Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 614 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 614 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Tashkent (Uzbekistan) il 23/02/1985
avverso la ordinanza del 05/09/2024 della Corte di appello di Roma visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Roma disponeva la sospensione della misura cautelare della custodia in carcere applicata a NOME COGNOME persona richiesta in estradizione dal Governo del Tagikistan, perché il Ministro della giustizia, con decreto del 6 agosto 2024, aveva concesso la sua estradizione, rinviandone l’esecuzione, risultando l’estradando sottoposto a procedimento penale in Italia, per il quale era ristretto in carcere come da misura cautelare del 2 settembre 2024.
Con la stessa ordinanza la Corte di appello stabiliva che la misura sospesa venisse automaticamente riattivata al momento in cui sarebbe cessata per qualsiasi motivo la detenzione in carcere per la giustizia italiana, al fine di consentire l’immediata esecuzione della estradizione già concessa.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’interessato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione all’art. 709 cod. proc. pen.
Il ricorrente era stato arrestato a fini estradizionali l’8 aprile 2024 e in data agosto 2024 il Ministro della giustizia ha emesso il decreto di estradizione, fissando la esecuzione della consegna a far data dal 5 settembre 2024.
Il 3 settembre 2024 il ricorrente era raggiunto da una misura cautelare carceraria per ragioni di giustizia nazionale.
La Corte di appello, nel dare atto del contenuto del provvedimento ministeriale del 4 settembre 2024 di sospensione della consegna, doveva revocare la misura cautelare e non sospenderla, come hanno stabilito molteplici arresti di legittimità (sia a Sezioni Unte che a Sezioni semplici).
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito illustrate.
Le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 41540 del 28/11/2006, Stosic, Rv. 234917) hanno affrontato la questione di diritto controversa sulla sorte della misura cautelare coercitiva, applicata a fini estradizionali, in caso di sospensione della consegna, ex art. 709, comma 1 cod. proc. pen. (“l’estradando deve essere giudicato nel territorio dello Stato o vi deve scontare una pena per reati commessi prima o dopo quello per il quale l’estradizione è stata concessa”).
Il problema interpretativo nasceva dalla mancanza, all’epoca, di disposizioni di legge volte a regolare la durata massima delle misure cautelari coercitive nella procedura estradizionale per la fase c.d. “ministeriale” (a differenza di quella giurisdizionale) e dalla controversa applicazione di quelle previste per,-it procedimento penale ordinario, sulla base della clausola di compatibilità, contenuta nell’art. 714, comma 2 cod. proc. pen.
Le Sezioni Unite hanno escluso il ricorso ad una interpretazione estensiva, sussistendo un’obiettiva incompatibilità tra i termini di cui all’art. 303, comma 4, cod. proc. pen. e i limiti di durata delle misure coercitive applicate in sede estradizionale, desumibile dalla diversità del “sistema cautelare” delineato per il processo ordinario e quello specifico dedicato al procedimento di estradizione, quest’ultimo contraddistinto da termini ristretti di durata della privazione della libertà personale e da cadenze accelerate in tutte le diverse fasi in cui può articolarsi l’iter del procedimento di estradizione in ragione delle peculiarità che caratterizzano l’estradizione e la condizione di chi vi è assoggettato.
Preso atto di questo vuoto normativo, le Sezioni Unite hanno affermato che le misure coercitive eventualmente in corso all’atto della sospensione del decreto di estradizione devono essere revocate, pur rimanendo ferma la possibilità di adottare una nuova misura, una volta esaurite le esigenze di giustizia interna e riavviato il procedimento di consegna.
Questa “vistosa lacuna” normativa (così la definisce la Suprema Corte) è stata colmata solo con la legge 21 luglio 2016, n. 149, che ha novellato l’art. 714 cod. proc. pen., con l’aggiunta del comma 4-bis, che prevede specifici termini di durata massima delle misure coercitive per la fase successiva alla decisione favorevole del Ministro della giustizia sulla richiesta di estradizione (“Le misure coercitive sono altresì revocate se sono trascorsi tre mesi dalla pronuncia della decisione favorevole del Ministro della giustizia sulla richiesta di estradizione senza che l’estradando sia stato consegnato allo Stato richiedente”).
In questo nuovo quadro normativo va quindi valutata la questione posta dal ricorrente, ovvero se sia legittima la decisione di sospensione della misura cautelare coercitiva, con successivo automatico ripristino per la esecuzione del decreto di estradizione.
Va premesso che analoga questione si è posta in tema di mandato di arresto europeo nel caso di rinvio della consegna per esigenze di giustizia nazionale.
La Suprema Corte ha chiarito (in particolare, Sez. 6, n. 7107 del 12/02/2009, Rv. 243244) che il provvedimento di rinvio della consegna può avere un contenuto diversificato in ragione della peculiare fattispecie nazionale e non sempre ancorato alla completa soddisfazione delle esigenze di giustizia interna. Pertanto, ha stabilito che si impone la formale revoca della custodia cautelare per fini cli consegna (con la necessità di provvedere poi al ripristino con successivo autonomo provvedimento) in tutti e soli i casi in cui ricorrano due condizioni: 1) non sia in atto, per la causa di giustizia italiana che è stata ritenuta tale da determinare rinvio della consegna, una misura cautelare – o esecutiva – custodiale, e 2) l’esigenza di giustizia nazionale non sia stata individuata nel fatto materiale della
restrizione di libertà in sé, quindi indipendentemente dalla definizione del procedimento penale ovvero dalla completa espiazione della pena.
Quando invece la consegna venga rinviata in relazione esclusivamente alla materialità di una detenzione in atto per causa nazionale, sicché il venir meno cii tale detenzione comporta automaticamente la possibilità di dare concreto seguito alla consegna già decisa in via definitiva, non vi è ragione di provvedere ad alcuna revoca, con successivo ripristino, se non quando si superi il termine previsto dalla legge dalla cessazione della detenzione a fini nazionali senza che materialmente si sia provveduto alla consegna. In questi specifici casi la detenzione si protrae solo ed esclusivamente in conseguenza del titolo nazionale, ed appena questo viene per qualsiasi ragione – meno, immediatamente opera il principio per cui la consegna deve avvenire entro il termine previsto.
Fatte queste premesse, va rilevata la peculiarità del caso in esame in cui la sospensione della consegna non è stata disposta dal Ministro della giustizia nei termini previsti dall’art. 709 cod. proc. pen. (ovvero a completa soddisfazione delle esigenze di giustizia nazionale) bensì, come ha riportato l’ordinanza impugnata, ponendo come condizione risolutiva la cessazione dello stato in atto di detenzione dell’estradando.
Pertanto, tenuto conto del contenuto della comunicazione proveniente dal Ministero, correttamente la Corte di appello ha sospeso la misura cautelare in atto in funzione dello stato di restrizione dell’estradando, ritenuto ostativo alla consegna.
Sulla base delle osservazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
La Cancelleria provvederà alle comunicazioni di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 28/11/2024.
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