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Falsa attestazione presenza: quando è truffa aggravata

Un ispettore del lavoro è stato condannato per truffa aggravata a seguito di una falsa attestazione di presenza, per essersi allontanato dal lavoro senza timbrare. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. La sentenza ribadisce che il reato sussiste indipendentemente dall’esiguità del danno economico, poiché lede l’organizzazione della Pubblica Amministrazione e il rapporto fiduciario. È stata inoltre esclusa la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto a causa di un precedente specifico dell’imputato.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Falsa Attestazione di Presenza: Quando Anche Pochi Minuti Contano

La falsa attestazione di presenza sul luogo di lavoro da parte di un dipendente pubblico è una questione delicata che si colloca al confine tra illecito disciplinare e reato penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 6333/2024) ha offerto importanti chiarimenti, confermando che anche un’assenza di pochi minuti, se non correttamente registrata, può integrare il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato. Analizziamo insieme questo caso per comprenderne i dettagli e le implicazioni.

I Fatti del Caso: La Doppia Contestazione

Un ispettore della Direzione Territoriale del Lavoro è stato condannato sia in primo grado che in appello per due episodi di truffa, uno consumato e l’altro tentato, commessi nello stesso giorno. Nello specifico, l’imputato si era allontanato dall’ufficio per venti minuti per ragioni personali senza timbrare il cartellino marcatempo (truffa consumata). Nella stessa mattinata, si era assentato per altri cinquantacinque minuti, ottenendo però, a posteriori, un regolare permesso dalla direttrice dell’ufficio (truffa tentata).

L’imputato ha proposto ricorso per cassazione, sollevando diverse eccezioni, tra cui la mancanza di motivazione, l’illegittimità dell’uso dei filmati di videosorveglianza e la scarsa offensività della condotta, dato il danno economico irrisorio.

La Falsa Attestazione di Presenza secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: nel pubblico impiego, la falsa attestazione di presenza integra il reato di truffa aggravata (art. 640, comma 2, n. 1 c.p.) a prescindere dall’entità del danno economico. L’elemento cruciale non è la retribuzione indebitamente percepita, che in questo caso ammontava a pochi euro, ma la lesione di due beni giuridici fondamentali: l’organizzazione della Pubblica Amministrazione e il rapporto fiduciario che lega l’ente al proprio dipendente.

La condotta del dipendente, modificando arbitrariamente gli orari di lavoro prestabiliti, incide sul corretto funzionamento dell’ufficio e compromette gravemente la fiducia che l’amministrazione ripone in lui.

Esclusione della Causa di Non Punibilità

Uno dei motivi di ricorso più significativi riguardava la richiesta di applicazione dell’art. 131-bis del codice penale, che prevede la non punibilità per particolare tenuità del fatto. La difesa sosteneva che l’esiguità del danno e la natura isolata degli episodi dovessero portare a tale conclusione.

La Corte ha respinto questa argomentazione, sottolineando che l’applicazione di tale norma richiede due condizioni cumulative: la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento. Nel caso di specie, l’imputato aveva un precedente penale specifico e rilevante per una serie di truffe analoghe commesse in passato. Questo elemento è stato decisivo per considerare la condotta come ‘non occasionale’, precludendo così l’applicazione della causa di non punibilità.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte Suprema si sono concentrate su diversi punti chiave. In primo luogo, hanno stabilito che i tentativi del ricorrente di ottenere una nuova valutazione delle prove erano inammissibili in sede di legittimità, dove la Corte può giudicare solo per violazioni di legge e non riesaminare i fatti. In secondo luogo, hanno affermato la piena legittimità dell’uso dei filmati di videosorveglianza, sostenendo che il diritto alla privacy non è assoluto e deve cedere di fronte alle esigenze di accertamento della verità in un processo penale. Infine, hanno rigettato l’argomentazione sulla mancanza di offensività, chiarendo che il reato si perfeziona con la fraudolenta attestazione della presenza, che lede il buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione.

Le Conclusioni della Corte

In conclusione, la sentenza n. 6333/2024 rafforza un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di falsa attestazione di presenza. Anche le assenze brevi e un danno economico minimo non sono sufficienti a escludere la rilevanza penale della condotta. Il messaggio è chiaro: il rispetto degli obblighi di servizio e del rapporto fiduciario con l’ente pubblico è un valore fondamentale, la cui violazione viene sanzionata penalmente. La presenza di precedenti specifici, inoltre, chiude la porta a possibili benefici come la non punibilità per tenuità del fatto, delineando un quadro di severità per chi adotta comportamenti non occasionali di questo tipo.

Una breve assenza dal lavoro non timbrata costituisce sempre reato di truffa aggravata?
Sì, secondo la sentenza, la falsa attestazione della presenza in ufficio, anche per pochi minuti, integra il reato di truffa aggravata ai danni dell’ente pubblico. L’offesa non è solo economica, ma incide sull’organizzazione dell’ente e compromette il rapporto fiduciario con il dipendente.

È possibile invocare la non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) in caso di danno economico esiguo?
No, non è automaticamente possibile. La Corte ha stabilito che, oltre alla tenuità del danno, per applicare l’art. 131-bis è necessario che il comportamento non sia abituale. Nel caso di specie, la presenza di un precedente penale specifico per reati della stessa indole ha escluso la non occasionalità della condotta, rendendo inapplicabile la causa di non punibilità.

L’utilizzo di filmati di videosorveglianza conservati oltre i termini previsti dalla legge sulla privacy è legittimo in un processo penale?
Sì. La Corte ha ribadito che la tutela della riservatezza non è assoluta e cede di fronte alle esigenze di accertamento probatorio proprie del processo penale. Pertanto, l’acquisizione e l’utilizzo di tali filmati sono stati ritenuti legittimi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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