Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4430 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 3 Num. 4430 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Carinola (Ce) il 12 dicembre 1959;
avverso la sentenza n. 24561 della Corte di cassazione, Sezione IV penale, del 2 febbraio 2024 (dep. 21 giugno 2024);
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con ricorso del 19 settembre 2024 COGNOME rappresentato e difeso, come da procura speciale allegata all’atto introduttivo del presente giudizio, dall’avv. NOME COGNOME del foro di Napoli nord, ha impugnato, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., la sentenza n. 24561 emessa dalla IV Sezione penale di questa Corte di cassazione in data 20 febbraio 2024, i cui motivi sono stati resi pubblici a seguito del loro deposito in cancelleria il successivo 21 giugno 2024, con la quale era stato rigettato il ricorso presentato dal medesimo COGNOME avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli – emessa a seguito dell’avvenuto annullamento con rinvio ad opera della sentenza n. 43090 di questa Corte di cassazione, Sezione III penale, del 8 luglio 2015, del precedente pronunciamento della predetta Corte di merito del 4 dicembre 2013 – la quale, a sua volta, in parziale riforma della sentenza del Gup del Tribunale di Napoli del 9 gennaio 2012, aveva escluso in capo a COGNOME NOME il ruolo di capo od organizzatore della consorteria criminale di cui al capo di imputazione elevato nei di quello confronti, confermandone tuttavia, la responsabilità sia in qualità di partecipante a detta consorteria sia in relazione alle altre ipotesi di reato a lui contesta rideterminando, pertanto, la pena a lui inflitta in anni 6 di reclusione.
Nell’argomentare il proprio ricorso la difesa dello COGNOME ha sostenuto che l’errore percettivo in cui sarebbe incorsa la Corte di cassazione nell’emettere la sentenza oggetto della impugnazione straordinaria avrebbe riguardato la “lettura di taluni elementi probatori” che avrebbe avuto un rilievo determinante sulla decisione assunta dalla Corte stessa.
In particolare il ricorrente – premesso che in occasione della presentazione del ricorso avverso la sentenza emessa dalla Corte territoriale in sede di giudizio di rinvio la sua difesa non aveva sollecitato una rivalutazione nel merito della vicenda che lo aveva riguardato ma aveva inteso evidenziare l’illogicità che avrebbe caratterizzato la motivazione del provvedimento allora censurato che si sarebbe fondato su un asserito travisamento della prova, in funzione della quale era stata ritenuta dimostrata la partecipazione del ricorrente al sodalizio criminale di cui alla imputazione ha aggiunto, a questo punto, che la sentenza della Corte di cassazione non avrebbe offerto alcuna ulteriore motivazione in ordine alle questioni ad essa allora sottoposte in punto di interpretazione delle conversazioni intercorse fra lo Sciacca ed il coimputato COGNOME avendo la predetta Corte, secondo quanto
riportato nell’impugnazione ora in esame, affermato che si trattava di “questione di merito” esulante rispetto al giudizio di legittimità.
In tale modo, secondo il ricorrente, questa Corte avrebbe reiterato l’errore in cui era incorsa la Corte di merito.
A chiarimento della propria tesi il ricorrente ha ribadito che l’errore in cui sarebbero incorsi i precedenti giudici consisterebbe nell’avere ritenuto, in contrasto col vero, che, allorché nelle conversazioni oggetto di intercettazione lo Sciacca si era riferito al “legno” ed al “legname” (al riguardo la ricorrent difesa ha ricordato che il COGNOME, interlocutore dello Sciacca, è imprenditore operante, appunto, nel settore del legname), egli voleva, in realtà, fare riferimento a sostanze stupefacenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato dalla difesa dello Sciacca è stato proposto al di fuori delle ipotesi tassativamente previste per esso e, pertanto, lo stesso, oltre poter essere trattato senza formalità, deve essere deciso con ordinanza che ne dichiari la inammissibilità.
L’art. 625-bis cod. proc. pen., frutto della novellazione codicistica attuata a seguito della entrata in vigore dell’art. 6, comma 6, della legge n 128 del 2001, prevede, come è noto, che sia consentita la richiesta di correzione degli errori materiali o di fatto contenuti nelle sentenze emesse dalla Corte di cassazione; il relativo procedimento – incoato ad istanza o del Procuratore generale ovvero del condannato, entro 180 giorni dal deposito del provvedimento, o, infine, introdotto, senza limiti di tempo con riferimento alla ipotesi dell’errore materiale ed entro il termine di 90 giorni dalla deliberazion ove si tratti di errore di fatto, ex officio da questa stessa Corte – è esclusivamente volto a rimediare ai possibili errori materiali o di fatto in cui possa essere incorsa, nella adozione di un suo provvedimento, la Corte di cassazione.
Nella opportuna opera di fissazione interpretativa del contenuto dei predetti concetti, cioè dell’errore materiale e dell’errore di fatto, questa Cor ha ben chiarito, all’evidente scopo di evitare che un’applicazione inappropriata di essi possa condurre alla surrettizia più o meno generalizzata istituzione di un improprio ulteriore grado di giudizio, che l’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625-bis cod. proc. pen. come motivi di possibile ricors straordinario avverso provvedimenti della Corte di cassazione, consistono,
rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo (così, per tutte: Corte di cassazione, Sezione V penale, 25 giugno 2018, n. 29240, rv 273193).
