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False dichiarazioni: la Cassazione sul reato ex 374-bis

Un individuo è stato condannato per false dichiarazioni ex art. 374-bis c.p. per aver creato un contratto di lavoro fittizio, destinato a ingannare l’autorità giudiziaria e far ottenere a un detenuto domiciliare maggiori libertà. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che il reato sussiste anche in caso di falsità materiale (firma contraffatta) e non solo ideologica, poiché ciò che conta è l’idoneità dell’atto a ingannare il giudice. È stato inoltre confermato il diniego delle pene sostitutive a causa dell’entità della pena complessiva e della pericolosità sociale del soggetto.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

False dichiarazioni all’autorità giudiziaria: Analisi di una recente sentenza di Cassazione

La presentazione di documenti all’autorità giudiziaria è un atto che richiede la massima veridicità. Ma cosa succede quando un documento non solo contiene informazioni false, ma è anche materialmente contraffatto? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce sulla complessa natura del reato di false dichiarazioni di cui all’art. 374-bis del codice penale, chiarendo i confini tra falsità ideologica e materiale. Il caso analizzato riguarda la creazione di un finto contratto di lavoro per ingannare un giudice e ottenere un’attenuazione di una misura detentiva.

I Fatti: La Creazione di un Falso Contratto di Lavoro

La vicenda giudiziaria ha origine dalla condotta di un individuo che ha predisposto, o fatto predisporre, un contratto di lavoro fittizio. Lo scopo era quello di aiutare un’altra persona, che stava scontando una pena in regime di detenzione domiciliare, a ottenere dal giudice l’autorizzazione a lasciare la propria abitazione per recarsi al presunto luogo di lavoro. Il documento, destinato a essere prodotto in giudizio, attestava falsamente l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte di Appello hanno ritenuto l’imputato colpevole del reato di concorso in false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria, condannandolo a una pena detentiva.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi, tra cui:

1. Erronea applicazione dell’art. 374-bis c.p.: Secondo la difesa, tale norma punirebbe solo la falsità ideologica (contenuto non veritiero) e non quella materiale (come una firma contraffatta), che era invece presente nel caso di specie.
2. Mancanza di motivazione sull’elemento soggettivo: Si contestava che la Corte d’Appello non avesse provato adeguatamente l’intenzione di commettere il reato.
3. Mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.): La difesa riteneva ingiusto il diniego basato su precedenti penali non pertinenti.
4. Carenza di motivazione sul trattamento sanzionatorio: Il ricorrente lamentava una spiegazione insufficiente sul calcolo della pena.
5. Erronea applicazione delle norme sulle pene sostitutive: Si contestava il rifiuto di sostituire la pena detentiva, superiore a quattro anni.

La Decisione della Cassazione sulle False Dichiarazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando tutte le argomentazioni della difesa e fornendo importanti chiarimenti sull’applicazione della legge penale in materia di false dichiarazioni.

La Natura del Reato ex art. 374-bis c.p.

Il punto centrale della sentenza riguarda la corretta interpretazione dell’art. 374-bis c.p. La Corte ha stabilito che la norma non tutela il documento in sé, ma la corretta funzione della giustizia, che deve basarsi su presupposti veritieri. Pertanto, il reato si configura quando viene creata documentazione con contenuti non veri, destinata a ingannare il giudice per ottenere un beneficio.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la falsità materiale (la firma contraffatta sul contratto) non esclude il reato. Anzi, la Cassazione ha affermato che ciò che rileva è l’inveridicità del contenuto e l’idoneità intrinseca del documento a svolgere la sua funzione probatoria ingannevole. In altre parole, il reato sussiste perché il contratto, sebbene materialmente falso, era stato creato con il preciso scopo di attestare una realtà inesistente (il rapporto di lavoro) davanti a un giudice.

La Valutazione della Particolare Tenuità del Fatto

La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito di non applicare l’art. 131-bis c.p. La motivazione si fonda non solo sui precedenti penali dell’imputato, ma soprattutto sull’estrema pericolosità della condotta. Consentire a un soggetto sottoposto a restrizione della libertà di ottenere ampi margini di movimento sulla base di un inganno è stato considerato un fatto di notevole gravità, incompatibile con il concetto di “particolare tenuità”.

Il Diniego delle Pene Sostitutive

Infine, la Cassazione ha respinto anche la doglianza relativa alle pene sostitutive. La pena complessiva inflitta all’imputato era di quattro anni e quattro mesi di reclusione. La Corte ha chiarito che, ai sensi della normativa vigente (la cosiddetta Riforma Cartabia), il limite per l’applicazione delle pene sostitutive va calcolato sulla pena finale, comprensiva degli aumenti per la continuazione tra reati. Poiché la pena superava la soglia massima di quattro anni, la sostituzione non era legalmente possibile. Inoltre, la Corte territoriale aveva correttamente evidenziato come il profilo di pericolosità sociale dell’imputato, desumibile dal certificato penale, rendesse la sostituzione della pena incompatibile con le esigenze di prevenzione speciale.

Le motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte si basano su un principio fondamentale: l’art. 374-bis c.p. è posto a presidio del corretto funzionamento della giustizia. L’integrità del processo decisionale del giudice non deve essere inquinata da documenti che rappresentano circostanze non veritiere, indipendentemente dal fatto che la falsità sia solo nel contenuto (ideologica) o anche nella forma (materiale). La finalità ingannevole e la destinazione dell’atto all’autorità giudiziaria sono gli elementi cardine della fattispecie. La Corte ha inoltre ribadito che istituti di favore come la non punibilità per tenuità del fatto o le pene sostitutive richiedono una valutazione complessiva della condotta e della personalità dell’imputato, che in questo caso deponevano a sfavore del ricorrente.

Le conclusioni

Questa sentenza riafferma un principio cruciale: qualsiasi tentativo di ingannare l’autorità giudiziaria attraverso la produzione di documenti falsi, sia nel contenuto che nella forma, integra il grave reato di cui all’art. 374-bis c.p. La decisione chiarisce che la falsità materiale non assorbe né esclude quella ideologica quando entrambe concorrono a creare un atto funzionale a trarre in inganno il giudice. Inoltre, la pronuncia sottolinea come la pericolosità della condotta e la personalità dell’autore del reato siano elementi determinanti per escludere l’applicazione di benefici come la tenuità del fatto e le pene sostitutive, specialmente quando la pena finale supera i limiti di legge.

Il reato di false dichiarazioni (art. 374-bis c.p.) si applica anche se un documento è materialmente falso, come nel caso di una firma contraffatta?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che la falsità materiale del documento (es. firma contraffatta) non esclude la configurabilità del reato. Ciò che conta è l’inveridicità del contenuto e l’idoneità del documento a ingannare l’autorità giudiziaria per ottenere un beneficio.

Come viene valutata la richiesta di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) in casi di false dichiarazioni?
La valutazione non si limita alla natura del reato, ma considera la condotta nel suo complesso e la personalità dell’imputato. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto la condotta di elevata pericolosità (consentire a un detenuto di ottenere illecitamente libertà di movimento) e ha tenuto conto dei precedenti penali, escludendo così la tenuità del fatto.

Ai fini dell’applicazione delle pene sostitutive, si considera la singola pena per un reato o la pena complessiva risultante dalla continuazione?
Secondo la normativa vigente (Riforma Cartabia), per determinare se si rientra nei limiti per le pene sostitutive si deve considerare la pena finale inflitta, anche se è il risultato di un aumento per la continuazione tra più reati (art. 81 c.p.). Se la pena complessiva supera i quattro anni, la sostituzione non è ammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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