Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 37477 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 37477 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CINQUEFRONDI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/06/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di Roma
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Udito il Procuratore generale che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Udito l’AVV_NOTAIO del Foro di Gioia Tauro, in difesa di COGNOME NOME, anche in sostituzione per delega orale dell’AVV_NOTAIO, il quale si è riportato integralmente al ricorso straordinario e ne ha chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. La Terza Sezione di questa Corte, con la decisione indicata in epigrafe, nella parte di interesse, ha parzialmente accolto i ricorsi proposti da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME avverso la sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria del 7 novembre 2023.
In primo grado, il GUP aveva condannato COGNOME NOME alla pena di anni 19 di reclusione ed euro 140.000 di multa, quale promotore dell’associazione (capo 20) e per due episodi ex art. 73 d.P.R. 309/1990 (capi 21 e 22); COGNOME NOME alla pena di anni 18 di reclusione ed euro 120.000 di multa, quale promotore dell’associazione (capo 20) e per i medesimi reati fine; COGNOME NOME alla pena di anni 19 di reclusione ed euro 140.000 di multa, quale promotore dell’associazione (capo 20) e per tre reati satellite (capi 21, 22 e 24).
La Corte d’Appello di Reggio Calabria, con la sentenza del 7 novembre 2023, aveva parzialmente riformato il giudizio di primo grado, rideterminando le pene in anni 16 e mesi 8 di reclusione per COGNOME NOME e in anni 16 di reclusione per COGNOME NOME.
Avverso tale pronuncia, gli imputati proponevano ricorso per cassazione articolando molteplici motivi.
La Corte di Cassazione, con la sentenza ora impugnata, ha pronunciato, per COGNOME NOME, sentenza di annullamento limitatamente alla quantificazione della pena, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria, rigetto nel resto; per COGNOME NOME, annullamento senza rinvio limitatamente alla recidiva, con rinvio per la rideterminazione della pena, rigetto nel resto; per COGNOME NOME, annullamento limitatamente alla quantificazione della pena con rinvio, rigetto nel resto.
Con particolare riferimento alla posizione di COGNOME NOME, la Corte di Cassazione, nel trattare il secondo motivo di ricorso relativo ai vizi di motivazione denunciati rispetto alla condanna per i capi 21 (importazione di 36,41 kg di cocaina, sequestrata al porto di Gioia Tauro il 6 ottobre 2011) e 22 (tentata importazione di sostanza stupefacente via container su nave “Cap Pasley”), ha affermato: ” Il secondo motivo, in cui si deduce il vizio di violazione di legge e di motivazione in ordine al riconoscimento della responsabilità per i delitti di cui ai capo 21) 22) è inammissibile e va rigettato. Coincidendo tale motivo con quello proposto da COGNOME NOME si fa rinvio alla motivazione contenuta nei punti 12.2 e 12.3., valida anche per COGNOME “.
COGNOME NOME propone ricorso ex art. 625 bis cod. proc. pen., per i seguenti motivi.
Il ricorrente deduce l’errore materiale o di fatto, lamentando assoluta mancanza di motivazione su profili di impugnazione specificamente introdotti attraverso i motivi di ricorso e ribaditi con i motivi nuovi, caratterizzati da contenuti sostanzialmente diversi rispetto a quelli proposti dal coimputato COGNOME NOME.
Come si è ricordato, la Corte di cassazione, nell’esaminare il secondo motivo di ricorso del COGNOME relativo ai vizi di motivazione rispetto ai capi 21) e 22), ha fatto espresso rinvio alla motivazione contenuta nei punti 12.2. e 12.3., relativi al ricorso del coimputato COGNOME.
Tale affermazione sulla piena coincidenza costituisce, secondo il ricorrente, il frutto di un errore di percezione, agevolmente rilevabile attraverso la comparazione tra i motivi di ricorso proposti nell’interesse di COGNOME NOME e quelli dedotti per COGNOME NOME.
