Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 37221 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 37221 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 24/04/2025 del Tribunale di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME è imputato di vari episodi di traffico dalla Spagna verso l’Italia di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti: uno, più precisamente, relativo venticinque chili di cocaina (capo 32); gli altri, riguardanti il tentat d’introduzione di circa trecento-quattrocento chili di hashish (capo 33) e l’importazione di circa cinquantasette chili della medesima sostanza (capo 38).
Questi reati sarebbero stati da lui commessi in concorso con altre persone tra cui, per i primi due, tale NOME COGNOME – in un periodo compreso tra ottobre del 2015 e maggio del 2016.
Per gli stessi, egli è stato condannato in primo grado alla pena di nove anni e quattro mesi di reclusione e trentamila euro di multa. Avverso tale decisione ha interposto appello ed attualmente il processo è in corso di svolgimento dinanzi alla Corte di appello di Roma.
Il 9 aprile 2025, a processo in corso, è stato raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma il 29 novembre 2017, ma rimasta fino ad allora ineseguita, trovandosi egli in Spagna, ov’era sottoposto a procedimento penale per altri reati in materia di armi e stupefacenti, e non avendo quello Stato acconsentito, nelle more, al suo trasferimento in Italia.
Con il ricorso in scrutinio, per il tramite del proprio difensore, egli impugna l’ordinanza del Tribunale di Roma in epigrafe indicata, che ha respinto la sua richiesta di riesame di quel provvedimento custodiale.
Il ricorso è sorretto da cinque motivi.
2.1. Il primo consiste nella violazione degli artt. 109, 143 e 242, cod. proc. pen., e nel correlato vizio della motivazione, nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che siano inammissibili i documenti prodotti dalla difesa, perché non redatti in lingua italiana ma spagnola, e che fosse onere della parte interessata provvedere alla traduzione, tanto più che, nello specifico, si trattava di documenti formati anni addietro.
Replica il ricorso:
che l’art. 242, cod. proc. pen., fa carico al giudice di provvedere alla traduzione degli atti, se necessaria, e tanto vale anche per il Tribunale del riesame;
che il giudice non può rifiutare di esaminare un documento solo perché non redatto in italiano;
che l’art. 109, cod. proc. pen., e l’obbligo di redazione degli atti in lingua italiana, ivi previsto, riguardano gli atti formati nel processo, non quelli redatti a di fuori e in esso prodotti;
che, comunque, la documentazione prodotta dalla difesa si presdentava d’immediata comprensione, quanto meno ai fini del fatto che, con essa, s’intendeva dimostrare, ovvero che, dopo essere stato rimesso in libertà provvisoria in Spagna, a maggio del 2018, il ricorrente avesse rispettato le prescrizioni impostegli, non si fosse allontanato, non avesse più commesso alcun reato ed avesse costituito una famiglia con una compagna e due figlie;
che, se il diritto dell’imputato alla traduzione non riguarda tutti gli atti de procedimento, ma solo quelli rilevanti per la sua difesa, gravando altresì su di lui l’onere d’indicare le ragioni per le quali essi si presentino tali (si cita giurisprudenza di legittimità in tal senso), non si può, dall’altro lato, imporre all’imputato l’obbli di traduzione dei documenti invece da lui prodotti;
che i tempi di svolgimento del procedimento di riesame sono ristretti non solo per il Tribunale, ma anche per l’indagato: ragione per cui, se non permettono al primo di provvedere in tempo utile alla traduzione, altrettanto vale per il secondo;
che l’osservazione per cui si trattasse di documenti formati tempo addietro non è pertinente, rilevando il momento in cui è divenuta necessaria la loro utilizzazione nel procedimento, ovvero dopo l’esecuzione della misura custodiate;
che, dichiarando inammissibile quella produzione difensiva, il Tribunale ha negato l’acquisizione di prove decisive per l’esito del giudizio.
Va evidenziato che, nelle more della trattazione del ricorso, la difesa ha trasmesso in cancelleria per via telematica la traduzione giurata della documentazione estera.
2.2. Si deducono, in secondo luogo, la violazione degli artt. 294 e 302, cod. proc. pen., ed il vizio di motivazione, nella parte in cui l’ordinanza ha negato la sopravvenuta inefficacia della misura cautelare per l’omesso interrogatorio c.d. “di garanzia” del ricorrente.
