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Falsa attestazione di presenza: il reato è istantaneo

La Corte di Cassazione ha annullato l’assoluzione di due dipendenti pubblici, marito e moglie, accusati di falsa attestazione di presenza. Il marito aveva timbrato il badge della moglie mentre era assente. La Corte ha stabilito che il reato si perfeziona con la timbratura fraudolenta e non può essere sanato da un successivo tentativo di regolarizzazione, definendolo un “ravvedimento operoso” inapplicabile. L’assoluzione iniziale, basata sulla presunta buona fede, è stata ritenuta errata, e il caso è stato rinviato per un nuovo processo.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Falsa attestazione di presenza: il reato è istantaneo e non sanabile

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38650 del 2024, torna a pronunciarsi su un tema cruciale per la Pubblica Amministrazione: la falsa attestazione di presenza in servizio. Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: il reato si consuma nel momento esatto della timbratura fraudolenta e nessun tentativo successivo di ‘sistemare’ le cose può cancellare l’illecito già commesso. Analizziamo insieme i dettagli di un caso che serve da monito per tutti i dipendenti pubblici.

I Fatti di Causa

La vicenda vede coinvolti due coniugi, entrambi dipendenti presso un tribunale italiano, rispettivamente con ruoli di dirigente amministrativo e assistente giudiziario. Secondo l’accusa, in sei diverse occasioni tra aprile e maggio 2021, il marito aveva timbrato il tesserino elettronico della moglie, attestandone falsamente la presenza in ufficio mentre lei era assente. La condotta era stata pianificata per eludere i controlli: l’uomo registrava la propria uscita tramite l’applicativo informatico sul PC, per poi utilizzare al marcatempo fisico solo il badge della consorte, evitando così di generare sospetti.

La Decisione del Tribunale e il Ricorso del Pubblico Ministero

In primo grado, il Tribunale aveva sorprendentemente assolto entrambi gli imputati. La motivazione si basava su due pilastri: per la moglie, il fatto non sussisteva; per il marito, il fatto non costituiva reato. Il giudice di merito aveva ritenuto che la coppia avesse agito nella convinzione, seppur erronea, di poter sanare le assenze a posteriori. Si dava peso a una mail inviata successivamente ai fatti per correggere gli orari, interpretandola come una sorta di ‘ravvedimento operoso’. Inoltre, si era dato credito alla tesi difensiva secondo cui il marito credeva che la moglie avesse già avviato la procedura informatica per la richiesta di permessi brevi.

Il Pubblico Ministero, non condividendo questa interpretazione, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la legge non ammette alcun ‘ravvedimento’ per questo tipo di reato e che l’intento fraudolento (dolo) del marito era evidente dalle modalità stesse con cui aveva agito.

Falsa attestazione di presenza: il Principio della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto pienamente il ricorso del Pubblico Ministero, annullando la sentenza di assoluzione. I giudici hanno definito ‘perplessa’ la motivazione del Tribunale, sottolineando diversi errori di diritto. Il principio cardine affermato è che il reato di falsa attestazione di presenza, previsto dall’art. 55-quinquies del d.lgs. 165/2001, è un reato di condotta a consumazione istantanea. Questo significa che l’illecito si perfeziona e si conclude nel preciso istante in cui avviene la timbratura abusiva del badge, a prescindere dal danno economico per l’amministrazione o da eventuali tentativi di regolarizzazione postuma.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha smontato punto per punto la sentenza di primo grado. In primo luogo, ha chiarito che la normativa sulla falsa attestazione di presenza è stata introdotta per tutelare non solo il patrimonio della Pubblica Amministrazione, ma anche il buon andamento e l’imparzialità della sua azione. Il dipendente non può alterare a proprio piacimento gli orari di presenza, perché ciò incide sull’organizzazione dell’ufficio. La mail inviata per ‘correggere’ le assenze non ha alcun valore scriminante, in quanto il reato era già stato consumato in sei diverse occasioni.

In secondo luogo, la Corte ha criticato aspramente la valutazione sulla mancanza di dolo del marito. La sua condotta – registrare la propria uscita sul PC e poi usare solo il badge della moglie al dispositivo fisico – non poteva essere interpretata come una semplice leggerezza. Al contrario, era una strategia deliberata e fraudolenta, studiata appositamente per ingannare il sistema di rilevamento e nascondere la reale assenza della consorte. La convinzione che la moglie avesse richiesto i permessi non era supportata da alcun elemento concreto e, pertanto, non poteva escludere l’intento criminale.

Le Conclusioni

In conclusione, la Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione e ha rinviato il caso alla Corte di Appello per un nuovo giudizio. Quest’ultima dovrà ora riesaminare i fatti attenendosi ai principi enunciati dalla Suprema Corte: il reato di falsa attestazione si consuma con la timbratura e non ammette sanatorie; le modalità attuative della frode sono un chiaro indicatore dell’intento doloso. La sentenza rappresenta un’importante riaffermazione della severità con cui l’ordinamento giuridico tratta i comportamenti fraudolenti all’interno della Pubblica Amministrazione, sottolineando che la correttezza e la trasparenza sono doveri non negoziabili per chi è al servizio dello Stato.

È possibile correggere una timbratura fraudolenta dopo averla effettuata per evitare conseguenze penali?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il reato di falsa attestazione di presenza è a consumazione istantanea. Si perfeziona nel momento esatto della timbratura fraudolenta e non può essere sanato da un successivo ‘ravvedimento operoso’ o da tentativi di regolarizzazione.

Perché il marito è stato ritenuto potenzialmente responsabile, nonostante sostenesse di agire in buona fede?
La Corte ha ritenuto che le modalità della sua condotta (registrare la propria uscita sul PC per poi usare solo il badge della moglie al marcatempo) fossero inequivocabilmente volte a ingannare il sistema di rilevamento. Questo comportamento, secondo la Cassazione, dimostra la presenza del dolo, ovvero l’intenzione cosciente di commettere l’illecito, e non può essere giustificato da una presunta convinzione che la situazione sarebbe stata regolarizzata.

Cosa significa ‘annullamento con rinvio’ in questo caso?
Significa che la sentenza di assoluzione è stata cancellata. Il processo non è finito, ma dovrà essere celebrato nuovamente davanti a un giudice diverso (la Corte di Appello), il quale dovrà decidere il caso applicando i principi di diritto stabiliti dalla Corte di Cassazione in questa sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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