In particolare, il ricorso proposto da COGNOME NOME conteneva critiche diverse da quelle inserite nel gravame del coimputato, trattandosi di rilievi discendenti dalla differente posizione processuale del ricorrente rispetto a quella di COGNOME.
In relazione al Capo 21, il ricorrente aveva censurato il procedimento logico utilizzato dai giudici di merito per individuare nel viaggio compiuto in Olanda insieme a NOME il 2 agosto 2011 un presupposto del giudizio di condanna. Inoltre, era stata mossa specifica critica riguardo al fatto che non vi fosse prova che NOME fosse stato informato del sequestro intervenuto in data 6 ottobre 2011 al porto di Gioia Tauro, circostanza che impediva di affermare, in termini certi, che il suo rientro in Italia il 10 ottobre 2011 fosse stato determinato dal sequestro.
In ordine al viaggio in Colombia, il ricorrente aveva evidenziato che, se la presenza di NOME in Colombia fosse stata finalizzata all’importazione fallita per via del sequestro, sarebbe stato più ragionevole il prolungamento della sua permanenza per organizzare un nuovo tentativo di importazione dopo quello non riuscito.
Sulla base dei dati documentali idonei a stabilire il momento in cui la sostanza stupefacente era stata inserita all’interno del container, la difesa aveva evidenziato un ulteriore argomento per dissociare la presenza di NOME in Colombia da tale importazione.
E ancora, mediante il richiamo al percorso degli elementi valorizzati dai giudici di merito, era stato posto all’attenzione della Corte come vi fossero seri dubbi nel collegamento tra l’importazione della sostanza per il tramite di NOME e il ricorrente.
Era stata rivolta una censura specifica al sindacato sui contenuti della intercettazione ambientale intercorsa tra COGNOME NOME e lo zio COGNOME NOME, del 4 novembre 2011, utilizzata dai giudici del merito. Sul punto erano state indicate puntuali critiche alla trascrizione operata dalla P.G., richiamando una consulenza di parte di cui si contestava la mancata acquisizione.
Il ricorrente aveva criticato l’inferenza logica inserita dai giudici del merito per conferire riscontro accusatorio al dialogo intercorso tra COGNOME NOME e NOME in data 24 ottobre 2011.
Un altro fattore di contraddizione alla motivazione sul capo 21 era stato segnalato rispetto al contenuto di una conversazione intercorsa tra COGNOME e NOME in data 6 novembre 2021, in contrapposizione al loro indicato ruolo di protagonisti nel delitto nella sentenza.
In ordine al capo 22, vengono elencate ulteriori specificità non sovrapponibili.
Con riferimento al viaggio in Olanda dell’imputato unitamente a NOME in data 16.10.2011, richiamato in motivazione, erano stati valorizzati diversi elementi di critica non sovrapponibili a quelli di COGNOME. Era stato segnalato che mancasse qualsivoglia elemento di prova
idoneo a far luce sull’attività svolta dai due italiani in Olanda e che quindi risultasse mancante una delle componenti essenziali del fatto contestato.
Era stato segnalato un vizio di violazione di legge rispetto alla configurazione del tentativo, osservando come non vi fosse la prova che la sostanza stupefacente era stata effettivamente inserita all’interno del container trasportato.
Particolare rilievo assumeva l’atto di rogatoria avente ad oggetto l’indagine denominata RAGIONE_SOCIALE , nella quale si precisava che nella medesima indagine non risultavano verificate importazioni di sostanza stupefacente dal Sud America e si evidenziava che non era stato minimamente accertato il trasporto di droga in data 8 gennaio ad Anversa, a bordo di una nave proveniente dall’Ecuador.
Per contro, nel ricorso di COGNOME erano stati dedotti motivi di censura caratterizzati da una prospettiva completamente diversa.
