Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 16708 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Presidente: COGNOME
In nome del Popolo Italiano Relatore: COGNOME
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 16708 Anno 2025
Data Udienza: 07/03/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 827/2025
NOME COGNOME
Relatore –
CC – 07/03/2025
COGNOME
R.G.N. 809/2025
NOME COGNOME
NOME FILOCAMO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Roma il 15/06/1996
avverso l’ordinanza del 03/12/2024 della Corte d’appello di Roma in funzione di Giudice dell’esecuzione visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere, NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME con la quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; letta la memoria di replica della difesa, Avv. E. NNOME COGNOME con la quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza impugnata , la Corte appello Roma in funzione di Giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza di correzione dell’errore materiale dell’ordinanza emessa dalla medesima Corte, in data 6 febbraio 2024, di applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., nei confronti di NOME COGNOME tra reati giudicati con le sentenze di cui ai nn. 5), 6) e 7) del provvedimento di cumulo n. 723/2023 Siep.
Il Giudice dell’esecuzione ha riscontrato che l’istanza non può trovare accoglimento in quanto la pena complessivamente determinata ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., rientra nei limiti previsti a fronte del riconoscimento
dell’istituto della continuazione tra reati e che dunque l’errore avrebbe dovuto essere censurato mediante impugnazione dell’ordinanza.
L’istan za, infatti, riguardava l’indicazione della pena prevista per la sentenza sub 5), riportata come pari ad anni quattro di reclusione invece che quella corretta, pari ad anni tre mesi due di reclusione, deducendo, così, la sussistenza di un errore di calcolo nella determinazione dell’aumento di pena disposta nella misura di anni due di reclusione a titolo di continuazione, sulla più grave pena irrogata con la condanna riportata sub 6).
Avverso il descritto provvedimento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il condannato, per il tramite del difensore, Avv. E. NOME COGNOME che ha denunciato violazione di legge e vizio di motivazione, nonché inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 130 del codice di rito, con riferimento alla dichiarata irrilevanza dell’errore materiale nel computo aritmetico commesso nella determinazione dell’entità della pena applicata per effetto del riconoscimento della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen.
2.1. Si segnala che l’ordinanza che ha riconosciuto il vincolo della continuazione, resa il 6 febbraio 2024, dalla Corte di appello di Roma, ha riconosciuto detto vincolo tra fatti giudicati con tre sentenze di condanna, tra le quali veniva inclusa la sentenza, resa il 23 febbraio 2017, di cui al n. 5) dell’istanza difensiva, con la quale, secondo il G iudice dell’esecuzione, era stata irrogata all’imputato la pena di anni quattro di reclusione ed euro 12.000 di multa.
Per tale reato l’aumento determinato ex art. 81 cod. pen. dal Giudice dell’esecuzione è stato pari ad anni due di reclusione.
Si segnala che, con istanza di correzione dell’errore materiale, la difesa aveva chiesto l ‘ indicazione della misura della pena detentiva corretta irrogata con la sentenza sub 5), pari non ad anni quattro di reclusione ma ad anni tre mesi due di reclusione, misura cosi rideterminata con ordinanza del 17 maggio 2019, risultante dal provvedimento di cumulo del 13 giugno 2023, chiedendo altresì, di ridurre proporzionalmente l’entità della pena irrogata a titolo di aumento per detta condanna, a fronte della corretta entità della pena base.
Si contesta che la redazione del procedimento camerale avveniva non da parte dello stesso Collegio che aveva emesso il provvedimento da emendare, con violazione dell’art 130, comma 1, cod. proc. pen. (richiamando il precedente, Sez. 1, n. 10311 del 22/1/2020 indicato come in termini).
2.2. Peraltro, il Collegio, all’esito della camera di consiglio, ha rigettato la richiesta ritenendo che l’errore di calcolo nella determinazione dell’aumento di pena doveva essere censurato mediante impugnazione dell’ordinanza che aveva riconosciuto la continuazione, nella parte relativa alla indicazione dell’entità della
porzione di pena irrogata in aumento ex art 81 cod. pen., non trattandosi di pena illegale.
