Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13721 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13721 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 25/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME natg a BELGRADO( SERBIA) il 11/04/1971
avverso la sentenza del 19/11/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecco del 20 novembre 2023, con la quale NOME COGNOME era stata condannata alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione in relazione al reato di cui all’art. 95 D.P.R. n. 115 del 2002.
L’imputata, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello lamentando la nullità della sentenza di primo grado per contrasto tra dispositivo e motivazione, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’affermazione di penale responsabilità, alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. La ricorrente ha depositato un motivo aggiunto con il quale deduce la violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermata sussistenza dell’elemento soggettivo.
Tutti i motivi di ricorso risultano essere meramente riproduttivi di censure già adeguatamente vagliate e disattese con corretti argomenti dal Giudice di merito e non scanditi da specifica critica delle argomentazioni poste alla base della sentenza impugnata. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708).
In ordine al primo motivo di ricorso, questa Corte ha affermato che la difformità tra dispositivo letto in udienza e dispositivo in calce alla motivazione non è causa di nullità della sentenza, che ricorre nei soli casi in cui difetti totalmente il disposit ma, prevalendo il dispositivo di udienza, detta difformità è sanabile mediante il procedimento di correzione dell’errore materiale. (Sez. 6, n. 18372 del 28/03/2017, dep. 2017, Rv. 269852). Pertanto, la Corte territoriale ha correttamente proceduto alla correzione dell’errore materiale contenuto nella sentenza appellata.
Quanto al secondo motivo di ricorso, va premesso che, ai fini dell’individuazione delle condizioni necessarie per l’ammissione al patrocinio, rileva ogni componente di reddito, imponibile o no, siccome espressiva di capacità economica (Sez. 4, n. 12410 del 06/03/2019, COGNOME, Rv. 275359) e le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio integrano il reato di cui si tratta solo allorquando riguardino la sussistenza delle condizioni di reddito per
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l’ammissione al beneficio, ma non anche quando cadano su elementi a tal fine irrilevanti (Sez. 4, n. 20836 del 16/04/2019, COGNOME, Rv. 276088).
Va ricordato che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, che integrano l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 95, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, devono essere sorrette dal dolo generico, rigorosamente provato, che esclude la responsabilità per un difetto di controllo, di per sé integrante condotta colposa, e salva l’ipotesi del dolo eventuale (Sez. 4, n. 37144 del 05/06/2019, COGNOME, Rv. 277129).
Ciò posto sui principi operanti in materia, nella specie, la Corte territoriale ha sottolineato che seppure effettivamente non fossero emersi redditi relativi all’anno 2018, era pure stato accertato, attraverso le indagini svolte dalla Guardia di finanza, confermate dall’esame dei testi, che l’imputata socia accomandante della RAGIONE_SOCIALE (riconducibile alla stessa e al marito), società sconosciuta al fisco,
. Inoltre, alla pagina 4 della sentenza impugnata, la Corte ha dato atto delle numerose operazioni immobiliari di cui la donna era stata protagonista, anche nell’anno 2018, nonché della proprietà di immobile di valore. Tutti elementi che non consentivano di ritenere veritiera la dichiarazione di aver percepito redditi pari a zero. Dunque, l’imputata è stata ritenuta necessariamente a conoscenza della falsità dichiarata, avendo agito con lo specifico fine di ottenere l’indebito beneficio. La motivazione è lineare e adeguata, nonché conforme al principio secondo cui, ai fini dell’individuazione delle condizioni necessarie per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, rileva ogni componente di reddito, imponibile o non, siccome espressivo di capacità economica e, pertanto, anche il diritto di proprietà su un immobile censito in catasto a cui, per effetto di tale censimento, vengono attribuiti redditi presuntivi soggetti all’imposizione diretta, indipendentemente dalla loro effettiva percezione (Sez. 4, n. 12410 del 06/03/2019, Rv. 275359 – 01).
Il terzo motivo, relativo al trattamento sanzionatorio per la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, è pure inammissibile giacché la sentenza impugnata ha adeguatamente ribadito quanto affermato dal Tribunale, evidenziando l’assenza di circostanze atte a mitigare il trattamento sanzionatorio previsto, alla luce della rilevanza economica della dichiarazione difforme. Le circostanze attenuanti generiche hanno anche la funzione di adeguare la sanzione finale all’effettivo disvalore del fatto oggetto di giudizio, nella globalità degli elementi oggettivi e soggettivi, atteso che la specificità della vicenda può richiedere un intervento correttivo del giudice che renda, di fatto, la pena rispettosa del principio di ragionevolezza, ai sensi dell’art. 3 Cost., e della finalità rieducativa, di cui all’art. comma terzo, Cost., di cui la congruità costituisce elemento essenziale (Sez. 2, n. 5247 del 15/10/2020 (dep. 2021 ) Rv. 280639 – 01).
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Quanto al quarto motivo, per la configurabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131 bis, cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede u valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattìspecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, comma primo, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). A tal fine, non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, ma è sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647), dovendo comunque il giudice motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, per valutarne la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, non potendo far ricorso a mere clausole di stile (Sez. 6, n. 18180 del 20/12/2018, Venezia, Rv. 275940).
Poiché tale valutazione va compiuta sulla base dei criteri di cui all’art. 133, cod. pen., essa rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito e, di conseguenza, non può essere sindacata dalla Corte di legittimità, se non nei limiti della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione postavi a sostegno.
La Corte distrettuale, ai fini della valutazione del grado di offensività della condotta, ha considerato negativamente l’ampia discrasia tra le reali condizioni economiche dell’imputata e quanto falsamente dichiarato.
Posto che i motivi sono tutti radicalmente inammissibili, ciò determina l’estensione della medesima declaratoria anche al motivo aggiunto (Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019; Rv. 277850-01), posto che l’inammissibilità dei motivi originari del ricorso per cassazione non può essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i motivi originari p l’imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 25 marzo 2025.