COGNOME NOME concentrava le sue censure sulla dimostrazione dell’insussistenza del fatto attraverso l’analisi di ricostruzioni alternative e sulla contestazione della sua specifica posizione processuale come soggetto apicale dell’associazione.
COGNOME NOME articolava le sue censure su aspetti tecnico-probatori specifici, questioni di trascrizione delle intercettazioni, profili temporali delle condotte e elementi documentali.
Le questioni sollevate risultavano quindi caratterizzate da distinta impostazione argomentativa, differenti riferimenti probatori e finalità processuali eterogenee, rendendo evidente l’errore di percezione commesso dalla Corte nel considerarle coincidenti.
Inoltre, prosegue il ricorrente, è da escludere la possibilità che si possa configurare nel caso di specie un’ipotesi di implicita valutazione dei motivi proposti da COGNOME NOME.
Il concetto di motivazione implicita si configura solo nell’ipotesi in cui i motivi debbano considerarsi incompatibili con la struttura della motivazione e dunque da ciò ne possa derivare l’implicito rigetto degli stessi.
Nel caso concreto, invece, le censure proposte dal ricorrente, non risultavano incompatibili con la struttura della motivazione; affrontavano questioni specifiche e distinte, richiedendo perciò una valutazione autonoma e analitica, non assorbita dall’esame dei motivi di COGNOME NOME.
Per tali ragioni, l’errore di percezione commesso dalla Corte di cassazione ha determinato l’omessa valutazione di motivi di ricorso non manifestamente infondati, circostanza che integra pienamente la fattispecie di cui all’art. 625 bis cod.proc.pen..
Il ricorrente chiede pertanto l’annullamento con rinvio della sentenza, con riferimento alla condanna per i reati di cui ai capi 21, 22 e 20, quest’ultimo logicamente connesso ai primi due nella struttura motivazionale dei giudici di merito.
Il Procuratore Generale ha depositato memoria, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso straordinario in esame non supera il vaglio di ammissibilità, essendo state sollevate censure che non sono consentite nel giudizio instaurato ai sensi dell’art.625 bis cod. proc. pen. .
Tale norma consente di impugnare una sentenza passata in giudicato, non per violazioni di legge o per vizi della motivazione, ma unicamente per un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di Cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso; errore che deve essere connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali, che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso. Qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio (Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, Rv. 250527 – 01).
La giurisprudenza di legittimità consolidata riconosce che la lacuna motivazionale può essere ricondotta nell’errore di fatto quando deriva da una vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura. Questa situazione si verifica quando l’omesso esame lasci presupporre la mancata lettura del motivo di ricorso e da tale mancata lettura discenda, secondo un rapporto di derivazione causale necessaria, una decisione che può ritenersi incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata a seguito della considerazione del motivo ( Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280 – 01).
In questa prospettiva, occorre ricordare che il disposto dell’articolo 173, co. 1, disp. att. cod.proc.pen., non consente di presupporre che ogni argomento prospettato a sostegno delle censure, non riprodotto nella sentenza, sia stato non letto anziché implicitamente ritenuto non rilevante (Sez. 2, n. 53657 del 17/09/ 2016, COGNOME, Rv. 268982 – 01; Sez. 5, n. 20520 del 20/03/2007, COGNOME, Rv. 236731 – 01; Sez. 5, n. 11058 del 10/12,2004, COGNOME, Rv. 231206 – 01).
Ne consegue che non è, in alcun caso, deducibile, ai sensi dell’articolo 625-bis cod.proc.pen., la mancanza di espressa disamina di censure difensive che non siano decisive o che debbano considerarsi disattese, perché incompatibili con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche, che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima. È quindi onere del ricorrente dimostrare che la doglianza non riprodotta era decisiva e che il suo omesso esame è dipeso da un errore di percezione.
