Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 30971 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 30971 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato in ALBANIA il DATA_NASCITA alias: COGNOME NOME; COGNOME NOME; COGNOME
avverso l’ordinanza del 18/03/2024 della CORTE d’ASSISE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
dato avviso al difensore;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte d’Assise d’appello di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’incidente di esecuzione proposto nell’interesse di NOME COGNOME (alias: NOME COGNOME, Bledau COGNOME, NOME COGNOME) volto a ottenere: la declaratoria di invalidità del titolo esecutivo pe “esaurimento della vicenda esecutiva” innanzi all’Autorità albanese che aveva dichiarato estinta la pena inflitta da quella italiana; la declaratoria di n esecutività ex art. 670 cod. proc. pen. della sentenza della Corte d’Assise d’appello di Roma in data 9 ottobre 2001 (conferma della sentenza della Corte d’Assise di Roma in data 7 giugno 2000), irrevocabile in data 14 gennaio 2002, per nullità della notificazione dell’estratto contumaciale in quanto privo del presupposto decreto di latitanza.
1.1. Il giudice dell’esecuzione ha, anzitutto, rigettato la questione della non esecutività della sentenza poiché, pur non essendo stato rinvenuto alcun decreto di latitanza, la nullità della notificazione dell’estratto contumaciale doveva ritenersi sanata dalla conoscenza della decisione che deriva dall’appello proposto dal difensore d’ufficio e dalla circostanza che lo stesso condannato, nel corso di tutta la vicenda esecutiva che lo ha visto finora opporsi all’ordine di carcerazione emesso dall’autorità giudiziaria italiana, non ha mai dedotto la questione di nullità.
1.2. Sotto il primo profilo, l’incidente d’esecuzione è stato del pari rigettato poiché, anche sulla scorta della decisione assunta dalla Corte di Cassazione Sez. 1, n. 34911 del 20 maggio 2022 – che aveva rigettato il ricorso proposto per ottenere la declaratoria di non eseguibilità della pena poiché dichiarata estinta dall’autorità giudiziaria albanese -, non emerge alcun comportamento dello Stato italiano assunto in violazione degli accordi internazionali e delle disposizioni convenzionali, neppure sotto il profilo del bis in idem, ciò in considerazione della irrevocabilità del consenso espresso alle procedure di cooperazione, consenso che non è stato ottenuto in violazione della buona fede.
Ricorre NOME COGNOME, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, denunciando la violazione di legge e il vizio della motivazione perché il giudice dell’esecuzione:
non ha tenuto conto della previsione normativa contenuta nell’art. 5, par. 1 della Convenzione EDU, circa la arbitrarietà della privazione della libertà personale della quale è stato vittima il ricorrente in ragione del comportamento tenuto dalle autorità italiane che, dopo avere investito quelle albanesi
dell’esecuzione della decisione italiana, non ne hanno poi tenuto conto, violando il canone di buona fede, misconoscendo la decisione dell’Autorità giudiziaria dello Stato richiesto che aveva dichiarato estinta la pena (primo motivo);
non ha tenuto conto della previsione normativa contenuta negli artt. 159, 165, 175, 179, 295, 296, 548, 648 e 670, commi 1 e 3, cod. proc. pen., e ha erroneamente ritenuta “sanata” l’omessa notificazione con il rito dei latitanti dell’estratto contumaciale della sentenza, mancando, per stessa ammissione del giudice dell’esecuzione, il decreto di latitanza che legittima la notificazione a difensore, non potendosi ipotizzare alcuna sanatoria in dipendenza dell’appello proposto dal difensore avverso la sentenza di primo grado, dell’esperimento delle procedure estradizionali che condussero all’arresto in Grecia, al riconoscimento della sentenza da parte dell’AG albanese e al successivo (ingiusto) provvedimento di carcerazione emesso dall’AG italiana (secondo motivo).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato sotto il secondo assorbente profilo.
