Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7958 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7958 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da :
COGNOME NOME nato a Alba il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nata a Alba DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte di appello di Torino in data 20/4/2023
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
preso atto che il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art comma 8, D.L. n.137/2020, convertito nella L. 18/12/2020 n. 176 (così come modificato per il termine di vigenza dall’art. 16 del D.L. 30/12/2021, n.228, convertito nella L. 25/02/2022 15);
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME:
letta la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso lette le conclusioni scritte dell’AVV_NOTAIO con le quali ha chiesto l’annullamento de sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12/1/2023, la Corte d’appello di Milano ha parzialmente confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Cuneo il 28/3/2022, con la quale COGNOME NOME e COGNOME NOME sono stati condannati per il delitto di estorsione in concorso e vari reat natura fiscale, riducendo la pena a loro inflitta con conferma della confisca e della statuiz civili.
Avverso detta sentenza ricorrono per cassazione gli imputati con unico atto, denunciando i seguenti motivi di ricorso : illogicità della motivazione in riferimento al delitto di estors cui al capo A).
Gli elementi probatori evidenziati dalla Corte d’appello : la querela della persona offesa e ulteriori elementi documentali, le sommarie informazioni NOME COGNOME e le dichiarazioni da questi rese in dibattimento, farebbero emergere come il COGNOME fosse stato vittima di una raggiro e non di un’estorsione, non vi sarebbe stata infatti alcuna minaccia di licenziamento da parte dei ricorrenti affinchè la p.o. accettasse di rendersi cessionario delle quote della Affila COGNOME ( riconducibile di fatto ai ricorrenti), da qui il travisamento della prova per omiss avendo la Corte trascurato elementi dai quali poteva desumersi l’insussistenza del delitto di cu all’art. 629 c.p.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano l’omessa motivazione in relazione alla richiesta di riqualificazione della condotta contestata nel delitto di truffa, mancando l’eleme costitutivo del delitto di estorsione e cioè l’ingiusto profitto.
Con il terzo motivo ci si duole del mancato riconoscimento della circostanza attenuante della partecipazione di minima importanza di cui all’art. 114 c.p., in relazione alla condotta di NOME , riferita all’estorsione di cui al capo a). La sentenza di appello avrebbe pretermesso valutazione di elementi dimostrativi di detta circostanza.
Con il quarto motivo si contesta la sentenza in punto di sussistenza dei reati di natura fisc di cui ai capi b),c),d), d), f), g), h) inquadrabili nella fattispecie di cui all’art. 4 D.Igs. 74/2000, in quanto il meccanismo fraudolento della ” doppia fatturazione” assume la difesa, non ha ostacolato l’accertamento della falsità contabile, si tratterebbe di una condot di sottofatturazione che alla stregua del nuovo art. 3, co. 3, Dlgs. 74/2000, non integra fattispecie di cui all’art. 3, co.1, d.lgs. cit., ma è sussumibile nella fattispecie di cui d.lgs. 74/2000, punibile quando supera la soglia di punibilità prevista pari a 150.000,00 euro.
CONSIDERATO IN DIRTTO
1.1 ricorsi sono inammissibili .
1.1. I ricorrenti solo formalmente denunciano vizi di legittimità ( travisamento della prova omissione, ovvero illogicità della motivazione), limitandosi nella sostanza a riprodur doglianze già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla corte di merito.
2. La Corte di appello di Torino, con motivazione aderente ai dati probatori ed esente da viz logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento in relazione alla sussistenza delitto di estorsione in concorso, avuto riguardo alle dichiarazioni della persona offesa e de altri lavoratori che univocamente hanno dimostrato come COGNOME e COGNOME avessero, dietro la minaccia di licenziamento, costretto il dipendente COGNOME ad accettare la cessione dell quote societarie della società Affilatura COGNOME, con successiva trasformazione della società i ditta individuale a suo nome, conseguendo l’ingiusto profitto pari ad euro 44.110,00 somma che distraevano dai conti aziendali, oltre all’esenzione da responsabilità ed imposizione fiscal connessa a tale qualifica imprenditoriale ( pagg. 16 e segg. della sentenza) .
