Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 28079 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 28079 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ACERRA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/04/2024 del Tribunale di Roma udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che si è riportato al ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame, con ordinanza del 22/4/2024, confermava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma del 28/3/2024, che applicava la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME.
L’indagato, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo con cui deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., in relazione al profilo delle esigenze cautela Ritiene che la motivazione in punto di pericula libertatis sia apparente e che non abbia considerato il ruolo ricoperto dall’indagato, sempre di mero esecutore materiale; che in maniera errata il Tribunale del riesame abbia considerato che il COGNOME con la misura custodiale meno afflittiva potrebbe reiterare analoghe
condotte con un diverso ruolo, quello di “telefonista”, ipotesi questa che non trova aggancio negli atti; che nemmeno è stato considerato che i fatti per cui si procede risalgono a due anni or sono e che nelle more il ricorrente ha intrapreso una attività lavorativa; che, invece, il provvedimento impugnato, al fine di giustificare una misura tanto gravosa, valorizza l’unico precedente penale e i due procedimenti in corso; che, in definitiva, la valutazione di inadeguatezza degli arresti domiciliari si fonda su mere supposizioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, per non essere consentito l’unico motivo cui è affidato.
1.1. Ed invero, ripropone pedissequamente le doglian2:e già prospettate al Tribunale del riesame e da questo risolte con motivazione congrua, esaustiva e scevra da profili di manifesta illogicità, che’ dunque, non è censurabile in sede di legittimità, tenuto conto che – in considerazione della peculiare natura del giudizio e dei limiti che ad esso ineriscono – è ammessa la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/3/2000, COGNOME, Rv. 215828 – 01), non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/6/2019, COGNOME, Rv. 276976 – 01; Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, COGNOME, Rv. 270628 – 01; Sez. 4, n. 18795 del 2/3/2017, COGNOME, Rv. 269884 – 01).
1.2. Non solo, perché il motivo è anche aspecifico, atteso che si confronta solo in apparenza con la struttura argomentativa del provvedimento impugnato, che ha dato conto degli elementi sui quali ha fondato l’attualità delle esigenze cautelari. Il Tribunale del riesame, invero, ha valorizzato le modalità articolate e collaudate della condotta criminosa (lo studio preventivo della vittima, anziana ed invalida, con l’individuazione del numero di telefono e dei legami familiari, lo stratagemma per allontanare la badante, sì da rendere più vulnerabile la persona offesa), sintomatiche dell’inserimento dei fatti per cui si procede in un contesto organizzato, nonché l’allarmante personalità del COGNOME, desunta anche dal recente precedente penale specifico per reato associativo finalizzato alla commissione di truffe, commesso tra il settembre 2022 ed I giugno 2023 e per la realizzazione di due truffe, oltre che dai precedenti giudiziari (due sempre per vicende truffaldine, anch’esse verificatesi nel maggio e nel giugno 2023). Insomma, secondo i giudici del riesame l’odierno ricorrente avrebbe eletto a stile
di vita le condotte criminose per cui si procede, essendosi stabilmente dedicato alla commissione di siffatti reati, circostanza questa che rende inadeguata alla salvaguardia delle esigenze di tutela della collettività qualsiasi altra misura meno afflittiva, consentendogli di continuare a delinquere in concorso con altri soggetti, mediante l’uso di strumenti di comunicazione. Quanto alla attività lavorativa che sarebbe svolta dal COGNOME, il Tribunale ha con motivazione diffusa ha dato conto dei motivi per cui non la ha ritenuta in grado di incidere sulla intensità delle esigenze cautelari, evidenziando la inidoneità della documentazione prodotta e la circostanza per cui l’ordinanza custodiale è stata eseguita mentre l’indagato era a casa in un orario nel quale avrebbe dovuto essere al lavoro.
Ebbene, a fronte di siffatte argomentazioni, la difesa reitera le doglianze già proposte, senza misurarsi con la motivazione del provvedimento impugnato.
Come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 6, n. 23014 del 29/4/2021, B., Rv. 281521 – 01; Sez. 3, n. 50750 del 15/6/2016, COGNOME, Rv. 268385 – 01; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849; Sez. 4, n. 34270 del 3/7/2007, Scicchitano Rv. 236945 – 01).
All’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P. Q. Pill.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il giorno 10 luglio 2024.