebbe valorizzato la condanna dell’imputato anche per violazioni dell’art. 10quater del d.lgs. n. 74/2000, che, però, non sono della stessa indole del reato di cui all’art. 374-bis cod. pen., rientrante tra i delitti contro l’amministrazione della giustizia.
3.4. Carenza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, non essendo stati indicati la riduzione di pena operata per effetto della concessione delle attenuanti generiche e l’aumento apportato a titolo di continuazione.
3.5. Erronea applicazione degli artt. 53 e ss. L. n. 689/91, non avendo la Corte territoriale considerato la condotta successiva ai fatti per cui è causa, non connotata da pendenze a carico dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La fattispecie incriminatrice di cui all’art. 374-bis cod. pen. è stata introdotta allo scopo di assicurare il corretto funzionamento della giustizia, in relazione, in particolare, all’emanazione di provvedimenti giurisdizionali fondati su presupposti enucleabili da dichiarazioni provenienti da privati. La norma tende a garantire la funzione probatoria di quei documenti che potrebbero condurre a una decisione erronea.
A differenza delle altre fattispecie di falso, quindi, la norma non tutela il documento in sé, ma la funzione probatoria esplicata in concreto dall’atto. L’elemento oggettivo del reato si riferisce, infatti, all’attività di documentazione di circostanze non rispondenti al vero e richiede che la suddetta attività documentativa venga realizzata con la finalità specifica della destinazione all’autorità giudiziaria, affinché ne possano eventualmente derivare effetti favorevoli all’interessato.
Al riguardo, questa Corte ha già affermato che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 374-bis cod. pen. (false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati alla autorità giudiziaria), deve aversi riguardo non all’autenticità materiale dell’atto ma all’inveridicità dei suoi contenuti e all’idoneità dello stesso ad adempiere alla funzione probatoria cui è preordinato” (Sez. 6, n. 23547 del 26/04/2016, COGNOME, Rv. 267395 – 01; Sez. 6, n. 6062 del 05/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263110 – 01; Sez. 6, n. 32962 del 13/07/2001, Rv. 220429 01).
Nel caso in esame, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, la falsità materiale del documento presentato (per essere stata, sullo stesso, apposta la firma contraffatta di NOME COGNOME) non esclude la configurabilità del reato contestato, atteso che il contenuto della dichiarazione non è veritiero e il documento è intrinsecamente idoneo ad adempiere alla funzione probatoria alla quale era destinato, ossia ottenere l’autorizzazione a lasciare il domicilio, ove NOME stava scontando un periodo di detenzione domiciliare.
3. Il secondo motivo è privo di specificità.
Il ricorrente non si è confrontato adeguatamente con la motivazione dell’impugnata sentenza, con cui sono stati evidenziati gli elementi a sostegno della configurabilità del dolo del contestato reato, tra i quali, oltre all dichiarazioni del coimputato COGNOME, si menzionano la testimonianza assistita di COGNOME e quella, seppur volutamente evasiva, di NOME COGNOME, da cui emergeva che il contratto non era stato firmato da COGNOME e l’imputato aveva concorso a realizzare un falso contratto di lavoro indubbiamente destinato
ad essere prodotto all’autorità giudiziaria, non rilevando, in senso contrario, la data apposta sul contratto che, comunque, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto inattendibile, stante l’integrale falsità, ideologica e materiale, de documento.
4. Anche il terzo motivo è privo di specificità.
La Corte territoriale, nel rigettare la richiesta di applicazione dell’art. 131-bi cod. pen., ha richiamato non solo i gravi precedenti penali dell’imputato, ma anche – e soprattutto – l’estrema pericolosità della condotta contestata, attraverso la quale sarebbe stato consentito, a un soggetto posto in condizioni di restrizione, di ottenere ampi margini di libertà in assenza dei presupposti di legge.
Così argomentando, il Collegio di appello ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, secondo cui il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessiva che ha ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen. (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591 – 01).
Si richiede, in breve, una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta: disamina effettuata nel caso in esame.