2. Alla luce degli esposti principi, il ricorso risulta inammissibile per assenza di errori di percezione.
La sentenza della Terza Sezione, nell’esaminare i motivi proposti da COGNOME NOME in relazione ai capi 21 e 22, ha fondato il proprio controllo di legittimità verificando essenzialmente come i giudici di appello avessero ricostruito le condotte di COGNOME NOME e COGNOME NOME, con COGNOME nel ruolo di ispiratore delle operazioni criminose.
Anzi, emerge che, in questa parte della motivazione a cui si riferisce il rinvio per relationem , la disamina si concentri sulla posizione del COGNOME e sulle questioni a cui afferiscono i motivi di censura proposti dal medesimo.
In relazione al capo 21), concernente l’importazione di 36 kg di cocaina sequestrati il 6 ottobre 2011 al porto di Gioia Tauro, come si evidenzia nel ricorso straordinario, COGNOME aveva mosso critiche specifiche al procedimento logico seguito dai giudici di merito. Aveva contestato la valenza probatoria del viaggio in Olanda compiuto insieme a NOME il 2 agosto 2011, l’assenza di prova circa l’informazione del sequestro a NOME e il nesso causale con il suo rientro in Italia il 10 ottobre, l’incongruenza logica della durata della permanenza di NOME in Colombia, nonché i dubbi sul collegamento tra l’operazione e la sua persona. Aveva inoltre sollevato censure tecniche sulla trascrizione dell’intercettazione ambientale del 4 novembre 2011 tra lui e lo zio COGNOME NOME, lamentando la mancata acquisizione di una consulenza di parte.
La Terza Sezione, nel verificare la tenuta logica della motivazione di appello, ha rilevato come i giudici di merito avessero ricostruito il viaggio in Olanda attraverso elementi oggettivi: COGNOME viaggiava sotto falso nome, fu prelevato all’aeroporto dal narcotrafficante colombiano COGNOME NOME, detto “crodino grande”, e ospitato presso l’abitazione di NOME, qualificato come “braccio destro” del COGNOME.
La Corte di legittimità ha constatato che questa ricostruzione, secondo la quale il suindicato viaggio si inseriva all’interno di una trama di contatti con fornitori internazionali di stupefacenti, fosse stata operata dai giudici di merito con motivazione immune da vizi logici.
Quanto al rapporto tra NOME e NOME, la stessa Corte ha verificato come la sentenza di appello avesse evidenziato una costante interazione operativa tra i due: la motivazione di merito aveva dato conto che NOME, rientrato in Italia dopo il primo soggiorno olandese, aveva incontrato COGNOME avvertendo però COGNOME dell’incontro, circostanza emersa dalle intercettazioni e confermata dai servizi di osservazione della polizia giudiziaria; aveva inoltre rilevato che successivamente NOME era ripartito per l’Olanda ricongiungendosi con COGNOME che si era trattenuto in quel Paese.
Il Collegio, nel suo sindacato di legittimità, ha riscontrato che questa ricostruzione della dinamica dei rapporti rispondesse adeguatamente alla censura difensiva sui dubbi nel collegamento tra l’importazione e COGNOME, dimostrando un coinvolgimento attivo attraverso una divisione dei compiti.
La questione della prova dell’informazione a COGNOME del sequestro intervenuto il 6 ottobre è stata affrontata dalla Corte di cassazione, verificando come i giudici di merito l’avessero risolta:
la sentenza di appello aveva valorizzato il fatto che immediatamente dopo il sequestro, NOME e NOME avevano tentato ripetutamente di contattare telefonicamente NOME, senza successo perché le utenze risultavano non più attive.
La Corte di legittimità ha rilevato che questa reazione congiunta e immediata era stata logicamente utilizzata dai giudici di appello come elemento dimostrativo della conoscenza condivisa dell’accaduto, avendo evidenziato che, subito dopo, i due si erano recati nuovamente in Olanda, circostanza interpretata come tentativo di ristabilire i contatti con i fornitori dopo il fallimento dell’operazione.
La Terza Sezione ha verificato inoltre come la Corte di appello avesse valorizzato l’intercettazione ambientale del 4 novembre 2011 tra COGNOME e lo zio COGNOME NOME: i giudici di merito avevano posto l’attenzione sul nucleo sostanziale della conversazione: COGNOME parlava di un affare andato male e COGNOME faceva esplicitamente riferimento al porto di Gioia Tauro. La Corte di legittimità, pur constatando che le censure tecniche sulla trascrizione e sulla mancata acquisizione della consulenza di parte non erano state specificamente affrontate, rileva che il contenuto sostanziale della conversazione era stato comunque utilizzato dai giudici di merito in modo logicamente coerente. Va tuttavia osservato che su questo punto la risposta della Terza Sezione si è concentrata sull’inammissibilità del motivo, in assenza di un travisamento decisivo e incontestabile (punto 12.2.1).
Quanto al dialogo intercorso tra COGNOME e NOME il 24 ottobre 2011, la decisione oggetto del presente ricorso ha verificato come la sentenza di appello avesse spiegato l’inferenza logica contestata dalla difesa: durante quella conversazione, captata nell’autovettura Fiat Panda di COGNOME, i due discutevano di un’imminente importazione via mare dalla Colombia e facevano riferimento a una nave già usata per una precedente importazione; i giudici di merito avevano collegato questo riferimento alla nave NOME, arrivata il 6 ottobre al porto di Gioia Tauro con il carico sequestrato. La Corte di legittimità ha constatato che tale collegamento era stato operato dai giudici di appello seguendo un percorso argomentativo logico.
Sulla presunta contraddizione emersa dalla conversazione del 6 novembre in relazione al ruolo di protagonisti attribuito a COGNOME e NOME, la Terza Sezione ha rilevato come la Corte di appello avesse precisato la qualificazione del ruolo di ciascuno: COGNOME aveva dato l’impulso all’azione e impartito le direttive avvalendosi di NOME, il quale operava “su indicazione del COGNOME“. La Corte di legittimità ha così constatato che questa precisazione collocava COGNOME in posizione intermedia tra il vertice rappresentato da COGNOME e l’esecutore materiale NOME, conferendo coerenza alla qualificazione di protagonista.
In ordine al capo 22), relativo al tentativo di importazione di stupefacente tramite il container numero TARGA_VEICOLO 4976647 caricato sulla nave “Cap Pasley” partita dall’Ecuador e giunta ad Anversa l’8 gennaio 2012, nel ricorso straordinario si evidenzia che COGNOME aveva sollevato censure non sovrapponibili a quelle di COGNOME. In particolare, aveva contestato l’assenza di qualsiasi elemento di prova idoneo a chiarire l’attività svolta durante il viaggio in Olanda del 16 ottobre 2011, la violazione di legge nella configurazione del tentativo per mancanza di prova
dell’inserimento materiale dello stupefacente nel container, e soprattutto aveva valorizzato la rogatoria relativa all’indagine “RAGIONE_SOCIALE“, nella quale si precisava che non risultavano verificate importazioni di sostanza stupefacente dal Sud America e non era stato accertato il trasporto di droga l’8 gennaio ad Anversa.
La Terza Sezione ha verificato come la Corte di appello avesse ricostruito gli eventi successivi al sequestro di Gioia Tauro: i giudici di merito avevano evidenziato che il 16 ottobre 2011 NOME e NOME si erano recati nuovamente in Olanda, con quest’ultimo che utilizzava ancora una volta documenti con false generalità; la motivazione di appello aveva individuato lo scopo del viaggio nell’esigenza di incontrare COGNOME NOME, divenuto non più raggiungibile alle vecchie utenze telefoniche dopo il sequestro, valorizzando la documentazione dei numerosi tentativi di contatto telefonico posti in essere senza successo da NOME.