2.1. La Corte di merito correttamente ha rimarcato come al di là del nomen attribuito alla condotta degli imputati da parte della persona offesa “raggiro” , la stessa dovesse essere ricondotta alla fattispecie estorsiva e non alla truffa, sia per la ritenuta sussistenza coartazione dell’altrui volontà, rinvenuta nella minaccia di licenziamento e chiusura dell’atti prospettati al dipendente, sia per il conseguimento dell’ingiusto profitto dato dalla prosecuzion dell’attività con esenzione da responsabilità imprenditoriali, fiscali e tributarie (Sez. 2, del 04/11/2009, Rv. 246046; Sez. 2, n. 11107 del 14/02/2017, Rv. 269905; Sez. 1, n. 2252 del 05/07/1985, Rv. 170598).
2.2. Va ribadito infatti, che in tema di estorsione, ai fini della configurabilità del rea indifferenti la forma o il modo della minaccia, potendo questa essere manifesta o implicita palese o larvata, diretta o indiretta, reale o figurata, orale o scritta, determi indeterminata, purché comunque idonea, in relazione alle circostanze concrete, a incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo. La connotazione di una condotta come minacciosa e la sua idoneità ad integrare l’elemento strutturale del delitto di estorsione vann valutate in relazione a concrete circostanze oggettive, quali la personalità sopraffattr dell’agente, le circostanze ambientali in cui lo stesso opera, l’ingiustizia della pretes particolari condizioni soggettive della vittima, vista come persona di normale impressionabilità a nulla rilevando che si verifichi una effettiva intimidazione del soggetto passivo (Sez. 6, 3298 del 26/01/1999, Rv. 212945 ).
Ed invero l’estorsione di cui si discute rientra nella fattispecie, delineata da tempo d giurisprudenza di legittimità, della cd. estorsione patrimoniale, che si realizza quando soggetto passivo sia imposto di porsi in rapporto negoziale di natura patrimoniale con l’agente o con altri soggetti. In essa l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno è implici fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della pr autonomia negoziale, impedendogli di perseguire i propri interessi economici nel modo e nelle forme ritenute più confacenti ed opportune (cfr. Sez. 5, n. 9429 del 13/10/2016, Ud. (dep. 27/02/2017 ) Rv. 269364; Sez. 2 , n. 12434 del 19/02/2020, Rv. 2789982).
Come è stato opportunamente rilevato in un risalente, ma ancora condivisibile arresto del Supremo Collegio, infatti, se è vero che, nel delitto di estorsione, il danno arrecato deve esse di natura patrimoniale, è altrettanto vero che il patrimonio deve essere inteso lato sensu, come
la somma dei rapporti giuridici attivi e passivi, a contenuto patrimoniale, facenti capo ad una determinata persona, per modo che, come esso risulta arricchito dall’attribuzione di un dirit di credito, cosi rimane sminuito dall’assunzione della qualità , meramente fittizia di titola quote societarie, con assunzione di responsabilità derivanti dall’attività di impresa, in lu degli imputati con correlato ingiusto profitto degli imputati stessi, costituito dalla f deresponsabilizzazione dall’attività di impresa con ricaduta di ogni rischio sul titolare appare e ciò sia sul piano dell’impresa, sia su quello fiscale e tributario (cfr. Sez. I, 10.7.1 1935, Rv. 126405).
3. La Corte di merito, poi, applicando i criteri ermeneutici forniti dalla giurisprudenz legittimità, ha escluso che nella fattispecie in esame, potesse ravvisarsi il delitto di anziché l’estorsione poiché ha valorizzato quale elemento distintivo, il dato della provenienz del male ingiusto direttamente dagli imputati, dovendosi ricordare che ricorre la truffa s male viene ventilato come possibile ed eventuale e comunque non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non è coartata, ma si determina alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perché tratta in er dalla esposizione di un pericolo inesistente; mentre si configura, invece, l’estorsione se il m viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, poichè in tal caso la perso offesa è posta nella ineluttabile alternativa di far conseguire all’agente il preteso profitt subire il male minacciato. ( Sez. z. 2, n. 46084 del 21/10/2015, Rv. 265362; Sez. 2, n. 24624 del 17/07/2020, Rv. 279492).
