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Estradizione processuale: quando non è alternativa

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo contro l’ordine di estradizione verso la Bosnia ed Erzegovina per furto aggravato. La Corte ha stabilito che, trattandosi di estradizione processuale finalizzata a un giudizio e non all’esecuzione di una pena definitiva, non è possibile optare per il riconoscimento della sentenza in Italia. Inoltre, le generiche lamentele sulle condizioni detentive sono state ritenute insufficienti a bloccare la procedura.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Estradizione Processuale: La Cassazione Chiarisce i Limiti delle Alternative

In una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha affrontato il delicato tema dell’estradizione processuale, delineando con precisione i confini tra la consegna di un imputato a uno Stato estero per essere processato e le possibili misure alternative. La decisione offre importanti spunti di riflessione sui presupposti per l’estradizione e sui motivi che possono essere validamente opposti per impedirla, soprattutto quando si invocano legami con il territorio italiano e il rischio di violazione dei diritti umani.

I fatti del caso

La vicenda trae origine dalla richiesta di estradizione avanzata dal Governo della Bosnia ed Erzegovina nei confronti di un uomo, accusato del reato di furto aggravato. La Corte di Appello di Roma, in sede di rinvio, aveva dichiarato la sussistenza delle condizioni per la consegna dell’individuo allo Stato richiedente.

L’interessato, nato e residente stabilmente in Italia, dove vive con la compagna e tre figli in tenera età, si opponeva alla decisione, presentando ricorso in Cassazione. La sua difesa si basava su due argomentazioni principali, volte a evitare il trasferimento in Bosnia ed Erzegovina.

I motivi del ricorso: due fronti di opposizione

Il ricorso dell’imputato si articolava su due distinti motivi:

1. Violazione della legge processuale: La difesa sosteneva che la Corte di Appello avesse errato nel non considerare la possibilità di riconoscere in Italia l’eventuale sentenza straniera, in alternativa all’estradizione. Tale richiesta era fondata sui forti legami familiari e sociali dell’uomo con l’Italia.
2. Violazione dei diritti umani: Con il secondo motivo, si lamentava la violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Secondo il ricorrente, la Corte territoriale aveva omesso di verificare adeguatamente le condizioni di detenzione a cui sarebbe stato sottoposto in Bosnia, non escludendo il rischio di trattamenti inumani o degradanti.

La decisione della Corte di Cassazione sull’estradizione processuale

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, rigettando entrambe le censure sollevate dalla difesa e confermando la decisione della Corte di Appello.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha smontato punto per punto le argomentazioni del ricorrente con motivazioni chiare e nette.

In primo luogo, riguardo alla richiesta di un’alternativa all’estradizione, i giudici hanno sottolineato una distinzione fondamentale: quella tra estradizione processuale ed estradizione esecutiva. Nel caso di specie, la Bosnia ed Erzegovina aveva richiesto la consegna dell’uomo per sottoporlo a un giudizio, non per dare esecuzione a una condanna già diventata definitiva. Di conseguenza, non esistendo una sentenza da eseguire, non era logicamente e giuridicamente possibile chiedere che la relativa pena venisse scontata in Italia. L’alternativa invocata dalla difesa è prevista solo quando l’estradizione serve a far eseguire una pena già inflitta con sentenza irrevocabile.

In secondo luogo, per quanto concerne il presunto rischio di trattamenti inumani, la Corte ha osservato che il ricorrente si era limitato a una mera e generica deduzione del pericolo, senza fornire alcun elemento concreto e specifico a supporto delle sue affermazioni. Un semplice timore non è sufficiente a innescare l’obbligo per il giudice di richiedere informazioni aggiuntive allo Stato richiedente. Inoltre, la Cassazione ha richiamato un proprio precedente (sent. n. 45476/2015), nel quale si era già escluso che nel sistema detentivo bosniaco esistesse una situazione di lesione generale e sistemica dei diritti fondamentali dei detenuti.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cardine in materia di cooperazione giudiziaria internazionale: l’estradizione processuale non ammette alternative come l’esecuzione della pena nel proprio Paese, semplicemente perché una pena non è stata ancora determinata. Questa opzione diventa praticabile solo in una fase successiva, dopo un’eventuale condanna definitiva. La decisione, inoltre, conferma che l’onere di provare il rischio concreto di violazione dei diritti umani nel Paese richiedente grava su chi si oppone all’estradizione. Allegazioni generiche e non supportate da prove specifiche non possono bloccare i meccanismi di cooperazione giudiziaria.

Quando una persona deve essere processata all’estero, può chiedere di scontare l’eventuale pena in Italia per evitare l’estradizione?
No, la sentenza chiarisce che questa alternativa è applicabile solo se l’estradizione è richiesta per eseguire una condanna già definitiva (estradizione esecutiva). Se l’estradizione è richiesta per sottoporre la persona a un processo (estradizione processuale), non esiste ancora una pena da scontare e quindi l’alternativa non è contemplata.

Basta affermare di temere trattamenti inumani nelle carceri estere per bloccare un’estradizione?
No, secondo la Corte non è sufficiente una generica affermazione o un semplice timore. Chi si oppone all’estradizione ha l’onere di fornire elementi concreti e specifici che dimostrino un rischio reale e attuale di subire trattamenti contrari ai diritti umani. In assenza di tali prove, la doglianza viene respinta.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per “manifesta infondatezza”, poiché i motivi presentati sono stati ritenuti palesemente privi di qualsiasi fondamento giuridico. La richiesta di scontare una pena inesistente e il generico timore per le condizioni detentive non costituivano argomenti validi per contestare la decisione della Corte di Appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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