È utile premettere, per la comprensione della complessa vicenda processuale che riguarda NOME COGNOME (alias: NOME COGNOME, Bledau COGNOME, NOME COGNOME), che:
il procedimento di cognizione si è svolto con il rito contumaciale all’epoca vigente, anteriormente alle modifiche introdotte con la legge 28 aprile 2014, n. 67;
il condannato è stato tratto in arresto, una prima volta, in data 12 luglio 2016 in Albania;
il condannato fu trattenuto in quel Paese per l’esecuzione della condanna che fu riconosciuta dalla competente autorità giudiziaria albanese in data 24 gennaio 2017, con scarcerazione per declaratoria di estinzione della pena per prescrizione, pronunciata da quel giudice;
il condannato è stato tratto in arresto, una seconda volta, in data 25 agosto 2020 in Grecia e consegnato alle autorità italiane che avevano emesso un nuovo M.A.E.;
il condannato ha promosso un primo incidente di esecuzione sostenendo la non eseguibilità della pena a seguito della declaratoria di prescrizione emessa dai giudici albanesi; si è però chiarito che l’esecuzione della pena non aveva avuto luogo con l’avvio e la conclusione dell’iter procedimentale esecutivo nello Stato albanese mediante l’emissione della pronuncia del Tribunale di Saranda del 24 gennaio 2017, in quanto detta pronuncia, pur riconoscendo la sentenza di condanna italiana, aveva di fatto rifiutato di darvi esecuzione. Nella circostanza si è anche chiarito che non vi è stata alcuna violazione degli accordi e delle convenzioni internazionali e che, non essendo stata “eseguita” la pena, lo Stato italiano non ha perso ogni potere sul condannato proprio perché lo Stato di esecuzione non aveva già curato l’esecuzione della pena. Nel frangente, la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile, perché estraneo al devolutum, il motivo di ricorso che denunciava la nullità del giudizio di cognizione.
Ciò premesso, è utile sottolineare che il ricorso contesta la decisione di rigetto della declaratoria di non esecutività della sentenza, nonostante il giudice dell’esecuzione abbia dato atto dell’assenza del decreto di latitanza, con conseguente nullità della notificazione dell’estratto contumaciale.
Orbene, il ricorso denuncia fondatamente un error in procedendo che riguarda la mancata verifica, nel merito, delle garanzie poste a presidio dell’imputato nella formazione del giudicato, nel caso dell’abrogato rito contumaciale.
3.1. In effetti, il giudice dell’esecuzione è stato investito della questione dell formazione del giudicato che, secondo l’abrogato rito contumaciale, prevedeva la preventiva notificazione dell’estratto della sentenza al condannato ex art. 548, comma 3, cod. proc. pen.
Entro tale ambito, quindi, è rilevante la questione dell’illegittimità (rectius: assenza) del decreto di latitanza sulla base del quale è stata effettuata la notificazione del suddetto estratto; atto prodromico al passaggio in giudicato della sentenza.
L’incidente di esecuzione, del resto, formulava una specifica richiesta in tal senso a causa della non contestata inesistenza del decreto di latitanza.
4. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che «in sede di incidente di esecuzione può essere dedotta la questione della validità del decreto di latitanza all’esclusivo fine di contestare la validità della notifica dell’estratto contumacial e, conseguentemente, l’avvenuta formazione del titolo esecutivo» (Sez. 1, n. 30384 del 13/06/2019, COGNOME, Rv. 276606; in precedenza: Sez. 1, n. 44988 del 10/06/2014, COGNOME, Rv. 261129).
Si tratta di un principio di diritto cui il Collegio intende dare continuità e ch impedisce di ravvisare l’ipotizzata sanatoria, ex art. 183, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., che secondo il provvedimento impugnato discenderebbe dalle successive vicende esecutive.
Deve essere ribadito che ai fini della decorrenza del termine di impugnazione della sentenza (contumaciale), la notificazione all’imputato dell’avviso di deposito con l’estratto di sentenza non può essere sostituita da alcun altro atto, pur se quest’ultimo ne contenga tutti gli elementi essenziali, per cui nemmeno la notificazione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva potrebbe considerarsi atto equipollente all’avviso di deposito con l’estratto contumaciale di sentenza (Sez. U, n. 35402 del 09/07/2003, Mainente, Rv. 225362; fra le successive, Sez. 1, n. 50471 del 14/09/2018, Manto, Rv. 274527).
Sul tema, va puntualizzato che il vizio attinente all’omessa adozione del decreto di latitanza, verificatosi nel giudizio di cognizione, svolge rilievo in executivis soltanto là dove esso determini l’invalidità o l’omissione della notifica dell’estratto contumaciale, la quale non subisce alcuna preclusione collegata al giudicato (Sez. 1, n. 7430 del 17/01/2017, Canalini, Rv. 269228).
Quando, per tale causa, sia integrata la nullità dell’ordine di esecuzione, il destinatario di esso ha titolo a farla valere mediante incidente di esecuzione che, in assenza di termini per la proposizione, può essere azionato in ogni tempo, salva la preclusione derivante dalla mera reiterazione di istanza già proposta o dall’acquiescenza al provvedimento suscettibile di contestazione (Sez. 1, n. 2727 del 30/11/2005, dep. 2006, Gallego Guerra, Rv. 235095).
