Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10947 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10947 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME Massimo, n. Ascoli Piceno 16/03/1977
avverso la sentenza n. 49/23 della Corte di appello di Ancona del 23/09/2024
letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del pubblico ministero in persona del Sostitut Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Ancona ha disposto il
riconoscimento a fini di esecuzione, ai sensi dell’art. 731 cod. proc. pen., della sentenza emessa in data 07/02/2022 nei confronti di NOME COGNOME dal Tribunale del Distretto Giudiziario di Kruja (Albania), determinando in tre anni di reclusione la pena da espiare quale sanzione massima prevista dagli artt. 640 o 646 cod. pen. corrispondenti al delitto di frode, oggetto di verifica giudiziale previsto dall’art. 143/2 del Codice penale albanese, per il quale il condannato aveva riportato condanna a tre anni e sei mesi di reclusione.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il condannato, attraverso il suo difensore, deducendo un unico motivo di censura.
Violazione ed erronea applicazione dell’art. 735, comma 2, cod. proc. pen. e vizi congiunti di motivazione in ordine alla determinazione della pena da espiare.
La Corte di appello ha riconosciuto che il reato contestato al Conti ed oggetto di condanna deve essere qualificato nei reati di truffa e/o di appropriazione indebita disciplinati nell’ordinamento italiano ì quali, all’epoca di commissione del fatto, avevano il massimo della pena in anni tre di reclusione; nel rideterminare, tuttavia, la pena che il ricorrente deve espiare nello Stato italiano la Corte di appello ha applicato il massimo edittale senza motivare in alcun modo detta determinazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.
2. Ai fini dell’esecuzione in Italia della pena detentiva inflitta all’estero, nei casi di applicazione della Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983 (che trova pacificamente applicazione nel caso di specie, integrata dall’Accordo aggiuntivo fra Italia e Albania del 2002) la Corte d’appello, in forza del regime della continuazione scelto con la legge di ratifica del 25 luglio 1988, n. 334, non deve convertire la pena inflitta dal giudice straniero, ma, a differenza di quanto previsto dall’art. 735 cod. proc. pen., deve limitarsi a recepirla, salvo il limite previsto dall’art. 10 della Conv. espressamente richiamato dall’art. 3, legge 3 luglio 1989, n. 257, della sua incompatibilità, per durata o natura, con quella edittale prevista dalla legislazione interna, nel qual caso potrà adattare detta sanzione a quella prevista per reati della stessa natura, purché non sia più grave o più lunga (Sez. 6, n.
14505 del 20/03/2018, COGNOME, Rv. 272480).
E’ quanto puntualmente avvenuto nel caso in esame, in cui del tutto correttamente la Corte di appello ha lasciato inalterata la misura della pena da espiare – anche ai fini del rispetto degli obblighi internazionali, essendo stato lo stesso ricorrente, di cui era stata accordata l’estradizione verso l’Albania per tale titolo, a sollecitare il trasferimento del giudizio di esecuzione – intervenendo sul quantum di sanzione determinato dal giudice albanese in maniera limitata e solo al fine di espungere l’ammontare non previsto dall’ordinamento interno, in quanto superiore al limite edittale massimo previsto dalla corrispondente previsione incriminatrice nazionale, rimanendo, quindi, entro i confini di quel limitato potere di adattamento che le norme vigenti interne e internazionali contemplano.
Nel pieno rispetto dei parametri normativi interni e convenzionali internazionale non necessitava, pertanto, alcuna motivazione aggiuntiva sul punto, essendo, come anzidetto, precluso al giudice nazionale applicare una ulteriore riduzione di pena oltre a quella già disposta.
Alla dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione segue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento ciascuno di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo quantificare in euro tremila.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, GLYPH gennaio 2025