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Falsa dichiarazione reddito cittadinanza: il reato resta

La Corte di Cassazione conferma la condanna per il reato di falsa dichiarazione per ottenere il reddito di cittadinanza. La ricorrente aveva falsamente attestato il requisito della residenza decennale in Italia. La Corte ha stabilito che, nonostante la successiva riduzione del requisito a cinque anni da parte della Corte Costituzionale, la condotta di dichiarare il falso su un presupposto richiesto dalla legge al momento della domanda costituisce reato. La sentenza chiarisce che l’errore sulla legge penale non è scusabile, specialmente quando la domanda è stata presentata con l’ausilio di un centro di assistenza fiscale. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Falsa Dichiarazione Reddito di Cittadinanza: la Cassazione Conferma il Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27726/2025, ha ribadito un principio fondamentale: una falsa dichiarazione per ottenere il reddito di cittadinanza costituisce reato, anche a seguito dei recenti interventi della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia Europea sul requisito della residenza. Questa decisione chiarisce che la veridicità delle dichiarazioni rese alla Pubblica Amministrazione è un valore tutelato a prescindere dall’evoluzione normativa sui requisiti di accesso al beneficio.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda una cittadina straniera condannata in primo grado e in appello per aver falsamente dichiarato, nella domanda per il reddito di cittadinanza, di essere residente in Italia da almeno dieci anni. Dalle indagini era emerso che la donna si era trasferita in Italia solo nel 2017, non possedendo quindi né il requisito decennale previsto dalla legge originaria, né quello quinquennale successivamente stabilito dalla Corte Costituzionale.

La difesa aveva presentato ricorso in Cassazione sostenendo, tra le altre cose, che l’imputata fosse caduta in un errore incolpevole, essendosi affidata a un centro di assistenza fiscale (CAF) per la compilazione della domanda senza avere piena contezza di quanto firmava. Si lamentava inoltre una pena eccessiva e la mancata considerazione della modesta entità dell’importo percepito.

La Decisione della Corte di Cassazione sul Reato di Falsa Dichiarazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno smontato punto per punto le argomentazioni difensive, soffermandosi in particolare sulla rilevanza penale della condotta e sulla questione dell’errore sulla legge penale.

Le Motivazioni

La parte centrale della motivazione della sentenza riguarda il complesso intreccio tra la normativa nazionale sul reddito di cittadinanza e le recenti pronunce delle corti superiori. La Corte di Cassazione ha ricostruito il dibattito giuridico, evidenziando alcuni punti chiave:

1. L’intervento delle Corti Europee e Costituzionale: La Corte ricorda come prima la Corte di Giustizia dell’Unione Europea e poi la Corte Costituzionale italiana siano intervenute sul requisito della residenza decennale. In particolare, la Consulta, con la sentenza n. 31/2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale requisito, riducendolo a cinque anni, ritenendo il termine decennale sproporzionato.

2. La Persistenza del Reato: Nonostante la modifica del requisito di residenza, la Cassazione ha chiarito che il reato di cui all’art. 7 del D.L. 4/2019 sussiste. La condotta penalmente rilevante non è la mancanza del requisito in sé, ma l’aver falsamente dichiarato di possederlo al momento della presentazione della domanda. La norma penale protegge la corretta destinazione delle risorse pubbliche e l’affidamento della Pubblica Amministrazione sulla veridicità delle autodichiarazioni dei cittadini.

3. Irrilevanza dell’Errore sulla Legge: La Corte ha respinto la tesi dell’errore scusabile. Secondo i giudici, l’ignoranza della legge penale non scusa, come previsto dall’art. 5 del codice penale. La normativa sul reddito di cittadinanza, pur essendo complessa, non presenta elementi di oscurità tali da rendere inevitabile l’errore. Inoltre, il fatto che la domanda sia stata compilata tramite un CAF non esonera il dichiarante dalla responsabilità per quanto attestato, anzi, avrebbe dovuto rappresentare un’occasione per ricevere tutti i chiarimenti necessari.

4. Mancanza dei Requisiti Minimi: Aspetto decisivo nel caso di specie è che l’imputata, residente in Italia dal 2017, non possedeva nemmeno il requisito di residenza quinquennale, come rideterminato dalla Corte Costituzionale. La sua dichiarazione era quindi falsa sotto ogni profilo normativo.

Le Conclusioni

La sentenza n. 27726/2025 consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso: mentire alla Pubblica Amministrazione per ottenere un beneficio economico è una condotta grave che mantiene la sua rilevanza penale. Le successive modifiche normative, anche se favorevoli, non possono sanare retroattivamente la falsità della dichiarazione originaria. La decisione sottolinea l’importanza della responsabilità individuale e del principio di auto-responsabilità: chi firma una dichiarazione ne è sempre responsabile, anche quando si avvale dell’assistenza di intermediari. Questa pronuncia serve da monito sulla necessità di agire con la massima trasparenza e correttezza nei rapporti con lo Stato.

È ancora reato dichiarare il falso sul requisito di residenza per il reddito di cittadinanza dopo che la Corte Costituzionale lo ha ridotto da 10 a 5 anni?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che il reato consiste nel presentare una dichiarazione non veritiera al momento della domanda. La successiva modifica del requisito non annulla la falsità della dichiarazione resa in precedenza, che resta penalmente rilevante.

L’aver agito in errore, fidandosi di un centro di assistenza fiscale (CAF), esclude la responsabilità penale?
No. Secondo la sentenza, l’errore sulla legge penale non è scusabile. Il dichiarante è responsabile del contenuto della domanda che sottoscrive. L’assistenza di un CAF non elimina tale responsabilità, anzi, dovrebbe servire a comprendere appieno i requisiti e gli obblighi connessi.

Perché la Corte di Cassazione ha confermato la condanna nonostante le recenti sentenze europee e costituzionali?
Perché la condotta contestata è la falsa dichiarazione in sé. Anche se il requisito della residenza è stato ridotto, l’imputata non possedeva nemmeno il nuovo requisito minimo di cinque anni. Pertanto, la sua dichiarazione era oggettivamente falsa e finalizzata a ottenere un beneficio a cui non aveva diritto in ogni caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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