Quanto al denunciato vizio di carenza di motivazione in relazione alla doglianza difensiva concernente il diniego dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p. nei confronti di COGNOME NOME deve rilevarsi che in sede di legittimità, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso il vizio di motivazione perché il giudice di appello, pur non avend espressamente motivato in ordine alla mancata applicazione dell’attenuante dell’art. 114 c.p., – esplicitamente richiesta con i motivi di appello- aveva in motivazione dimostrato partecipazione attiva dell’imputato al delitto : Sez.1, n. 27825 del 22/05/2013, Rv. 256340
Sez. 2 n. 48029 del 20/10/2016, Rv. 268176).
Nel caso di specie il motivo non solo era stato proposto in appello in maniera assolutamente generica senza alcuna argomentazione di supporto, ma comunque la motivazione della Corte di merito, sul punto, si ricava dal complesso della sentenza che ha valorizzato le modalità dell’azione e il contributo fattivo offerto dalla ricorrente.
Non si ravvisano, infine, vizi di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei r tributari posto che la Corte d’appello sulla base della ricostruzione dei fatti secondo pacificamente gli imputati rilasciavano ai clienti fatture con l’importo effettivamente pagato annotavano in contabilità a fini fiscali le fatture con importo di gran lunga inferiore co abbattere la base imponibile, ha considerato la condotta artificiosa idonea ad indurre in error
l’amministrazione finanziaria in conformità con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui” integra il delitto di cui all’art. 3 co. 1 , d.lgs. 74/2000, la condotta di chi r in contabilità una fattura recante lo stesso numero e la stesa data di altra fattura decisamen superiore che invece non viene annotata, trattandosi di comportamento insidioso ed ingannatorio, idoneo ad ostacolare l’accertamento dell’imponibile e ad indurre in error l’amministrazione finanziaria”( Sez.3, n. 37127 del 29/03/2017, Rv. 271300).
L’artifizio sta proprio in ciò: nell’attribuire a due fatture la stessa numerazione, comportame insidioso e ingannatorio, idoneo a ostacolare l’accertamento dell’imponibile e a indurre i errore l’amministrazione finanziaria il che integra uno degli elementi costitutivi del reato d all’art. 3, cit.. Si tratta di un comportamento ben diverso dalla pura e semplice omess registrazione di una fattura, che per le ragioni testé spiegate costituisce quel quid pluris, rispetto alla pura e semplice falsa rappresentazione offerta nelle scritture contabili obbligato richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte ai fini della realizzazione del “mezzo fraudolento (così, in motivazione, Sez. 3, n. 37127 cit.).
Al riguardo, invero, per la realizzazione del mezzo fraudolento è necessaria appunto la sussistenza di un quid pluris rispetto alla falsa rappresentazione offerta nelle scritture contabili obbligatorie e, cioè, una condotta connotata da particolare insidiosità derivante dall’impiego artifici idonei ad ostacolare l’accertamento della falsità contabile (Sez. 5, n. 36859 16/01/2013, COGNOME e altri, Rv. 258041; Sez. 3, n. 2292 del 22/11/2012, dep. 2013, Stecca, Rv. 254136).
In specie è proprio accaduto questo, tenuto conto che gli odierni ricorrenti, nella richiama qualità, avevano appunto inserito nella propria contabilità – infine trasfondendo i rela risultati nella successiva dichiarazione – un determinato numero di fatture con identic numerazione rispetto ad altrettante fatture invero emesse, ma recanti – le prime – un importo inferiore rispetto a quanto invece indicato, e incassato, nelle corrispondenti fatture inviate propria clientela. Né l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, infine esperito, era stato ogget di contestazione alcuna.
6. Da quanto complessivamente esposto deriva, in definitiva, l’inammissibilità dei ricorsi e conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
p.q.m.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali della somma di euro tremila in favore della casa delle ammende.
Così deciso il 12.12.2023
DEPOSITATO . AN CANCELLARIA SECONDA SEZIONE PENALE