Il Tribunale ha respinto la doglianza, osservando che detto interrogatorio è obbligatorio soltanto se la misura intervenga prima dell’apertura del dibattimento, mentre l’esecuzione dell’ordinanza custodiate è avvenuta, nel caso specifico, quando il processo era già in grado d’appello; ha rilevato, inoltre, che COGNOME ha avuto sicura conoscenza del processo in atto nei suoi confronti in Italia, come sarebbe altresì dimostrato dal fatto che, con il relativo atto d’appello, egli non abbia eccepito nulla sul punto.
Ribatte il ricorso che le scelte difensive nel processo di cognizione non sono sindacabili dal giudice dell’impugnazione cautelare e che le nullità riguardanti la partecipazione dell’imputato al processo sono assolute ed insanabili.
2.3. Con il terzo motivo si censura come non corrispondente al vero il passaggio dell’ordinanza nel quale si afferma che, in sede di riesame, la difesa non avrebbe avanzato doglianze in merito al quadro indiziario. Evidenzia il ricorso, a tal proposito, di aver prodotto in quella sede copia integrale dei motivi di appello, con i quali si censurava interamente la condanna di primo grado, invocando l’assoluzione.
2.4. Violazione di legge e vizi di motivazione vengono lamentati, con il quarto motivo, in ordine ai ravvisati pericoli di fuga e di reiterazione criminosa.
Si dà rilievo, a confutazione, principalmente al lungo tempo trascorso dai fatti oggetto d’addebito e dall’emissione del titolo custodiale (circa, rispettivamente, dieci e sette anni), senza che alcun reato l’imputato abbia commesso da allora.
Inoltre, si rappresenta: che, malgrado ormai cinquantenne, il ricorrente risulta portatore di un unico precedente penale, per fatti non gravi e risalenti al 2009; che egli vive stabilmente in Spagna dal 2013, e quindi da epoca precedente ai fatti di causa ed al procedimento per gli stessi; che ivi ha famiglia, con compagna e due figlie piccole, e svolge un’attività lavorativa; che è iscritto all’anagrafe dei cittadini residenti all’estero, essendo perciò nota alle autorità italiane la sua residenza; che, pur essendo libero dal 2018 e pur sapendo, già allora, della pesante condanna irrogatagli con la sentenza di primo grado per i fatti di cui si discorre, non si è dato alla fuga; che, anzi, ricevuto l’ordine di presentazione all’autorità di polizia spagnola per l’esecuzione del mandato d’arresto conseguente all’ordinanza custodiale, vi ha spontaneamente adempiuto; che, pertanto, le ritenute esigenze cautelari sarebbero prive, in realtà, dei necessari requisiti della concretezza e dell’attualità.
Da ultimo, la difesa sottolinea come, per i fatti di cui ai capi 32) e 33) dell’imputazione, la Corte di appello di Roma, a seguito di annullamento con rinvio da parte di questa Corte, abbia annullato la condanna del coimputato COGNOME, ritenendo di non poter escludere che le relative condotte si riferissero a cc.dd. “droghe leggere”, reputando, altresì, indimostrata la contestata aggravante dell’ingente quantità e, di conseguenza, dichiarando estinti per prescrizione i reati. Di qui, l’incongruità di una misura cautelare, nella concreta prospettiva di una pronuncia liberatoria all’esito del processo
L’ordinanza impugnata ha disatteso tale rilievo, utilizzando quale punto di riferimento l’originaria contestazione e la conforme condanna di primo grado: ma – obietta la difesa – le statuizioni cui è pervenuta la sentenza d’appello contro COGNOME, in quanto relative a dati oggettivi, come la natura e la quantità dello stupefacente da entrambi detenuto, non possono che valer anche per il ricorrente.
2.5. Il Tribunale, infine, avrebbe violato la legge processuale e rassegnato una motivazione affetta da vizi anche nella parte in cui ha escluso l’idoneità cautelare degli arresti domiciliari, richiestigli dalla difesa in via subordinata.