La difesa sostiene, invece, che nel caso di specie vi è stato mero errore di computo, da rettificare ai sensi dell’art. 130 cod. proc. pen., non richiedendosi un intervento che comporti la modifica essenziale dell’atto da correggere. Il rimedio invocato per la giurisprudenza di legittimità, secondo il ricorrente, è precluso solo qualora si risolva nella sostituzione o modificazione essenziale della decisione, richiamando precedenti indicati come in termini (cfr. p. 5 del ricorso).
L’errore, a parere del ricorrente, è di tipo materiale cioè non attinente alla volontà decisoria estrinsecata nel provvedimento, si presenta di immediata rilevazione e soluzione, attraverso un semplice intervento di adeguamento sostitutivo.
In definitiva, è evidente la violazione dell’art. 130 cit. commesso dal Giudice dell’esecuzione, con necessità di procedere alla rettifica del calcolo della pena operato, avendo il Giudice dell’esecuzione disposto l’aumento di anni due di reclusione sull ‘ errata indicazione della pena per il reato di cui alla sentenza sub 5), nella misura di anni quattro di reclusione in luogo di quella corretta, pari ad anni tre mesi due di reclusione come rideterminata con l’ordinanza emessa in data 17 maggio 2019 dal Tribunale di Roma. Di qui, la richiesta di ridurre proporzionalmente detta pena applicata in aumento ex art. 81 cod. pen., in quella di anni uno e mesi sette di reclusione.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha fatto pervenire requisitoria scritta con la quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
La difesa ha fatto pervenire, con p.e.c. in data 3 marzo 2025, memoria di replica con la quale ha concluso, ulteriormente argomentando le ragioni del ricorso, chiedendone l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. Va premesso che la determinazione della pena per ciascuno dei reati unificati a titolo di continuazione anche in sede esecutiva e, quindi, l ‘ individuazione della pena base e dell’aumento per la continuazione (suddiviso per ciascuno dei reati satellite considerati), non è operazione meramente aritmetica, da compiersi senza apporti valutativi originali in ordine, se non altro, ai criteri di cui al l’art. 133 cod. pen.
Inoltre, è noto che il ricorso alla procedura di cui all’ art. 130 cod. proc. pen. è consentito quando l’intervento correttivo sia imposto dalla necessità di armonizzare la rappresentazione formale della decisione con il suo reale e
intangibile contenuto, sicché è consentito il ricorso alla correzione dell’errore materiale quando essa non comporta una sostanziale modifica ovvero una sostituzione della decisione già assunta (tra le altre, Sez. 5, n. 11064 del 07/11/2017, dep. 2018, Rv. 272658 – 01; Sez. 1, n. 42897 del 25/09/2013, COGNOME, Rv. 257158 – 01; Sez. 1 n. 6784 del 25/1/2005, COGNOME, Rv. 232939 – 01). Invero, l’errore, quale che ne sia la causa genetica, una volta divenuto parte del processo formativo della volontà del giudice, trasferisce i suoi effetti sulla decisione, la quale può subire interventi correttivi solo prima che si sia formato il giudicato, attraverso i mezzi di impugnazione apprestati dall’ordinamento (Sez. 1 n. 2688 del 17/11/2010, dep. 2011, Sardi, Rv. 249551 – 01, in tema di indulto).
1.2. L ‘ errore dedotto concernente l’entità di una statuizione (di merito e) connotata da marcata discrezionalità valutativa, non appare riconducibile all’errore o omissione materiale, neppure seguendo le opinioni più avanzate in tema di errore emendabile secondo la procedura di cui all’art. 130 cod. proc. pen.: non sulla scorta di quelle che fanno leva sul carattere “necessitato” dell’elemento mancante e da inserire, e che ammettono così la correzione integrativa per le statuizioni che, pur non risultando con certezza volute dal giudice, dovevano essere da lui emesse, senza margine di discrezionalità, in forza di un obbligo normativo non altrimenti ovviabile; né su quelle che fanno perno sulla non essenzialità dell’errore, per la quale si ritiene correggibile qualsiasi errore, purché derivi dalla necessità di introdurre, nel provvedimento, una statuizione obbligatoria consequenziale, a contenuto predeterminato, ovvero una statuizione obbligatoria di carattere accessorio, anche se a contenuto discrezionale.