D’altronde, la Cassazione ha affermato che il mero decorso del tempo o la notificazione del provvedimento di cumulo non possono comunque avere determinato preclusioni dell’eccezione di nullità (art. 182 cod. proc. pen.) o sanatorie a riguardo (art. 183 cod. proc. pen.) con riferimento alla notificazione dell’estratto contumaciale, in mancanza dell’attivazione di una sequenza
procedimentale relativa all’esecuzione della sentenza di condanna nel corso della quale la parte abbia dato prova di non volersi avvalere della nullità o alla quale, comunque, la stessa abbia partecipato, sequenza che, come si vedrà nel prosieguo, non si è concretizzata nel caso in esame.
Va utilmente premesso che il giudice dell’esecuzione ha correttamente affermato che l’incidente di esecuzione con il quale si è proposta la questione ex art. 670 cod. proc. pen. è ammissibile, poiché basato su presupposti di fatto e ragioni di diritto nuovi rispetto a quelli dedotti e scrutinati in occasione d precedente incidente di esecuzione (per un’ampia rassegna della questione, si veda Sez. U, n. 40151 del 19/04/2018, Avignone, Rv. 273650).
Il giudice dell’esecuzione ha anzitutto correttamente rilevato che la notificazione dell’estratto contumaciale è affetta da nullità, per difetto de presupposto decreto di latitanza, non reperito agli atti del giudizio nonostante specifiche ricerche.
Ciò nonostante, il giudice dell’esecuzione ha affermato che tale nullità doveva intendersi sanata per accettazione degli effetti dell’atto; accettazione che ha ravvisato: nella impugnazione della decisione di primo grado da parte del difensore di ufficio; nella notificazione dell’estratto contumaciale al difensore di ufficio; nell’acquiescenza tacita (per facta concludentia) da parte del condannato della sentenza di condanna in quanto la relativa questione di inesistenza del titolo esecutivo non era stata promossa nella fase del riconoscimento e neppure successivamente quando egli è stato tratto in arresto in Grecia e, poi, consegnato all’Italia in esecuzione del M.A.E.
5.1. Ebbene, venendo alla specifica questione dedotta, va rilevato che non si è verificata nel caso di specie nessuna sanatoria della nullità della notificazione dell’estratto contumaciale.
La giurisprudenza di legittimità ha precisato che l’assenza di termini per la proposizione della richiesta della declaratoria di non esecutività del titolo non significa, come già chiaramente esposto da Sez. 1, Gallego Guerra, cit., che non si debba valutare se siano intervenuti fatti non equivocamente espressivi della accettazione degli effetti dell’atto del quale si predica, con successiva iniz l’invalidità.
Tuttavia, per analizzare la questione dell’accettazione deve ricordarsi quanto affermato da Sez. 1, n. 34042 del 14/03/2014, Nozzolino, Rv. 263212, secondo la quale «la nullità della notifica dell’avviso di deposito con l’estratto del sentenza contumaciale non è sanata, ex art. 183 cod. proc. pen., dalla presentazione di istanza di concessione di una misura alternativa alla detenzione da parte del condannato, quando lo stesso abbia, allo stesso tempo, proposto incidente di esecuzione diretto ad ottenere la declaratoria di non esecutività della sentenza di condanna e, conseguentemente, la rinnovazione della notifica dell’avviso di deposito ai fini dell’impugnazione».
Ciò, contrariamente a quanto ritenuto dal Procuratore generale nelle sue brillanti conclusioni, non significa che, quando non sia stata proposta alcuna istanza che presuppone l’accettazione della sentenza, la proposizione di altri incidenti di esecuzione avverso la medesima sentenza costituisca accettazione, eventualmente implicita o tacita.
Non si è verificata, nel caso in esame, la contemporanea proposizione di due domande, l’una che necessariamente muove dalla implicita premessa della esecutività del titolo e della conseguente accettazione dei suoi effetti, e l’altr diretta a contrastare l’esecutività del titolo, ma anzi si è registrata una costante azione volta a contestare l’esecutività ed eseguibilità della sentenza, seppure sotto diversi e autonomi profili.
5.2. È, quindi, irrilevante che il difensore di ufficio abbia impugnato la sentenza di primo grado perché qui si contesta la formazione del titolo di secondo grado.
È, del pari, irrilevante che l’estratto contumaciale della sentenza di secondo grado sia stato notificato al difensore di ufficio sul presupposto della latitanza, quando manchi, come nel caso in esame, il detto decreto.
Manca, quindi, la valida formazione del titolo a causa dell’omessa notificazione dell’estratto contumaciale al condannato, come lo stesso giudice dell’esecuzione riconosce.
5.3. È, poi, fuorviante ipotizzare che possa esistere una forma di acquiescenza tacita in grado di superare l’inesistenza del titolo esecutivo, per mancanza della corretta sequela procedimentale di formazione, poiché tale argomento riguarda, semmai, la diversa questione della conoscenza della
sentenza del procedimento ai fini del rimedio previsto dall’art. 175 cod. proc. pen.
