Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 6333 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 6333 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME
NOME nato a NARDO’ il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/07/2023 della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 luglio 2023 la Corte di appello di Bologna confermava la sentenza con la quale il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE aveva condannato NOME COGNOME alla pena di otto mesi di reclusione e cinquecento euro di multa per due reati di truffa, uno consumato e l’altro tentato, aggravati dalla circostanza ex art. 640, secondo comma, n. 1, cod. pen. (ritenuta equivalente all’attenuante ex art. 61, primo comma, n. 4, cod. pen.), commessi quale ispettore presso la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE – secondo la tesi accusatoria ritenuta fondata dai giudici di merito – con la falsa attestazione della sua presenza in ufficio
mediante la omessa timbratura del cartellino marcatempo: la truffa contestata al capo a) era stata consumata con l’allontanamento dall’ufficio per venti minuti per ragioni estranee all’incarico, mentre quella ascritta al capo b) era rimasta allo stadio del tentativo, perché l’imputato, allontanatosi cinquantacinque minuti la mattina dello stesso giorno, aveva poi ottenuto dalla direttrice dell’ufficio un regolare permesso.
Ha proposto ricorso NOME COGNOME, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza in ragione dei seguenti motivi.
2.1. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con travisamento della prova in relazione all’affermazione di responsabilità per la truffa consumata sub a): la sentenza impugnata non ha risposto al motivo di gravame con il quale, sulla base di una logica valutazione delle prove dichiarative, la difesa aveva dedotto che COGNOME non si era accorto di non avere correttamente inserito il badge al momento dell’uscita dall’ufficio, la sera del 26 luglio 2016.
2.2. Violazione di legge in ordine all’utilizzo del filmato estrapolato dalle videocamere installate negli adiacenti locali della Guardia di Finanza, senza il quale non vi sarebbe prova alcuna della condotta contestata al capo a): l’acquisizione delle riprese è stata illegittima in quanto effettuata oltre il termine di sette giorni di conservazione delle stesse e in difetto di una specifica richiesta dell’autorità giudiziaria in relazione a un’attività investigativa in corso, previst dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
2.3. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per la tentata truffa di cui al capo b), in presenza di un dato incerto sull’orario di rientro dell’imputato, indicativo di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, superabile attraverso l’acquisizione del filmato della videosorveglianza relativo alla mattina del 26 luglio 2016, richiesta dalla difesa ex art. 603 cod. proc. pen. con istanza erroneamente respinta dalla Corte di appello.
2.4. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla condanna per la tentata truffa, con violazione del principio di offensività, considerato che la direttrice dell’ufficio ha poi concesso all’imputato un permesso non retribuito.
2.5. Erronea applicazione della legge penale in relazione alla condanna per le condotte contestate, considerato che l’importo retributivo corrispondente al tempo nel quale l’imputato si assentò è quantificabile in neppure dieci euro e che conseguentemente il danno all’immagine è inconsistente.
2.6. Violazione di legge in ordine alla omessa applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., considerata la esiguità del danno arrecato, con condotte realizzate nel medesimo giorno, tali da integrare un unico reato, e la non abitualità del comportamento, in ragione dell’unico precedente penale di cui COGNOME è gravato.
2.7. Violazione della legge penale e mancanza di adeguata motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche, pur in presenza di elementi positivi indicati nell’atto di appello.
2.8. Violazione della legge penale e mancanza della motivazione in relazione alla quantificazione della pena e al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione con il reato della medesima specie giudicato con la sentenza emessa il 10 settembre 2016 dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, divenuta irrevocabile.
Si è proceduto alla trattazione scritta del procedimento in cassazione, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito nella legge 18 dicembre 2020, n. 176 (applicabile in forza di quanto disposto dall’art. 94, comma 2, del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2023, n. 75, convertito nella legge 10 agosto 2023, n. 112), in mancanza di alcuna richiesta di discussione orale, nei termini ivi previsti; il AVV_NOTAIO generale ha depositato conclusioni scritte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi manifestamente infondati, generici ovvero non consentiti.
In ordine al primo motivo, relativo all’affermazione di responsabilità per la truffa consumata, nella sentenza impugnata non è ravvisabile il vizio motivazionale che il ricorrente ha denunciato cumulativamente, in contrasto con il principio ribadito di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale «i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione. Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva della necessaria specificità» (Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027, non mass. sul punto).
Invero, pur avendo formalmente espresso censure riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, il ricorrente in realtà non ha lamentato una
motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica, ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente errata delle risultanze probatorie, lamentando l’assenza di una “corretta interpretazione degli elementi” di prova (pag. 9), avuto particolare riguardo alle deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME.
Tuttavia, a questa Corte è preclusa la possibilità di una nuova valutazione di dette risultanze, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702).