Allorché l’integrazione concerna statuizioni a carattere obbligatorio e consequenziale, l’elemento minimo che si richiede resta, infatti, la sua realizzabilità mediante operazioni meccaniche, prive cioè di significativi contenuti discrezionali (Sez. U, n. 7945 del 31/01/2008, Boccia, Rv. 238426), oltre che l’assenza di rimedi diversi.
Neppure è ravvisabile, nella situazione in esame, tale ultimo aspetto, l’assenza, cioè, di un rimedio capace di pregiudicare in concreto il ricorrente.
Invero, nel caso al vaglio, la presunta errata indicazione della pena riguarda quella irrogata, in sede di cognizione, con una delle sentenze relative a più reati ritenuti avvinti dal vincolo della continuazione, ex art. 671 cod. proc. pen., non considerato reato più grave posto a base del calcolo, ma riguardante un reato satellite.
Sicché, il condannato avrebbe potuto e dovuto dolersi dell’entità dell’ aumento di pena operato (nella specie pari ad anni due di reclusione) con apposita im pugnazione dell’ordinanza adottata ex art. 671 cod. proc. pen.
Né l’aumento di pena sulla pena più grave, determinata secondo i parametri di cui all’art. 187 disp. att. cod. proc. pen., deve essere calcolato dal Giudice dell’esecuzione , ex art. 671 cod. proc. pen., attraverso una rigida proporzione matematica rispetto all’entità della pena indicata in sede di cognizione.
Del pari, manifestamente infondata è la questione relativa al difetto di competenza del G iudice collegiale che ha deciso sull’istanza di cui all’art. 130 cod. proc. pen.
Invero, la procedura ex art. 130 cod. proc. pen. ha come presupposto la correzione di un errore che non comporta alcuna modificazione essenziale dell’atto.
Sicché, la relativa richiesta non necessariamente va delibata ad opera dello stesso Collegio (nell’identità fisica dei componenti) che ha deliberato il provvedimento inficiato da anomalie (Sez. 1, n. 119 del 22/10/1994, dep. 1995, Pregnolato, Rv. 200086 -01 che ha ritenuto che il trasferimento ad altra sede e funzioni di un componente del collegio non costituisce ostacolo alla correzione di errori materiali o di omissioni della sentenza), purché a decidere sia lo stesso giudice – inteso come Ufficio giudiziario di pari grado – che ha adottato il provvedimento da emendare.
L’art. 130, comma 1, cod. proc. pen., infatti, prescrive testualmente che l’eliminazione di errori ed omissioni presenti in sentenze, ordinanze e decreti è “disposta, anche d’ufficio, dal giudice che ha emesso il provvedimento. Se questo è impugnato, e l’impugnazione non è dichiarata inammissibile, la correzione è disposta dal giudice competente a conoscere dell’impugnazione”.
Il chiaro dato testuale esprime una regola generale, per la quale è il giudice autore del provvedimento a doversi occupare della sua correzione secondo una previsione che, seppur estesa a tutti gli atti decisori giudiziali, è poi ripresa per la sola sentenza anche dall’art. 547 cod. proc. pen., per il quale dopo la deliberazione e “fuori dei casi previsti dall’art. 546, comma 3, se occorre completare la motivazione insufficiente ovvero se manca o è incompleto alcuno degli altri requisiti previsti dall’art. 546, si procede anche di ufficio alla correzione della sentenza a norma dell’art. 130”.
Soltanto in via di eccezione, per il caso in cui la decisione sia impugnata e l’impugnazione non sia dichiarata inammissibile, dovrà intervenire il Giudice chiamato a conoscere della stessa impugnazione. Tanto è sufficiente per escludere che qualsiasi altra Autorità giudiziaria, parificata nel grado, disponga del potere di emendare l’errore contenuto in provvedimento di altro giudice.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi d ell’ art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 7 marzo 2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME