Esame corpo del reato: la discrezionalità del Giudice in Camera di Consiglio
L’esame corpo del reato da parte del giudice rappresenta un momento cruciale nel processo di valutazione della prova. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un importante principio procedurale: questa attività può essere svolta dal giudice in piena autonomia durante la camera di consiglio, senza che ciò costituisca una violazione del diritto di difesa. Analizziamo insieme la decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche.
I Fatti del Caso Processuale
Il caso trae origine da un ricorso presentato alla Suprema Corte da un imputato, condannato per il reato previsto dall’art. 4 della legge n. 110/1975, relativo al porto di oggetti atti ad offendere. Il ricorrente lamentava una presunta violazione processuale commessa dal giudice di primo grado.
Nello specifico, la doglianza riguardava il fatto che il giudice avesse visionato l’oggetto dell’imputazione (un paio di forbici) direttamente in camera di consiglio, cioè durante la fase di deliberazione della sentenza e in assenza delle parti. Secondo la difesa, tale comportamento avrebbe leso il principio del contraddittorio, inficiando la validità della decisione e viziandone la motivazione.
L’esame corpo del reato secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, respingendo completamente le argomentazioni della difesa. La decisione si fonda su un orientamento giurisprudenziale consolidato, che distingue nettamente l’esame corpo del reato da altri atti di natura probatoria, come la ricognizione di cose disciplinata dall’art. 215 del codice di procedura penale.
Secondo gli Ermellini, l’esame diretto dell’oggetto del reato non è un incombente istruttorio formale, ma un’attività finalizzata a consentire al giudice la conoscenza diretta della res. Questo serve per valutarne le caratteristiche, il funzionamento e la sua pertinenza rispetto alla condotta contestata. Si tratta, quindi, di un’attività di supporto alla valutazione e alla deliberazione, la cui necessità e modalità sono rimesse alla discrezionalità del giudice stesso.
La Decisione della Suprema Corte
In virtù di queste considerazioni, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
La pronuncia conferma che la scelta di esaminare il corpo del reato in udienza, alla presenza delle parti, o nel chiuso della camera di consiglio, rientra nel pieno potere discrezionale del giudice, che la esercita in base alle specificità del caso concreto, senza che la seconda opzione possa essere considerata una violazione delle garanzie difensive.
Le Motivazioni
La motivazione della Corte poggia sulla natura stessa dell’esame del corpo del reato. Non si tratta di acquisire una nuova prova, ma di comprendere meglio una prova già acquisita agli atti. È un’attività logico-valutativa, non investigativa. La giurisprudenza citata nell’ordinanza (Cass. n. 14743/2024 e n. 34519/2024) è chiara nel definire questo esame come uno strumento a disposizione del giudice per la formazione del proprio convincimento nella fase finale della deliberazione. È un’attività che può essere ritenuta necessaria o meno a seconda delle circostanze e che, proprio per la sua natura, non impone il rispetto delle forme del contraddittorio previste per gli atti di assunzione della prova.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale della procedura penale: la fase della deliberazione è un momento di sintesi e valutazione autonoma da parte dell’organo giudicante. L’esame corpo del reato in camera di consiglio è una legittima espressione di questa autonomia. La decisione chiarisce che il diritto alla difesa e al contraddittorio si esplica pienamente nella fase di formazione della prova, ma non si estende a ogni singola attività valutativa che il giudice compie per formare il proprio convincimento finale sulla base del materiale probatorio già raccolto.
Un giudice può esaminare il corpo del reato (ad esempio, un’arma o un oggetto) da solo, senza la presenza degli avvocati?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, l’esame diretto del corpo del reato da parte del giudice in camera di consiglio è un’attività legittima e rientra nel suo potere discrezionale. Non è considerato un atto istruttorio che richiede obbligatoriamente il contraddittorio con la difesa.
Qual è la differenza tra l’esame del corpo del reato e una ricognizione di cose?
La ricognizione di cose è un mezzo di prova formale, regolato dal codice di procedura penale (art. 215 c.p.p.), che richiede specifiche garanzie e la partecipazione delle parti. L’esame diretto del corpo del reato, invece, è un’attività informale che consente al giudice di acquisire una conoscenza diretta dell’oggetto per valutarne le caratteristiche ai fini della decisione.
Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché le argomentazioni presentate erano ‘manifestamente infondate’ e in contrasto con la consolidata giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione, che ha più volte affermato la legittimità dell’esame del corpo del reato da parte del giudice in camera di consiglio.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 36471 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 36471 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 23/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PRATO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/01/2025 della CORTE APPELLO di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato intestazione;
Ritenuto che gli argomenti dedotti nel ricorso, in cui si censura la decisione impugnata pe il mancato rilievo della violazione processuale che avrebbe commesso il giudice di primo grado visionando in camera di consiglio le forbici oggetto dell’imputazione per art. 4 I. 18 aprile 1 n. 110, per cui è stato condannato il ricorrente, e per il conseguente vizio di motivazione punto, sono manifestamente infondati, in quanto in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità secondo cui “l’esame diretto del corpo di reato, non costitue incombente istruttorio come la ricognizione di cose ex art. 215 cod. proc. pen., può essere effettuato autonomamente dal giudice in camera di consiglio, senza contraddittorio con la difesa” (Sez. 2, n. 14743 del 11/01/2024, COGNOME, Rv. 286205 – 01; conforme Sez. 2, n. 34519 del 10/05/2024, COGNOME, n.m.), ed in cui si spiega che l’esame del corpo del reato è una attività che mira a consentire al giudice ed alle parti la conoscenza diretta della res per valutarne caratteristiche, funzionamento e pertinenza alla condotta oggetto dell’imputazione, e che può essere condotta in udienza alla presenza delle parti o nel chiuso della camera di consiglio ai fini della deliberazione, ma è rimessa in ogni modo alla valutazione discrezionale del giudi che, in relazione alle specificità del caso concreto, può ritenerla necessaria o meno;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23 ottobre 2025
Il consigliere estensore
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