La giurisprudenza ha chiarito che «le disposizioni in terna di incidente di esecuzione che disciplinano la competenza del giudice dell’esecuzione in ordine all’esistenza e alla corretta formazione del titolo esecutivo, si distinguono da quelle in tema di restituzione nel termine che presuppongonci, invece, la rituale formazione del titolo esecutivo e la sua mancata conoscenza da parte dell’interessato» (Sez. 5, n. 25556 del 26/04/2023, Kolaj, Rv. 284678; nella specie – relativa a istanza presentata al giudice dell’esecuzione che, pur essendo formalmente intestata come “richiesta di restituzione nel termine”, lamentava l’omessa notifica al condannato dell’estratto contumaciale della sentenza – la Corte ha ritenuto che il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto dichiarare l’omessa formazione del titolo esecutivo e assumere i provvedimenti conseguenti, disponendo contestualmente, ex art. 670, comma 1, seconda parte, cod. proc. pen., l’esecuzione della notificazione non eseguita, per consentire la decorrenza del termine per l’impugnazione).
Va, dunque, tenuto distinto il tema della formazione legale del titolo, cui attengono le disposizioni che riguardano la (previgente) previsione della notificazione dell’estratto contumaciale, da quelle che, sul presupposto della corretta formazione del titolo, riguardano la effettiva conoscenza del procedimento.
Ciò premesso, la questione della conoscenza della sentenza rileva sotto il profilo dell’art. 175 cod. proc. pen., con riguardo al decorso del termine decadenziale ivi previsto, mentre non rileva quando si contesti l’esistenza stessa del titolo, doglianza che, alla stregua del dato normativo, è proponibile senza limiti di tempo ex art. 670 cod. proc. pen.
6.1. Quanto alla questione dell’acquiescenza tacita, va anche precisato che, contrariamente a quanto sostiene il giudice dell’esecuzione, il condannato ha sempre e in ogni sede contestato la legittimità della sentenza di condanna, intentando varie azioni legali volte a rimuoverne l’efficacia o l’esecutività, sicché non può desumersi alcuna acquiescenza dalla circostanza che la questione dell’omessa notificazione dell’estratto contumaciale sia stata agitata per ultima,
in ordine di tempo, rispetto ad altre doglianze comunque sempre rivolte a contestare il titolo esecutivo per altri presunti vizi.
Vale, come già si è ricordato, il principio che annette una limitata portata all’effetto «auto conservativo» dell’accertamento compiuto dal giudice dell’esecuzione, perché circoscritto alla deduzione dello stesso oggetto in relazione a presupposti di fatto e ragioni di diritto identici a quelli rappresentat con precedente istanza, già esaminata e decisa.
È evidente, quindi, che la questione dedotta con l’odierno incidente di esecuzione non è preclusa dalle precedenti determinazioni assunte con riguardo a diversi incidenti di esecuzioni poiché aventi un diverso petitum, come incidentalmente ha rilevato Sez. 1, n. 34911 del 20 maggio 2022.
Né il “tardivo” esperimento dell’incidente ex art. 670 cod. proc. pen. può rappresentare acquiescenza poiché, nel caso di specie, il condannato non ha mai, neppure implicitamente, accettato gli «effetti dell’atto», avendolo sempre contestato con ogni azione legale.
6.2. È, dunque, priva di efficacia sanante la circostanza che il condannato abbia contestato l’eseguibilità della pena perché dichiarata prescritta dall’autorità giudiziaria albanese o perché non eseguibile da parte dello Stato italiano per la presunta richiesta di esecuzione in Albania (circostanze, del resto, tutte già giudicate infondate) poiché ciò non ha riflessi sulla corretta formazione del titolo esecutivo, ma, al più, sulla conoscenza del procedimento.
Manca, nel caso in esame, lo specifico accertamento che l’estratto contumaciale sia stato correttamente notificato: ciò impedisce la formazione del titolo.
7.1. Il giudice dell’esecuzione ha, dunque’ errato nel rigettare la richiesta ex art. 670 cod. proc. pen., perché doveva verificare la correttezza della notificazione dell’estratto contumaciale delia sentenza e, in quanto atto presupposto, la legittimità del decreto di latitanza emesso nei confronti dell’imputato.
Per effettuare i richiamati accertamenti e verifiche, quindi, il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio al giudice dell’esecuzione (Sez. 1, n. 21826 del 17/07/2020, Mescolo, Rv. 279397), che vi provvederà nella piena libertà delle proprie determinazioni di merito.
7.2. Resta assorbito il secondo motivo di ricorso.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’Assise di Roma.
Così deciso il 1° luglio 2024.