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False dichiarazioni curriculum: la Cassazione conferma

Una lavoratrice ha presentato ricorso in Cassazione contro la condanna per aver inserito false dichiarazioni nel curriculum inviato a un ente pubblico per ottenere un incarico. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che tale condotta integra il reato previsto dall’art. 496 c.p. La Corte ha ritenuto generiche e infondate le motivazioni del ricorso, ribadendo che l’invio volontario di informazioni false per ottenere un vantaggio lavorativo dimostra l’intenzionalità del reato.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

False Dichiarazioni Curriculum: La Cassazione fa il Punto sulla Responsabilità Penale

L’invio di false dichiarazioni nel curriculum per ottenere un posto di lavoro, specialmente nel settore pubblico, è una questione delicata che può avere serie conseguenze penali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi giuridici applicabili in questi casi, confermando la condanna di una ricorrente e dichiarando il suo ricorso inammissibile. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

Il Caso: Un Curriculum “Ritoccato” per un Posto Pubblico

I fatti riguardano una donna condannata in primo e secondo grado per il reato di false dichiarazioni sulle proprie qualità personali (art. 496 c.p.). L’imputata aveva presentato un curriculum vitae contenente informazioni non veritiere riguardo le sue precedenti esperienze lavorative per partecipare a un bando indetto da un ente pubblico. Grazie a queste false attestazioni, era riuscita a ottenere l’incarico e il relativo stipendio per circa un anno, scavalcando ingiustamente altri candidati.

Contro la sentenza della Corte d’Appello, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni: dalla sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi del reato, all’intervenuta prescrizione, fino alla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto e alla determinazione della pena.

La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile per le false dichiarazioni nel curriculum

La Corte di Cassazione ha respinto tutte le argomentazioni difensive, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto i motivi del ricorso generici e, in alcuni casi, manifestamente infondati, confermando la solidità della decisione impugnata.

La Corte ha ribadito un principio giurisprudenziale consolidato: l’allegazione di un curriculum contenente false dichiarazioni su esperienze lavorative, in risposta a una domanda di un ente pubblico, integra pienamente gli estremi del reato previsto dall’art. 496 del codice penale.

Le Motivazioni della Sentenza

Per la Corte, non è necessario che vi sia una richiesta esplicita da parte del pubblico ufficiale o la presentazione di documenti a supporto. Il semplice fatto di partecipare a un bando, inviando la documentazione richiesta, costituisce di per sé una risposta a una richiesta della Pubblica Amministrazione. L’art. 496 c.p. punisce le “false dichiarazioni” in sé, a prescindere dal fatto che siano o meno corroborate da altra documentazione.

Sul piano dell’elemento soggettivo, i giudici hanno affermato che il dolo generico è palese. Sarebbe irragionevole dubitare che la ricorrente abbia volontariamente inviato informazioni false con il preciso scopo di ottenere il posto di lavoro. La difesa, inoltre, non ha fornito alcuna spiegazione alternativa plausibile che potesse giustificare l’invio di un curriculum non veritiero.

La Corte ha anche rigettato la doglianza sulla prescrizione, confermando il corretto calcolo effettuato dalla Corte territoriale, e ha ritenuto infondata la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.). L’aver ingannato un ente pubblico, l’aver scavalcato altri candidati e l’aver percepito indebitamente uno stipendio sono stati considerati elementi sufficienti a escludere la particolare tenuità dell’offesa.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un importante monito: la veridicità delle informazioni fornite in un contesto professionale, soprattutto quando ci si interfaccia con la Pubblica Amministrazione, è un requisito fondamentale la cui violazione può portare a una condanna penale. Le false dichiarazioni nel curriculum non sono una leggerezza, ma un reato che lede la fiducia e la correttezza nei rapporti con gli enti pubblici. La decisione sottolinea che la giustizia non considera tali atti di lieve entità, specialmente quando producono conseguenze concrete come l’ottenimento indebito di un incarico e di una retribuzione, a danno della collettività e degli altri concorrenti.

Presentare un curriculum con esperienze lavorative false a un ente pubblico è reato?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, allegare a una domanda rivolta a un ente pubblico un curriculum vitae contenente false dichiarazioni circa le proprie esperienze lavorative integra gli estremi del reato di false dichiarazioni su qualità personali, previsto dall’art. 496 del codice penale.

Perché la Corte ha ritenuto che ci fosse l’intenzione di mentire (dolo)?
La Corte ha ritenuto il dolo generico dimostrato dalla circostanza che la ricorrente ha volontariamente inviato informazioni false con il fine specifico di ottenere un posto di lavoro. La difesa non ha fornito alcuna spiegazione alternativa valida per giustificare l’invio di un curriculum non veritiero.

La richiesta di non punibilità per particolare tenuità del fatto è stata accettata?
No, la Corte ha respinto la richiesta. Ha motivato il rigetto sulla base di argomentazioni logiche e ineccepibili, quali l’aver tratto in inganno un ente pubblico, l’aver ingiustamente scavalcato altri candidati e l’aver conseguito il relativo stipendio per circa un anno grazie alle false dichiarazioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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