Rimangono, pertanto estranei all’ambito operativo della norma in questione, tutte le ipotesi in cui questa Corte, sia pure per avventura errando, abbia affidato la propria decisione ad un ragionamento, dovendo, come segnalato essere ricondotta la possibilità di efficacemente agire ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. alle sole ipotesi di errore percettivo e non errore valutativo (Corte di cassazione, Sezione III penale, 18 marzo 2024, n. 11172, rv 286048).
Come è agevole rilevare quanto alla presente fattispecie sia attraverso la lettura della sentenza impugnata sia attraverso l’esame del ricorso introduttivo del presente giudizio, nella presente circostanza il ricorrente lungi dal lamentare un errore percettivo in cui sarebbe incorsa la Corte ne ha, invece, stigmatizzato un errore valutativo, come tale del tutto estraneo all’ambito applicativo della disposizione codicistica dianzi ricordata.
Secondo quanto si legge, infatti, a pag. 15 della sentenza censurata la Corte di cassazione ha rilevato come, con il ricorso a suo tempo presentato avverso la decisione assunta in sede di giudizio di rinvio dalla Corte di appello di Napoli, la difesa dello Sciacca avesse censurato un profilo attinente alla interpretazione e valutazione del materiale probatorio (nella specie si trattava delle risultanze delle intercettazioni telefoniche operate a carico, fra l’altro, predetto ricorrente) che è, come noto, ambito di indagine che è precluso a questo giudice della legittimità.
Ed invero, anche esaminando il ricorso introduttivo del presente giudizio, è consentito osservare che la doglianza che viene fatta alla sentenza impugnata attiene al preteso vizio che minerebbe la sentenza della Corte di cassazione in ordine alla ritenuta interpretazione di taluni termini lessical utilizzati nel corso delle conversazioni oggetto di captazione dallo Sciacca; in particolare la Corte di cassazione non avrebbe ritenuto la illegittimità, motivando in termini di manifesta irragionevolezza la relativa decisione, della sentenza emessa in sede di merito nella parte in cui in essa le espressioni “legno” e “legname” utilizzate dallo Sciacca sono state considerate, attraverso la decodificazione di un codice linguistico utilizzato nella consorteria criminosa
della quale anche lo Sciacca era partecipe, come finalizzate a nascondere altre, diverse, parole designanti sostanze stupefacenti.
Ciò posto osserva il Collegio che, così descritto il tipo di vizio che minerebbe la sentenza impugnata, risulta evidente che lo stesso è del tutto estraneo alle ipotesi rilevanti ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen.
Infatti, al di là della correttezza della statuizione adottata dalla Corte d cassazione in punto di sindacabilità in sede di legittimità, della interpretazion attribuita in sede di merito al contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazione (infatti più volte questa Corte ha affermato che in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiv competenza del giudice del merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite: Corte di cassazione, Sezione I penale, 3 luglio 2024, n. 25939, rv 286599; Corte di cassazione, Sezione III penale, 6 dicembre 2021, n. 44938, rv 282337), è agevole rilevare che la valutazione operata dalla Corte è frutto di un puntuale ragionamento fondato su dati di fatto rispondenti alla realtà.
Infatti, con la sentenza ora impugnata la Corte ha preso atto che effettivamente nel corso delle conversazioni oggetto di captazione lo Sciacca utilizzava espressioni verbali apparentemente riferite al commercio del legname (e non espressioni immediatamente riferibili al traffico delle sostanze stupefacenti) ma, ciononostante, ha ritenuto non manifestamente illogica la attribuzione ad esse del diverso significato assegnatole in sede dì merito.
Non è, pertanto, riscontrabile nella sentenza della Corte alcun errore percettivo (ad avviso del ricorrente riconducibile al travisamento della prova) posto che la valutazione operata dalla Corte di cassazione è perfettamente in linea con i dati di fatto accertati in sede di merito e non è assolutamente i frutto di una erronea percezione della realtà (come si sarebbe, invece, verificato laddove, ad esempio, la Corte di cassazione avesse argomentato la propria decisione sulla base dell’errato presupposto – questo sì eventualmente costituente errore percettivo – che lo COGNOME nel corso delle conversazioni con il COGNOME oggetto di captazione si fosse esplicitamente riferito al traffico d sostanze stupefacenti e non avesse utilizzato un linguaggio criptico).
Il ricorso, pertanto, non ricorrendo alcuna delle ipotesi che ne avrebbero giustificato la proponibilità – dovendosi escludere, sulla base della stessa
prospettazione del ricorrente, la sussistenza sia di un errore materiale che d un errore di fatto da parte di questa Corte, va, pertanto, dichiarat inammissibile ed il ricorrente, di conseguenza, visto l’art. 616 cod. proc. pen. deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 1000.00 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
COGNOME Il Presidente