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Fallace indicazione d’origine: il caso della bandiera

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di fallace indicazione d’origine a carico del legale rappresentante di una società che importava lenti oftalmiche. Nonostante la dicitura ‘prodotto importato’, la presenza vistosa della bandiera italiana sulla confezione è stata ritenuta idonea a ingannare il consumatore, integrando il reato e non il semplice illecito amministrativo, a causa della scarsa visibilità dell’indicazione di provenienza estera.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Fallace indicazione d’origine: la visibilità della provenienza è decisiva

L’etichettatura dei prodotti è un campo minato per le aziende, dove un dettaglio può fare la differenza tra un’operazione commerciale lecita e un reato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di fallace indicazione d’origine: non basta apporre una dicitura sulla provenienza estera, è necessario che questa sia chiara, evidente e non contraddetta da altri elementi grafici più vistosi, come la bandiera italiana. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

I Fatti del Caso: La Bandiera Italiana su Lenti Importate

Il legale rappresentante di una società operante nel settore ottico è stato condannato per aver importato e commercializzato lenti oftalmiche di produzione estera, le cui confezioni presentavano un elemento grafico di forte impatto: la bandiera italiana. Sebbene su un lato della confezione fosse presente la dicitura “prodotto importato”, questa era riportata con caratteri piccoli e poco visibili. L’accusa contestava che tale modalità di presentazione fosse idonea a indurre in errore il consumatore, convincendolo fallacemente che il prodotto fosse di origine interamente italiana, integrando così il reato di cui all’art. 4, comma 49, della legge n. 350/2003.

La questione della fallace indicazione d’origine

La difesa dell’imputato sosteneva che la condotta dovesse al più rientrare nell’illecito amministrativo (previsto dal comma 49-bis dello stesso articolo), e non nel reato penale. Secondo la tesi difensiva, la presenza della dicitura “prodotto importato”, unitamente alla conformità dei prodotti alla normativa sui dispositivi medici, avrebbe dovuto escludere la responsabilità penale. Inoltre, si sottolineava che la bandiera italiana era parte integrante del marchio aziendale e che la vendita finale avveniva tramite professionisti (ottici) e non direttamente al consumatore finale, il cui giudizio sarebbe stato quindi irrilevante.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la condanna penale. I giudici hanno chiarito che la distinzione tra l’illecito penale e quello amministrativo si gioca tutta sulla presenza o meno di “indicazioni precise ed evidenti sull’origine o provenienza estera” che siano sufficienti a evitare qualsiasi fraintendimento da parte del consumatore.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha stabilito che, nel caso di specie, l’equilibrio informativo era stato deliberatamente alterato. La bandiera italiana, simbolo per eccellenza dell’origine nazionale, era posta in modo visibile e prominente, mentre l’indicazione correttiva della provenienza estera era relegata in una posizione marginale e stampata con caratteri difficilmente leggibili. Questa sproporzione rende l’indicazione “fallace”, ovvero ingannevole, e fa scattare la sanzione penale.

I giudici hanno precisato i seguenti punti chiave:

* Irrilevanza di altre normative: La conformità del prodotto alle normative di settore (in questo caso, quelle sui dispositivi medici) non ha alcun peso rispetto alla specifica accusa di fallace indicazione d’origine. La tutela della corretta informazione commerciale è un bene giuridico autonomo.
* Centralità della visibilità: Non è sufficiente che l’informazione sulla provenienza estera sia presente; deve essere “evidente”. Se l’indicazione è apposta in modo da essere oscurata, fisicamente o simbolicamente, da altri elementi grafici, la condotta integra il reato.
* Tutela estesa: La protezione offerta dalla norma non si limita all’atto finale di acquisto da parte del consumatore, ma copre l’intera filiera commerciale, a partire dalla presentazione della merce in dogana per l’immissione sul mercato.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Aziende

Questa sentenza invia un messaggio chiaro a tutte le imprese che utilizzano simboli nazionali nel loro marketing: il richiamo all’italianità deve corrispondere alla realtà o essere accompagnato da chiarimenti sulla provenienza estera che siano altrettanto evidenti e in nessun modo subordinati, nascosti o minimizzati. La trasparenza non è un’opzione, ma un obbligo la cui violazione può avere serie conseguenze penali. Le aziende devono quindi prestare la massima attenzione non solo a cosa scrivono sulle confezioni, ma anche a come lo presentano, garantendo un’informazione equilibrata e non ingannevole.

Quando l’uso di un simbolo nazionale come la bandiera italiana su un prodotto importato diventa reato?
Diventa reato quando la presenza del simbolo nazionale, come la bandiera italiana, è prominente e visibile, mentre le indicazioni sulla reale origine estera del prodotto sono apposte in modo non evidente, ad esempio con caratteri piccoli o in posizioni nascoste, inducendo così in errore il consumatore.

La dicitura “prodotto importato” è sempre sufficiente per evitare l’accusa di fallace indicazione d’origine?
No, non è sempre sufficiente. La Corte di Cassazione ha chiarito che tale dicitura, per escludere il reato, deve essere “precisa ed evidente” e non deve essere contraddetta o neutralizzata da altri elementi grafici più potenti, come un simbolo nazionale, che suggeriscono un’origine diversa. La visibilità e la chiarezza dell’indicazione sono decisive.

La normativa specifica di un settore, come quella sui dispositivi medici, può giustificare l’uso di indicazioni d’origine potenzialmente ingannevoli?
No. La sentenza ha stabilito che il rispetto delle normative di settore (qualità, sicurezza, ecc.) è irrilevante ai fini del reato di fallace indicazione d’origine. La tutela della corretta informazione commerciale al consumatore è un bene giuridico autonomo e deve essere rispettata a prescindere dalla conformità del prodotto ad altre leggi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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