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Estradizione per l’estero: quando è legittima?

Un uomo, destinatario di una richiesta di estradizione per l’estero dall’Albania per reati quali truffa e incendio, ricorre in Cassazione lamentando la violazione della doppia incriminabilità e il rischio di trattamenti disumani. La Corte rigetta il ricorso, affermando che per l’estradizione è sufficiente che il fatto concreto sia reato in entrambi gli Stati, anche con diversa qualificazione giuridica. Escluso anche il rischio di trattamenti disumani sulla base di rapporti internazionali.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Estradizione per l’estero: la Cassazione sui limiti della doppia incriminabilità

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3758 del 2025, torna a pronunciarsi su un tema cruciale della cooperazione giudiziaria internazionale: l’estradizione per l’estero. Il caso in esame offre l’occasione per chiarire i contorni applicativi del principio di doppia incriminabilità e i criteri di valutazione del rischio di trattamenti inumani e degradanti nello Stato richiedente. La decisione conferma un orientamento consolidato, privilegiando un approccio sostanziale alla valutazione dei fatti rispetto a un formalistico confronto tra le norme incriminatrici dei due Paesi coinvolti.

I fatti del caso: la simulazione della morte e la richiesta di estradizione

Il caso riguarda un cittadino italiano destinatario di un mandato di cattura internazionale emesso dalle autorità albanesi. L’uomo era accusato di una serie di reati, tra cui truffa, false dichiarazioni, profanazione di tombe, intralcio alla giustizia, danneggiamento e incendio. Secondo l’accusa, per sfuggire a responsabilità debitorie, l’imputato aveva simulato la propria morte, incendiando un’autovettura noleggiata all’interno della quale erano state depositate ossa umane.

La Corte di Appello di Perugia aveva accolto la richiesta di estradizione avanzata dalla Procura Generale. Contro questa decisione, l’interessato proponeva ricorso per Cassazione, affidandosi a tre principali motivi di doglianza.

I motivi del ricorso: la contestata doppia incriminabilità

Il ricorrente lamentava, in primo luogo, la violazione del principio di doppia incriminabilità. Sosteneva che le condotte a lui ascritte non costituissero reato secondo l’ordinamento italiano:

* Il reato di truffa era improcedibile per difetto di querela e comunque estinto per avvenuto risarcimento del danno.
* La condotta non integrava gli ‘artifici e raggiri’ tipici della truffa.
* Il possesso di ossa umane non implicava necessariamente la profanazione di una tomba.
* L’incendio dell’auto non presentava le caratteristiche di vastità e diffusività richieste dalla fattispecie di incendio, potendosi al più configurare come un semplice danneggiamento.

Inoltre, il ricorrente eccepiva la sproporzione della pena prevista in Albania per la truffa aggravata e il rischio di subire un trattamento carcerario disumano e degradante, in violazione dell’art. 3 della CEDU.

Il principio della doppia incriminabilità nell’estradizione per l’estero

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Il fulcro della decisione risiede nella corretta interpretazione del principio di doppia incriminabilità. I giudici hanno ribadito che per soddisfare tale requisito non è necessaria una perfetta simmetria tra le norme incriminatrici dei due Stati.

È sufficiente che la concreta fattispecie sia punibile come reato in entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l’eventuale diversità del titolo di reato, del trattamento sanzionatorio o delle condizioni di procedibilità (come la querela).

La riqualificazione giuridica del fatto

Sulla base di questo principio, la Corte ha proceduto a una riqualificazione giuridica dei fatti secondo la legge italiana:

1. Truffa: La condotta di incendiare l’autovettura noleggiata, di cui si aveva la disponibilità per un titolo contrattuale, è stata ricondotta non alla truffa, ma al reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.). L’agente, compiendo atti incompatibili con il titolo del possesso, ha realizzato una vera e propria interversio possessionis.
2. Profanazione di tombe: La disponibilità di ossa umane e il loro utilizzo per simulare un decesso integrano pienamente il reato di vilipendio di cadavere (art. 410 c.p.), che tutela il sentimento di pietà verso i defunti.
3. Incendio: L’aver appiccato il fuoco a un’auto altrui è riconducibile al delitto di danneggiamento seguito da incendio, per il quale non sono necessari i requisiti di vaste dimensioni o diffusività delle fiamme propri del reato di incendio.