5. Difetta di specificità anche il quarto motivo.
Il Giudice di primo grado ha affermato che l’aumento della pena a titolo di continuazione con i più gravi reati giudicati con la sentenza della Corte di appello di Torino del 16 giugno 2019 è pari a mesi 4, già riconosciute le attenuanti generiche. Il Collegio territoriale ha rilevato che tale aumento era stato determinato in misura estremamente ridotta, tenuto conto dell’intrinseca gravità del fatto contestato e della rilevante capacità a delinquere dell’imputato.
A fronte delle argomentazioni dei Giudici di merito il ricorrente non ha indicato le ragioni del suo interesse a lamentare la mancata specificazione della riduzione di pena operata per effetto della concessione delle attenuanti generiche.
La doglianza è, quindi, generica, tanto più ove si consideri che la pena è stata determinata in misura del tutto contenuta, avuto riguardo alla gravità della condotta e alla personalità dell’imputato, come evidenziato nella sentenza impugnata.
6. Il quinto motivo è manifestamente infondato.
La pena complessiva inflitta al ricorrente ammonta a quattro anni e quattro mesi di reclusione, con la conseguenza che l’istanza di sostituzione non poteva essere accolta.
Come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, difettavano, quindi, i presupposti per la sostituzione della pena detentiva breve con l’invocata pena sostitutiva. La richiesta avanzata dalla difesa è stata, infatti, correttamente ritenuta non in linea con la nuova disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 53 – come sostituito dall’art. 71, comma 1, lett. a), D.Igs. 10 ottobre 2022, n. 150, a decorrere dal 30 dicembre 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 99-bis, comma 1, del medesimo D.Igs. n. 150/2022, aggiunto dall’art. 6, comma 1, D.L. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199 – che prevede, ora, espressamente, che: «Ai fini della determinazione dei limiti di pena detentiva, entro i quali possono essere applicate pene sostitutive, si tiene conto della pena aumentata ai sensi dell’art. 81 cod. pen.».
Il chiaro tenore letterale della nuova norma non lascia dubbi sul fatto che ora il legislatore ha inteso dettare una disciplina unica ai fini della determinazione della pena, superando quanto previsto dal vecchio art. 53, nel senso che, anche nel caso in cui essa sia la risultante dell’applicazione dell’istituto della continuazione o del concorso formale, si dovrà considerare la sola pena finale, ossia quella risultante all’esito dell’aumento operato ai sensi dell’art. 81 cod. pen., fermo restando che, come già interpretato nella vigenza della precedente formulazione dell’art. 53, in caso di patteggiamento o di giudizio abbreviato, rileverà la pena finale applicata, considerando, quindi, nell’ottica di favore per i riti alternativi, la riduzione per il rito.
In COGNOME tal COGNOME senso COGNOME si COGNOME è COGNOME già COGNOME espressa COGNOME questa COGNOME Corte COGNOME (Sez. 1, n. 33971 del 29/03/2024, COGNOME, Rv. 286748 – 01; Sez. 5, n. 31761 del 05/06/2023, COGNOME, n.m.), che ha osservato che, con la nuova disposizione, il legislatore «ha inteso favorire la possibilità di applicazione delle pene sostitutive da parte del giudice della cognizione, ma ha, al contempo, dettato una regola netta e precisa quanto alla pena detentiva da considerare al fine di stabilire se essa è sostituibile o meno con una di quelle previste dal nuovo art. 53 individuandola nella pena finale, inflitta o applicata, anche nei casi di cui all’art. 81 cod. pen.».
Ad ogni modo, la Corte territoriale ha aggiunto che la sostituzione della pena detentiva risultava incompatibile con le esigenze di prevenzione speciale e non era possibile ragionevolmente formulare una prognosi favorevole circa l’adempimento delle prescrizioni di cui all’art. 59 L. n. 689/81, in considerazione delle risultanze del certificato penale dell’imputato, che, «nel dar conto della
commissione di plurimi reati anche a scopo di profitto o con violenza alle persone, della serrata successione cronologica dei fatti, dell’assenza di qualsiasi tentativo di mutare stile di vita nonostante la fiducia accordata mediante la concessione di svariati benefici di diritto sostanziale, processuale e penitenziario, indicano univocamente che egli non ha tratto il benché minimo insegnamento dalle passate esperienze giudiziarie e non ha manifestato alcuna intenzione di modificare la sua condotta».
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero – della sanzione pecuniaria di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 settembre 2025.