L’ordinanza ha dato rilievo, a tal fine, all’inserimento del COGNOME in un contesto di narcotraffico «di respiro anche internazionale» ed all’insufficienza della documentazione difensiva prodotta a sostegno, consistente nella sola dichiarazione di disponibilità all’ospitalità resa da suo fratello.
Replica il ricorso: che l’inserimento nei circuiti del narcotraffico è smentito dai fatti, alla luce delle precedenti obiezioni; e che non spetta all’interessato dimostrare l’idoneità del luogo da lui indicato per lo svolgimento degli arresti
domiciliari, quanto piuttosto al giudice, ove lo ritenga necessario, verificare tale circostanza.
Ha depositato memoria scritta la Procura AVV_NOTAIO, chiedendo di rigettare il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo, in tema di traduzione degli atti redatti in lingua straniera, è privo di fondamento.
Questa Corte è costante nel ritenere che, nel procedimento di riesame, caratterizzato da tempi assai ravvicinati e da adempimenti il cui mancato rispetto può comportare l’inefficacia della misura, è onere della parte e non del giudice provvedere che la documentazione prodotta sia redatta in lingua italiana o accompagnata dalla sua traduzione formale (tra tante: Sez. 2, n. 46439 del 15/09/2023, Kan, Rv. 285520; Sez. 1, n. 51847 del 01/10/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 268543).
Tale lettura normativa non determina alcuna disparità di trattamento in pregiudizio dell’indagato: per un verso, potendo egli provvedere alla traduzione senza i vincoli imposti dalla disciplina di rito al giudice, obbligato a farlo nelle pi articolate forme della perizia (artt. 220 ss., cod. proc. pen.); e, per l’altro, potendo far valere anche successivamente, e in ogni momento, con incidente cautelare promosso a norma dell’art. 299, cod. proc. pen., gli elementi di novità eventualmente rivenienti dalla traduzione non potuta eseguire nei ristretti e perentori termini del procedimento di riesame.
Quanto, poi, alla sperequazione tra accusa e difesa, è sufficiente rammentare che le Sezioni unite della Corte (sentenza n. 38343 del 24/04/2014, COGNOME, Rv. 261111) hanno statuito che non esiste un diritto dell’imputato a vedersi tradurre i documenti in lingua straniera acquisiti al processo, a meno che essi siano tanto rilevanti ai fini della decisione da costituire parte integrante dell’accusa, e che ciò non collide con i principi del giusto processo, ma anzi enfatizza il ruolo del contraddittorio, che si realizza anche attraverso la selezione del materiale istruttorio da proporre al giudice. Il diritto alla piena contezza dell’accusa – hanno ulteriormente specificato le Sezioni unite – non può dilatarsi fino a comprendere tutti i documenti, magari innumerevoli e del tutto irrilevanti acquisiti nel fascicolo, rispetto ai quali deve essere solo assicurato il diritto di accesso in condizioni di piena parità rispetto all’organo di accusa. Tale ordine concettuale è aderente al principio della ragionevole durata del processo; inoltre, il sistema che se ne deduce è basato sull’onere di allegazione, che incombe sulla parte: si tratta di illustrare la
rilevanza dei documenti da tradurre e di dedurre un’effettiva, concreta lesione del rito di difesa.
Tale orientamento è stato ulteriormente consolidato dalla giurisprudenza successiva, a condizione che la parte richiedente indichi le ragioni che rendono plausibilmente utile la traduzione dell’atto, nonché il pregiudizio concretamente derivante dalla mancata effettuazione della stessa (Sez. 2, n. 18957 del 22/03/2017, Rv. 270067; vds. pure Sez. 4, n. 31201 del 28/03/2023, COGNOME, non mass.).
Il secondo motivo, relativo all’inefficacia della misura cautelare per omesso interrogatorio dell’imputato, è inammissibile.
Anche a volerlo ritenere consentito, in quanto proposto al giudice del riesame ed a questa Corte unitamente a censure riguardanti la legittimità originaria del provvedimento custodiale (vds. Sez. U, n. 25 del 16/12/1998, dep. 1999, COGNOME, Rv. 212072; Sez. U, n. 7 del 17/04/1996, Moni, Rv. 205255), questo motivo è manifestamente destituito di fondamento giuridico.
L’ordinanza cautelare, infatti, è stata eseguita a processo in corso, quindi oltre il limite previsto dall’art. 294, comma 1, cod. proc. pen., che impone di provvedere all’interrogatorio “di garanzia” fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, evidentemente non essendo necessario, nella pendenza di quest’ultimo, prevedere un ulteriore, specifico ed autonomo momento d’interlocuzione tra l’imputato ed il giudice.
Quanto, poi, agli eventuali vizi di citazione in giudizio dell’imputato, essi possono e debbono essere fatti valere nel processo di cognizione, non nell’incidente cautelare, deputato a verificare esclusivamente la legittimità del titolo custodiale.
Anche la terza censura, con cui si contesta l’affermazione del Tribunale per cui, in sede di riesame, la difesa non avrebbe posto in discussione il profilo della gravità indiziaria, è inammissibile.
La doglianza, infatti, è generica: in primo luogo, poiché con essa la difesa si limita a segnalare di aver prodotto al Tribunale del riesame i motivi d’appello, ma non di aver articolato uno specifico motivo in punto di indizi; e, comunque, perché non contiene neppure un cenno alle ragioni per le quali dovrebbe revocarsi in dubbio la gravità indiziaria.
Merita di essere accolto, invece, il successivo motivo di ricorso, in tema di esigenze cautelari.
Sotto questo aspetto, i dati valorizzati dal Tribunale possono così sintetizzarsi: a) l’inserimento dell’imputato nei circuiti del narcotraffico internazionale per un lungo tempo; b) il suo ruolo di rilievo, essendosi mostrato capace di gestire importazioni organizzate di grandi quantità; c) i suoi sicuri contatti con canali di rifornimento in grado di allestire simili transazioni; d) l’irrilevanza del fatto che egli viva ed abbia famiglia in Spagna, perché è proprio da lì che gestiva quei traffici e, anche allora, aveva famiglia lì; e) la non concludenza del fatto che pure al tempo dei reati addebitatigli lavorasse nel commercio, avendo anzi utilizzato la sua attività lavorativa come schermo per i traffici illegali; f) la riconducibilità del lungo tempo trascorso dai fatti soltanto alla circostanza di aver egli commesso in Spagna altri reati, peraltro non di modesta gravità; g) il suo perdurante radicamento all’estero e la prospettiva di una pesante condanna, benché non definitiva, inflittagli in Italia, tali da rendere concreto ed attuale il pericolo di fuga.
Si tratta di elementi indubbiamente pertinenti e non privi di significato. Rimane il fatto, però, che il Tribunale elude uno specifico confronto critico con la principale obiezione postagli dalla difesa: quella, cioè, per cui, per almeno sette anni, l’imputato non si è dileguato, non risulterebbe aver commesso altri reati e non vi sono evidenze che tale sua condotta sia stata determinata da specifiche ragioni obiettivamente impeditive e non, invece, da un possibile ripensamento delle sue scelte di vita criminali. Il quale, ove mai accertato, od anche soltanto ragionevolmente impossibile da escludere, si presenterebbe difficilmente compatibile sul piano logico, con pericoli di reiterazione criminale o di fuga concreti ed attuali, come vuole la legge.
Inoltre – ed è questo un altro punto in cui la motivazione dell’ordinanza impugnata mostra una flessione – è vero che la sentenza pronunciata nei confronti del coimputato COGNOME formalmente non spiega effetti nel giudizio sulla posizione del ricorrente, ma essa non può neppure essere completamente ed immotivatamente pretermessa, come, invece, sostanzialmente ha fatto l’ordinanza impugnata: la quale si è limitata a richiamare l’originario provvedimento cautelare, senza verificare se ed in che misura le circostanze emerse nel successivo processo a carico del correo potessero avere delle ricadute anche sull’addebito ancora pendente nei confronti di COGNOME.
Pure sotto questo profilo, dunque, si rende necessario un supplemento di motivazione.
L’ordinanza impugnata dev’essere, pertanto, annullata ed il procedimento dev’essere rimesso al Tribunale del riesame, affinché integri la motivazione sui punti segnalati.
Ovviamente, le valutazioni sull’idoneità della più blanda misura cautelare sono subordinate all’esito di tale valutazione, rimanendo perciò assorbito l’ultimo motivo di ricorso, relativo a tale profilo.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Roma competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p..
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2025.