La Corte ha concluso che, poiché tutte le condotte contestate trovano una corrispondenza nell’ordinamento italiano, il requisito della doppia incriminabilità è pienamente soddisfatto.

Il rigetto delle altre censure: proporzionalità della pena e condizioni carcerarie

Anche gli altri motivi di ricorso sono stati respinti. La difformità sanzionatoria, secondo la Corte, non osta all’estradizione a meno che non sia del tutto irragionevole, aspetto non riscontrato nel caso di specie. Eventuali riserve sulla severità del sistema punitivo albanese sono state demandate alle valutazioni di ordine politico del Ministro della Giustizia.

Infine, riguardo al presunto rischio di trattamenti inumani, la Corte ha sottolineato che l’onere di fornire prove concrete grava sull’estradando. In assenza di tali prove, e sulla base dei rapporti positivi del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa (CPT) sulle carceri albanesi, il motivo è stato giudicato infondato e generico.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su un orientamento giurisprudenziale consolidato che interpreta il principio di doppia incriminabilità in senso sostanziale e non formale. Non si richiede una coincidenza nominalistica tra le fattispecie penali, ma una corrispondenza nella sostanza del fatto illecito. Questo approccio garantisce l’effettività della cooperazione giudiziaria, evitando che mere differenze di tecnica legislativa possano ostacolare la repressione di crimini transnazionali. La Corte ha chiarito che elementi come la procedibilità a querela o l’estinzione del reato per condotte riparatorie sono irrilevanti, poiché l’analisi deve concentrarsi unicamente sulla qualificazione del fatto come reato in entrambi gli Stati. Sul fronte dei diritti fondamentali, la Corte ha applicato un criterio rigoroso: il timore di trattamenti degradanti deve essere supportato da prove oggettive e aggiornate, non da mere allegazioni generiche. In questo caso, i rapporti ufficiali internazionali hanno fornito un quadro rassicurante delle condizioni detentive nello Stato richiedente, rendendo ingiustificata la richiesta di ulteriori informazioni.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce alcuni punti fermi in materia di estradizione per l’estero:

1. Approccio sostanziale alla doppia incriminabilità: Ciò che conta è che il fatto storico sia considerato un crimine in entrambi i Paesi, anche se con un diverso nome o inquadramento giuridico.
2. Irrilevanza delle condizioni di procedibilità: La mancanza di una querela o altre condizioni di procedibilità previste dalla legge italiana non impedisce di concedere l’estradizione.
3. Onere della prova sull’estradando: Spetta a chi si oppone all’estradizione dimostrare, con dati precisi e aggiornati, il rischio concreto di violazione dei diritti fondamentali nello Stato richiedente.

Questa pronuncia consolida un quadro di certezza giuridica nelle procedure di cooperazione internazionale, bilanciando l’esigenza di combattere la criminalità transfrontaliera con la tutela dei diritti fondamentali della persona.

Per concedere l’estradizione è necessario che il reato abbia lo stesso nome e la stessa pena in entrambi gli Stati?
No. Secondo la Corte di Cassazione, ai fini della “doppia incriminabilità” non è richiesta una perfetta corrispondenza tra le norme incriminatrici. È sufficiente che la condotta concreta sia considerata reato da entrambi gli ordinamenti, a prescindere dal titolo del reato, dal trattamento sanzionatorio o da altri elementi specifici della fattispecie.

Una notevole differenza di pena tra lo Stato richiedente e l’Italia può bloccare un’estradizione per l’estero?
No, di regola la difformità del trattamento sanzionatorio non impedisce l’estradizione. Può diventare un ostacolo solo se la pena prevista all’estero risulta del tutto irragionevole e manifestamente in contrasto con il principio di proporzionalità.

Chi deve dimostrare il rischio di trattamenti inumani e degradanti nelle carceri estere?
L’onere della prova incombe sulla persona di cui si chiede l’estradizione (l’estradando). Egli deve fornire elementi oggettivi, precisi, attendibili e aggiornati sulle condizioni di detenzione, idonei a fondare il timore concreto di un trattamento incompatibile con i diritti fondamentali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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