Inoltre, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione, la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto un’ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento a elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non a elementi meramente ipotetici seppur plausibili (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P., Rv. 281647; Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278237; Sez. 4, n. 22257 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 259204; Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, C., Rv. 260409).
Non sussiste neppure il dedotto travisamento della prova, poiché il vizio è ravvisabile solo quando si sia in presenza di una palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione e quello che il giudice ne abbia tratto; va escluso, pertanto, che integri il suddetto difetto un presunto errore – quale quello denunciato nel caso di specie – nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. U, n. 33583 del 26/03/2015, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 1, n. 51171 del 11/06/2018, COGNOME, Rv. 274478; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272406; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255087).
È manifestamente infondato, invece, il secondo motivo inerente all’utilizzo da parte dei giudici di merito, per l’affermazione di responsabilità per la truffa consumata, del filmato estrapolato dalle videocamere installate negli adiacenti locali della Guardia di Finanza, perché conservato per un tempo superiore a quello consentito dalla normativa in tema di privacy (d. Igs. n. 196
del 2003): infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la tutela accordata dalla legge alla riservatezza non è assoluta e cede dinanzi alle esigenze di tutela della collettività e, in specie, alle esigenze di accertamento probatorio proprie del processo penale (Sez. 1, n. 27850 del 02/12/2020, dep. 2021, Caramia, Rv. 281638; Sez. 5, n. 33560 del 28/05/2015, Leto, Rv. 264355; Sez. 2, n. 22169 del 08/03/2013, Gai, Rv. 256069).
4. Anche con il terzo ed il quarto motivo di ricorso, riguardanti l’affermazione di responsabilità per la truffa tentata, sono state proposte doglianze non consentite in questa sede, atteso che, sulla base di una diversa valutazione delle prove assunte in dibattimento, la difesa ha sostenuto che vi sarebbe incertezza sull’orario di rientro dell’imputato in ufficio la mattina del 26 luglio 2016, incertezza radicalmente esclusa, con motivazione immune da vizi, anche dalla Corte di appello, che ha espressamente spiegato le ragioni per le quali è stata rigettata la richiesta di rinnovazione istruttoria dai giudici di merito.
Va sul punto ribadito che la impossibilità di decidere allo stato degli atti sussiste «unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza» (così, anche da ultimo, Sez. 5, n. 112 del 30/09/2021, dep. 2022, Martucci, Rv. 282728).
Detto istituto – come affermato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820) – ha carattere eccezionale e ad esso «può farsi ricorso, in deroga alla presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, esclusivamente allorché il giudice ritiene, nella sua discrezionalità, indispensabile la integrazione, nel senso che non è altrimenti in grado di decidere sulla base del solo materiale già a sua disposizione».
Anche successivamente le Sezioni Unite hanno osservato che nell’art. 603 del codice di rito sono previste evenienze procedimentali «che si traducono nella previsione di poteri, non già di doveri, di rinnovazione in capo al giudice d’appello, valorizzando il metodo dell’oralità nelle specifiche ipotesi della non decidibilità allo stato degli atti (comma 1), ovvero della assoluta necessità di provvedere ex officio all’integrazione del quadro probatorio (comma 3)» (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, non mass. sul punto).
5. Non ha fondamento neppure il quinto motivo, che in parte riprende argomentazioni espresse nella parte finale di quello precedente.
La Corte di appello ha escluso che le condotte tenute dall’imputato, al quale è stata riconosciuta l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, fossero prive di offensività e quindi penalmente irrilevanti.
Sul punto non è ravvisabile alcuna violazione di legge, poiché il giudice di appello si è attenuto al principio più volte enunciato da questa Corte, secondo il quale la falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata anche a prescindere dal danno economico corrispondente alla retribuzione erogata per una prestazione lavorativa inferiore a quella dovuta, incidendo sull’organizzazione dell’ente, mediante la arbitraria modifica degli orari prestabiliti di presenza in ufficio, e compromettendo gravemente il rapporto fiduciario che deve legare l’ente al suo dipendente sulla richiesta continuazione (Sez. 2, n. 29628 del 28/05/2019, COGNOME, Rv. 276670; Sez. 2, n. 3262 del 30/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274895; Sez. 5, n. 8426 del 17/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258987; Sez. 2, n. 5837 del 17/01/2013, COGNOME, Rv. 255201).
È incensurabile anche la valutazione della Corte territoriale relativa alla omessa applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., considerata la non occasionalità della condotta.