La Corte di legittimità ha concluso che questa ricostruzione aveva dato risposta logica alla censura difensiva sull’indeterminatezza dell’attività svolta in Olanda.
La Terza Sezione rileva inoltre come i giudici di appello avessero dato conto di una serie di conversazioni che dimostravano la gestione attiva delle trattative da parte di COGNOME. La motivazione di merito aveva evidenziato che COGNOME, rientrato rapidamente in Italia, comunicava a NOME le proprie difficoltà finanziarie avvertendolo però di avere nuove trattative di importazione in corso. Le intercettazioni ambientali tra il 20 e il 26 ottobre 2011, captate nell’autovettura di COGNOME, erano state valorizzate dalla Corte di appello per dimostrare che lui e NOME gestivano congiuntamente i contatti con il fornitore sudamericano chiamato “Chorronzo”.
La Corte di legittimità ha verificato come la sentenza di appello avesse dato particolare rilievo ad altre conversazioni: i giudici di merito avevano evidenziato che COGNOME, utilizzando termini criptici, comunicava la data di arrivo del carico a COGNOME NOME e soprattutto allo zio COGNOME NOME, riferendo a quest’ultimo anche degli accordi intercorsi con COGNOME in merito alla divisione dello stupefacente in arrivo. In particolare, è stato constatato che questo elemento era stato utilizzato dai giudici di appello per confutare la tesi difensiva secondo cui l’accordo non si sarebbe perfezionato per mancanza di certezze su quantità, qualità e prezzo del prodotto, evidenziando invece l’esistenza di un’intesa precisa sulla ripartizione del carico. Viene evidenziato che la sentenza di merito aveva inoltre dato conto di contatti sistematici, telefonici e di persona, tra COGNOME e COGNOME durante le trattative, avvenuti in occasione delle scelte da compiere circa i passaggi decisivi della trattativa in corso; che, inoltre, aveva valorizzato anche il fatto che COGNOME avesse finanziato personalmente il viaggio di NOME a Bogotà, circostanza emersa dall’intercettazione del 7 novembre 2011, mentre dall’intercettazione del 6 novembre risultava che la decisione del viaggio era stata presa dopo aver ottenuto il placet di COGNOME.
La Terza Sezione ha ritenuto non illogica la ricostruzione che collocava COGNOME in una posizione di autonomia operativa e finanziaria, pur coordinata con il vertice nelle decisioni strategiche.
I giudici di merito avevano inoltre valorizzato il rinvenimento da parte di COGNOME di microspie sulle proprie vetture, interpretando questa circostanza come dimostrazione della consapevolezza di essere sottoposto a indagine e quindi della coscienza della propria partecipazione ad attività illecite. La Corte di legittimità ha constatato che tale interpretazione non fosse illogica, atteso che, nonostante questa scoperta, COGNOME aveva continuato a coordinare l’operazione.
Quanto alla critica sulla configurabilità del tentativo in assenza di prova dell’inserimento materiale dello stupefacente nel container, la Terza Sezione ha verificato come i giudici di appello, applicando correttamente i principi che regolano la materia, avevano ritenuto che gli atti idonei diretti in modo non equivoco all’importazione di stupefacente non richiedessero necessariamente che la sostanza fosse stata effettivamente caricata, essendo sufficiente che le condotte fossero univocamente finalizzate a tale risultato. La Corte di appello aveva valorizzato la comunicazione della data di arrivo, la divisione concordata con COGNOME, il finanziamento del viaggio di NOME in Colombia, i contatti sistematici con i fornitori sudamericani, la terminologia criptica utilizzata nelle conversazioni, ritenendo che nel loro insieme costituissero un compendio di atti inequivocabilmente diretti alla realizzazione dell’importazione.
