Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 896 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 896 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2023
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME COGNOME nato a Udine il 30/03/1948, avverso la sentenza del 16/02/2023 della Corte di appello di Trieste; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza del Tribunale di Udine, emessa il 26 giugno 2019, che aveva condannato il ricorrente alla pena di giustizia in relazione al reato di danneggiamento di un’autovettura aggravato dalla esposizione del bene alla pubblica fede.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME deducendo, con unico motivo, violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante
della esposizione del bene per necessità alla pubblica fede, la cui elisione avrebbe fatto venir meno la rilevanza penale del fatto.
L’assunto difensivo si fonda sulla circostanza che al momento del danneggiamento l’autovettura era guidata dal proprietario, il quale, pertanto, avrebbe esercitat sulla stessa un costante controllo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
1.Non vi è alcun contrasto giurisprudenziale sulla ratio dell’aggravante di cui si discute, che va individuata nella minorata possibilità di difesa connessa alla particolare situazione dei beni, in quanto posti al di fuori della sfera di dire vigilanza del proprietario e, quindi, affidati interamente all’altrui senso di onestà rispetto (vedi Sez. 2, 51438 del 20/10/2017, PG in proc. COGNOME, Rv. 271332; Sez. 2, n. 15604 del 25/03/2021, COGNOME, Rv. 281120, laddove si legge in motivazione che “in tanto può escludersi l’esposizione dei beni a pubblica fede in quanto vi sia la concreta possibilità da parte del titolare del bene oggetto dell’altrui azio aggressiva di esercitare una continuativa vigilanza sul bene.
Tuttavia, la presenza del proprietario del bene al momento della condotta di danneggiamento può, in determinati casi, non essere decisiva.
La presenza del titolare del bene nel momento in cui viene posta in essere la condotta (di sottrazione ovvero di aggressione del bene) può divenir elemento che impedisce di ravvisare l’esposizione alla pubblica fede nella misura in cui tale circostanza sia rivelatrice della possibilità di esercitare in modo costante l vigilanza sul bene; possibilità che l’agente deve rappresentarsi; ove, invece, l’agente abbia fatto affidamento sull’ordinaria impossibilità per il titolare del be di sorvegliare la cosa propria, indipendentemente dall’accidentale presenza della persona offesa al momento dell’azione aggressiva, l’esposizione alla pubblica fede va ritenuta sussistente”.
Tale aggravante non è quindi configurabile qualora la cosa sia custodita personalmente dal proprietario del bene in quanto deve presumersi, salvo prova contraria, che il proprietario, esercitando la custodia in modo diretto e continuo, sia in grado, usando tutti gli accorgimenti e la diligenza del caso, di impedire l’evento dannoso (Sez. 2, n. 27050 del 12/04/2023, COGNOME, Rv. 284769).
2.Nel caso in esame, la Corte di appello, correttamente ritenendo non dirimente la presenza del proprietario del bene (che aveva sporto denuncia-querela), ha ritenuto che, in concreto, fosse emersa la prova contraria in ordine al fatto che questi potesse avere avuto il controllo della cosa rispetto alla specifica condotta dell’imputato, consistita nel lancio di sassi con una fionda da una finestra della
propria abitazione contro le autovetture che transitavano in strada ed, in particolare, contro la vettura della persona offesa che si trovava impegnata alla guida del mezzo e che, proprio per questo, non avrebbe mai potuto intercettare e prevenire con la ordinaria diligenza una condotta tanto subdola quanto imprevedibile come quella commessa dal ricorrente.
Ne consegue che senza alcuna violazione di legge è stata ritenuta sussistente l’aggravante contestata, che determina la rilevanza penale del fatto e la condanna del suo autore.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 28.11.2023.
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