La stessa Corte ha ricordato il rilevante precedente specifico del quale è gravato l’imputato, condannato – come risulta dalla sentenza in atti – per una serie di truffe commesse nella sua qualità di Ispettore e di Responsabile dell’Unità Operativa RAGIONE_SOCIALE Vigilanza Tecnica della RAGIONE_SOCIALE: il ricorrente, con artifizi e raggiri consistiti nell’aver tenuto, in qualità d formatore esperto in materia di sicurezza, lezioni presso diversi enti, scuole ed aziende, sebbene fosse assente dal lavoro per malattia o risultasse altrimenti presente e dedito al lavoro, traeva in errore la propria Amministrazione ottenendo la corresponsione dell’indennità di malattia ovvero dello stipendio per attività lavorativa non prestata.
I fatti per i quali vi è stata condanna definitiva risalgono ad un lungo periodo (compreso fra il 17 gennaio 2011 e il 21 maggio 2012), mentre per quelli commessi nel periodo precedente è stata dichiarata la prescrizione. .
Va qui ribadito il principio, consolidato in giurisprudenza, secondo il quale il giudizio di particolare tenuità del fatto postula necessariamente la positiva valutazione di tutte le componenti richieste per la integrazione della fattispecie, cosicché i criteri indicati nel primo comma dell’art. 131-bis cod. pen. sono cumulativi quanto al giudizio finale circa la particolare tenuità dell’offesa, ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità, mentre sono alternativi quanto
al diniego, nel senso che l’applicazione di detta causa è preclusa dalla valutazione negativa anche di uno solo di essi (Sez. 7, n. 10481 del 19/01/2022, Deplano, Rv. 283044; Sez. 6 n. 55107 del 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647; Sez. 3 n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, Rv. 273678).
In ordine alla presunta unicità della condotta contestata nel processo di qui si tratta risulta condivisibile il rilievo del AVV_NOTAIO generale secondo il quale si è in presenza di due episodi distinti che, quand’anche sotto il profilo del profitto hanno condotto a distinte conseguenze sul piano stipendiale, per avere integrato il primo episodio una fattispecie consumata e il secondo una fattispecie solo tentata, tuttavia hanno avuto ciascuno una propria autonomia strutturale e volitiva, benché unico sia stato il disegno criminoso.
Privo di fondamento è anche il motivo inerente al diniego delle attenuanti generiche, giustificato nella sentenza impugnata alla luce del precedente penale specifico e della intensità del dolo che ha caratterizzato le condotte dell’imputato.
Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il giudice di merito non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenut decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549; Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275509; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826).
Sono manifestamente infondate e generiche, infine, anche le doglianze espresse nell’ultimo motivo di ricorso, a partire da quella con la quale la sentenza impugnata è stata censurata per avere confermato la determinazione della pena in misura non coincidente con il minimo edittale, ma assai prossima allo stesso.
Va ribadito sul punto che la graduazione del trattamento sanzionatorio, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e a titolo di continuazione, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, che lo esercita, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., cosicché nel giudizio di cassazione è comunque inammissibile la censura che miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 2, n. 39716 del 12/07/2018, COGNOME, Rv. 273819, in motivazione; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142).
Va in proposito ribadito che, quando la pena si attesti in misura non troppo distante dal minimo, è sufficiente che il giudice dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua” o “pena equa” (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 2, n. 36103 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197; Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153), mentre «una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata è necessaria soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale» (così Sez. U, n. 12778 del 27/02/2020, S., Rv. 278869, non mass. sul punto).
Il motivo in ordine all’applicazione della disciplina della continuazione fra i fatti di cui si tratta e quelli giudicati con la precedente sentenza di condanna (commessi quattro e cinque anni prima) è stato correttamente considerato generico dalla Corte di appello e tale è rimasto nel ricorso.
Il giudizio prognostico sfavorevole è stato legittimamente fondato già dal primo giudice su detto precedente definitivo e anche su un precedente giudiziario: secondo la costante giurisprudenza di legittimità, fra gli elementi di valutazione utilizzabili per il giudizio prognostico previsto dall’art. 164, primo comma, cod. pen. rientrano i precedenti giudiziari: «l’utilizzazione, da parte del giudice, della posizione di indiziato per la commissione di altro reato a carico dell’imputato, non contrasta con il principio della presunzione di innocenza dello stesso fino alla condanna definitiva, in quanto, nella valutazione del giudice, non viene dato rilievo al fatto che l’imputato abbia o non abbia commesso i reati o il reato di cui è indiziato in altri processi, ma solamente e precisamente alla sua condizione, costituendo questa, di per sé, un precedente di carattere giudiziario rilevante ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 133 cpv. n. 2 cod. pen.» (Sez. 3, n. 44458 del 30/09/2015, Pomposo, Rv. 265613; in senso conforme v. Sez. 3, n. 18386 del 19/03/2021, C., Rv. 281296, nonché, da ultimo, Sez. 7, n. 30345 del 07/06/2023, Manfrè, Rv. 285098).
All’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa dell ammende.
Così deciso il 13/12/2023.