Non si ravvisa errore percettivo anche con riferimento alla rogatoria relativa all’indagine “RAGIONE_SOCIALE“, in ordine alla quale la difesa di COGNOME aveva fondato su questo punto una censura rilevante ( se tale indagine aveva accertato che non risultavano verificate importazioni dal Sud America e non era stato accertato il trasporto di droga l’8 gennaio ad Anversa, come poteva la stessa indagine essere valorizzata a carico degli imputati?).
La Corte di legittimità ha evidenziato che la sentenza di appello aveva operato una distinzione tra organizzazione del trasporto e sua effettiva realizzazione: l’indagine “RAGIONE_SOCIALE” non aveva accertato l’effettiva importazione perché lo stupefacente non era stato rinvenuto, ma aveva documentato tutti gli atti organizzativi finalizzati al trasporto. I giudici di merito avevano ritenuto questi atti sufficienti per la configurazione del tentativo.
Dunque, a prescindere dal modo in cui è stata argomentata la risposta alla censura, è indubbio che la sentenza qui impugnata se ne sia fatta carico, dovendosi perciò escludere l’errore percettivo.
In conclusione, il rinvio formale alla parte di motivazione dedicata ad COGNOME, rappresenta in realtà lo strumento attraverso il quale il Collegio di legittimità ha affrontato ex professo , tutti i punti nodali delle questioni sollevate nei motivi di ricorso del COGNOME, sicché, attraverso la tecnica motivazionale adottata, è stata data risposta alle censure del ricorrente, senza incorrere in alcun errore di percezione.
Occorre altresì esaminare le doglianze concernenti il capo 20) – associazione per delinquere – atteso che nelle conclusioni -, si è chiesto l’annullamento della decisione anche con riferimento alla suddetta imputazione.
Tanto COGNOME quanto COGNOME, nei loro ricorsi originari, hanno dedotto il vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’associazione di cui al capo 20), desunta esclusivamente dalla commissione dei reati fine.
In ordine alla trattazione del capo concernente il reato associativo (punto 12.4), la Terza Sezione non si è limitata a una valutazione astratta, ma ha verificato la correttezza della decisione di merito sull’esistenza concreta degli elementi costitutivi dell’associazione: l’organizzazione di mezzi e risorse (schede telefoniche intestate a terzi, documenti falsi per i viaggi), le collaudate fasi operative del traffico illecito, la ripartizione precisa di compiti e funzioni, la stabilità nel tempo dell’organizzazione.
Questa analisi sistematica, pur sviluppata formalmente in relazione al ricorso di COGNOME, risolve anche le censure di COGNOME sul capo associativo, fondate sui medesimi presupposti.
4. In sintesi, la locuzione “si fa rinvio alla motivazione contenuta nei punti 12.2 e 12.3., valida anche per COGNOME” e la conseguente scelta della Terza Sezione di non ripetere per COGNOME NOME le medesime argomentazioni già sviluppate nella motivazione dedicata al ricorso di COGNOME NOME non integra errore percettivo, ma esprime una scelta metodologica consentita, che non impone la riproduzione integrale di ogni argomento quando le relative censure siano implicitamente disattese per incompatibilità con la struttura della motivazione, né tanto meno quando, come è accaduto nella specie, vi sia un espresso rinvio ad argomentazioni già comuni a più posizioni processuali.
Pertanto, in ossequio alla giurisprudenza consolidata che esclude la configurabilità dell’errore di fatto quando la decisione abbia comunque contenuto valutativo e l’omessa trattazione espressa derivi non da svista percettiva ma da scelta argomentativa (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME), occorre concludere nel senso della manifesta infondatezza delle proposte censure.
D’altra parte, considerato che il Giudice ha condotto un esame approfondito dei punti nodali comuni ai ricorsi di entrambi, facendo espresso rinvio alla parte della motivazione dedicata alle questioni sollevate da COGNOME NOME, spettava al ricorrente dimostrare la portata decisiva delle divergenze da lui evidenziate. Tale dimostrazione, tuttavia, non è stata fornita.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, 18/09/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME