Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21516 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
SECONDA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21516 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/04/2025
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 23/04/2025 R.G.N. 8422/2025
SANDRA RECCHIONE
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME COGNOME NOME nato a MAZZARINO il 21/02/1985 avverso l’ordinanza del 20/02/2025 del TRIB. LIBERTA’ di Caltanissetta udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di Caltanissetta ha rigettato l’appello proposto da COGNOME Bartolomeo avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari emessa dal Tribunale di Gela nei confronti dell’odierno ricorrente, in relazione ai delitti di estorsione e violenza privata (capi 14 e 15).
2.Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione l’imputato affidandolo a due motivi.
2.1.Con il primo motivo si duole della mancanza e contraddittorietà della motivazione avendo il Tribunale, in premessa, sottolineato la possibilità per intervenire per integrare la motivazione dell’ordinanza impugnata e poi affermato che il provvedimento risultava esente da vizi motivazionali.
Assume, inoltre, il ricorrente che il provvedimento impugnato non avrebbe considerato gli elementi nuovi addotti dalla difesa quali : il mutamento della fase processuale; il tempo residuo di pena da scontare, a fronte del periodo già sofferto; il comportamento assunto in corso di esecuzione della misura.
2.2.Con il secondo motivo La Placa lamenta la mancata valutazione del requisito dell’attualità delle esigenze cautelari alla luce del tempo di detenzione presofferto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł inammissibile.
2.Il provvedimento impugnato, al di là dell’affermazione di principio secondo cui in tema di misure cautelari personali il Tribunale del riesame ha un potere-dovere di integrazione della motivazione del provvedimento impugnato (Sez. 3, n. 845 del 17/12/2015, Rv. 265646; Sez. 5, n. 36391 del 15/07/2019, Rv. 276906), nella specie ha escluso che fosse necessario procedere a detta integrazione avendo il Tribunale di Gela vagliato e motivatamente disatteso le doglianze difensive in questa sede riproposte, circa la supposta rilevanza del decorso del tempo (in termini di avanzamento della fase processuale e di presofferto) ai fini della revisione in melius del quadro cautelare.
In particolare, i giudici del riesame hanno rilevato che il Tribunale aveva fatto corretta applicazione dei principi di diritto in tema di attenuazione delle esigenze cautelari per effetto del decorso del tempo, esprimendo una valutazione di difetto di effettiva portata innovativa di tale dato.
Va infatti ribadito che “il “fatto nuovo” rilevante ai fini della revoca ovvero della sostituzione della misura coercitiva con altra meno grave, deve essere costituito da elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento delle esigenze cautelari apprezzate all’inizio del trattamento cautelare con riferimento al singolo indagato (od imputato), risultando all’uopo inconferente il mero decorso del tempo dall’inizio dell’applicazione della misura ( Sez. 2, n. 1858 del 09/10/2013, Rv. 258191).
E ancora, in tema di misure cautelari personali, l’attenuazione o l’esclusione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura o dall’osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare ( Sez. 3, n. 43113 del 15/09/2015, Rv. 265652).
Detti elementi non sono stati rinvenuti dal Tribunale della cautela che, in senso opposto alla tesi difensiva, ha valorizzato il dato della intervenuta condanna dell’imputato alla significativa pena di anni cinque e mesi uno di reclusione. Costituisce, infatti, ius receptum, in tema di misure cautelari personali, il principio per cui una volta intervenuta la sentenza di condanna anche non definitiva, la valutazione degli elementi rilevanti ai fini del giudizio incidentale, anche in sede di riesame o di appello, deve mantenersi nell’ambito della ricostruzione operata dalla pronuncia di merito, non solo per quel che attiene all’affermazione di colpevolezza e alla qualificazione giuridica, ma anche per tutte le circostanze del fatto, non potendo essere queste apprezzate in modo diverso dal giudice della cautela (Sez. 3, n. 45913 del 15/10/2015, Rv. 26554401).
Occorre, inoltre, evidenziare che la disciplina normativa attinente alla modifica delle misure cautelari, in senso migliorativo o peggiorativo, dettata essenzialmente dall’art. 299 cod. proc. pen., presuppone una costante verifica della perdurante legittimità della misura imposta, attraverso un costante ed aggiornato adeguamento dello status libertatis, o a seguito di “fatti sopravvenuti” o per eventuali modifiche della situazione processuale nonchØ dei
presupposti o condizioni di legge, ovvero per fatti preesistenti e non conosciuti o non valutati dal giudice.
In un sistema condizionato dal principio rebus sic stantibus e cioŁ dallanecessità di adeguare costantemente la situazione cautelare alle modifiche sostanziali e/o processuali che intervengono nel corso del procedimento nei confronti del soggetto sottoposto a misura personale coercitiva, non può tuttavia ritenersi che l’elemento di novità sia rappresentato dal rispetto delle prescrizioni imposte in fase di esecuzione della misura dall’entità del presofferto (pari al doppio della pena concretamente inflitta) come preteso dal ricorrente.
Ed invero, ritiene il Collegio che sebbene la dimensione temporale della misura in rapporto alla pena inflitta non sia un parametro inconferente ai fini della decisione sul mantenimento della misura stessa, posto che il canone della proporzionalità, di cui all’art. 275, comma 2, cod. proc. pen., entra in causa proprio agli effetti di tale scrutinio, da ciò non Ł dato desumere un principio in forza del quale, al raggiungimento di una rigida e predeterminata proporzione tra durata della misura e quantum di pena inflitta, la restrizione della libertà personale debba comunque cessare, a prescindere da qualsiasi apprezzamento delle esigenze cautelari.
In altri termini, l’art. 275 c.p.p., comma 2 stabilisce che la misura cautelare debba essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata, ma tale disposizione non impone un vincolo tassativamente predeterminato alla durata della misura cautelare in rapporto all’entità della pena, lasciando piuttosto al giudice un ampio margine di discrezionalità circa il persistere delle esigenze cautelari. Difatti, mentre Ł assoluto il limite imposto dall’ordinamento con l’art. 300 c.p.p., comma 4 nella specifica materia della custodia cautelare, là dove Ł stabilita l’immediata perdita di efficacia di questa se la sua durata ha raggiunto l’entità della
pena inflitta, il rispetto del principio di proporzionalità impone al giudice di valutare attentamente tutte le circostanze del caso, con specifico riguardo all’indagine sulla persistenza o meno di quelle esigenze cautelari che hanno condotto in origine alla deliberazione della misura.
A tal riguardo le Sez. Unite hanno affermato che ‘E’ illegittimo il provvedimento di revoca della custodia cautelare motivato esclusivamente in riferimento alla sopravvenuta carenza di proporzionalità della misura in ragione della corrispondenza della durata della stessa ad una percentuale, rigidamente predeterminata ricorrendo ad un criterio aritmetico, della pena irroganda nel giudizio di merito e prescindendo da ogni valutazione della persistenza e della consistenza delle esigenze cautelari che ne avevano originariamente giustificato l’applicazione’ ( Sez. U, n. 16085 del 31/03/2011, Rv. 249323; Sez. 2, n. 6510 del 04/02/2015, Rv. 262530).
A tale valutazione si Ł dedicato il Tribunale del riesame di Caltanissetta che ha rilevato, per un verso, l’inesistenza di automatismi in punto di concessione della liberazione anticipata rispetto al regime cautelare ed il carattere doveroso dell’osservanza delle prescrizioni imposte derivandone, in mancanza, il rischio di aggravamento della misura stessa; per altro verso, l’ entità della pena inflitta con la sentenza di condanna, sia pur non definitiva ( anni cinque e mesi uno di reclusione), elemento non certo favorevole al ricorrente tanto da essere ritenuto idoneo dalla giurisprudenza a giustificare, unitamente ad altri elementi,una richiesta di aggravamento della misura ( cfr. pag. 4 della ordinanza impugnata) (Sez. 4, n. 25008 del 15/01/2007, Rv. 237001;Sez. 1, n. 3285 del 21/12/2015, Rv. 265726;Sez. 6, n. 34691 del 07/07/2016, Rv. 267796).
Alla luce di quanto complessivamente esposto il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 23/04/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME