Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 11172 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 11172 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 15/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME, nato in Albania il DATA_NASCITA; avverso la sentenza del 26/10/2022 della Corte di cassazione; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26 ottobre 2022, la Corte di Cassazione, sez. 4, ha – per quanto qui rileva – rigettato il ricorso proposto nell’interesse di NOME avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia del 12 aprile 2021, con la quale era stata confermata la condanna dell’imputato – pronunciata con sentenza del Gup del Tribunale di Brescia del 29 giugno 2020, all’esito di giudizio abbreviato –
con l’esclusione dell’episodio del 20 ottobre 2015, in relazione a reati in materia di stupefacenti.
Avverso la sentenza della Corte di cassazione l’interessato ha proposto, tramite il difensore, ricorso straordinario ex t. 625-bis cod. proc. pen.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, il ricorrente lamenta l’errore di fatto consistente, a suo avviso, nell’affermazione secondo cui, in ordine all’omessa partecipazione alla discussione del difensore all’udienza di primo grado del 20 giugno 2020, in conseguenza di omessa notifica, non vi sarebbe stato un pregiudizio per l’imputato. Si contesta la motivazione di pag. 37 della sentenza, secondo cui la parte aveva partecipato alla decisione finale, sul rilievo che la difesa non aveva in realtà espletato la propria attività, non effettuando la discussione.
2.3. Una terza censura è riferita all’errore di fatto che consisterebbe nella mancata valutazione dell’eccezione relativa alla non identificazione dell’imputato. Si richiamano le annotazioni di servizio valorizzate in senso accusatorio dai giudici di merito, sostenendo che le stesse non accertano né il percorso effettuato, né l’esistenza di un nascondiglio per lo stupefacente, avendo le sentenze richiamato gli esiti di appostamenti inesistenti.
2.2. In secondo luogo, si ritiene che vi sia errore di fatto, laddove il provvedimento impugnato stabilisce, contrariamente al dato storico, che «il tracciato GPS assunto per mezzo del provvedimento di apposizione dello strumento di geolocalizzazione emesso dal pm anziché in forza di un provvedimento giurisdizionale fosse ineslistente in quanto integrato dal pedinamento tradizionale». Ciò risulterebbe dalle pagg. 63-65 della motivazione e, per tale motivo, la difesa avrebbe sollevato nel giudizio di cassazione questione pregiudiziale comunitaria in relazione all’inutilizzabilita del cosiddett “pedinamento elettronico”. Secondo la ricostruzione difensiva, il travisamento del fatto consisterebbe nella mancata considerazione dell’insufficienza dei verbali di appostamento e delle relative annotazioni, nonché degli stralci di intercettazioni ambientali per determinare la responsabilità penale. Escludendo gli esiti del pedinamento elettronico, mancherebbero: l’identificazione dell’imputato, la prova della consegna dello stupefacente, la prova del tragitto effettivamente percorso dall’imputato stesso, l’individuazione dell’esistenza di un nascondiglio per lo stupefacente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.4. Con un quarto motivo di doglianza, si rileva l’errore di fatto consistente nell’affermazione secondo cui la mancata correlazione tra accusa e giudizio integrerebbe un errore materiale. Si sostiene che il capo 24 è contestato nell’imputazione per le sole due condotte collocate il 6 ottobre e il 10 ottobre, mentre l’imputato è stato condannato anche per il fatto del 26 ottobre. Quanto
alla motivazione della sentenza di appello, si sostiene che la stessa contrasti col dispositivo, perché quest’ultimo assolve l’imputato per il fatto di cui al capo 23 avvenuto il 20 ottobre, ma contestato per il solo 7 ottobre e condanna l’imputato per il fatto del 26 ottobre del capo 24, non contestato; mentre vi è motivazione di condanna per il capo 20, oggetto di assoluzione.
La difesa ha depositato memoria, per replicare alla requisitoria del Pubblico ministero con cui si chiede che l’impugnazione sia dichiarata inammissibile. Richiamando sinteticamente i motivi di ricorso, si insiste per l’accoglimento dello stesso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, non essendo proposto ai fini della correzione di errori materiale o di fatto contenuti nella sentenza e collocandosi, dunque, al di fuori dei limiti previsti dall’art. 625-bis cod. proc. pen.
Giova premettere che l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenz esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso. Dunque, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio (ex plurimis, Sez. 3, n. 47316 del 01/06/2017, Rv. 271145; Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Rv. 221280).
1.1. Il principio appena richiamato trova applicazione in relazione al primo motivo di doglianza, relativo alla pretesa mancata discussione del procedimento da parte del difensore in primo grado.
Il ricorrente non tiene conto del fatto che la Corte di cassazione (pagg. 38-39 della sentenza) ha enunciato un principio di diritto – quello secondo cui il deducente avrebbe dovuto allegare un effettivo pregiudizio alle ragioni della difesa quwe conseguenza del difetto di temporanea assistenza – che non può essere contestato ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. La censura è, in ogni caso, generica, perché il ricorrente si limita ad asserire di avere patito un pregiudizio per la mancata discussione sulla sua posizione, ma non spiega perché tale discussione non sarebbe avvenuta, nonostante la presenza del difensore all’udienza del 15 giugno 2020, in occasione della quale era stato disposto il rinvio
al 22 giugno 2020 per la prosecuzione delle discussioni, né indica i verbali del processo da cui emergerebbe l’asserita impossibilità di effettiva assistenza difensiva.
1.2. Analoghe considerazioni valgono in relazione al secondo e al terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, perché entrambi sostanzialmente riferiti alla valutazione della prova della responsabilità penale.
La prospettazione difensiva si risolve nella contestazione dell’affermazione della sentenza (pag. 45) secondo cui nella specie non si è trattato di pedinamento elettronico, ma di operazioni tradizionali di osservazione, controllo e pedinamento, i cui esiti sono stati trasfusi in annotazioni di polizia giudiziaria (8 e 28 otto 2015). Tali annotazioni fanno riferimento ad attività di osservazione diretta da parte della polizia giudiziaria dei movimenti degli indagati e delle difficolt incontrate dagli operanti al fine di essere al fine di evitare di essere notati. Al pag. 58 della sentenza si precisa, inoltre, che le doglianze relative alla responsabilità per i capi 23 e 24 della rubrica rappresentano la mera reiterazione dei motivi di appello, legata ad una lettura alternativa del compendio probatorio, ivi comprese le intercettazioni e gli atti redatti dalla polizia giudizia l’interpretazione difensiva secondo cui la responsabilità penale troverebbe fondamento probatorio nei pedinamenti elettronici risulta, dunque, meramente congetturale.
In ogni caso, le affermazioni della sentenza sono oggetto di contestazione da parte del ricorrente essenzialmente nel loro aspetto valutativo, pur non essendo in ogni caso censurabili, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., né i travisamento del fatto né il travisamento della prova (ex plurimis, Sez. 2, n. 29450 del 08/05/2018, dep. 27/06/2018, Rv. 273060; Sez. 3, n. 26635 del 26/04/2013. Rv. 256293). Diversamente opinando, si finirebbe per fuoriuscire dai confini dell’istituto, che è stato introdotto nel sistema per eliminare i vizi di percezione non anche quelli di ragionamento.
1.3. Anche l’ultimo motivo di ricorso è inammissibile, perché non riconducibile all’ambito dell’art. 625-bis cod. proc. pen. Esso rappresenta la mera riproposizione di doglianze già valutate dalla Corte di cassazione, la quale ha ritenuto, nel contempo, di correggere l’errore materiale consistito nell’indicazione, quale oggetto di assoluzione nel dispositivo della sentenza di appello, dell’episodio del 20 ottobre 2015 contestato al capo 23, anziché dell’episodio del 20 ottobre 2015 contestato al capo 24. Specificamente si evidenzia in sentenza che l’episodio del 26 ottobre 2015 non è contestato all’imputato, a cui sono contestati, invece, il capo 23, relativo all’episodio del 7 ottobre 2015, e il capo 24, relativo agli episod del sei e del 20 ottobre 2015. Né vi è una contestazione puntuale, con richiami alle motivazioni delle sentenze di primo e secondo grado, circa l’affermazione della
Corte di cassazione secondo cui il giudice di primo grado ha condannato l’imputato per il capo 23 e per il capo 24, con continuazione interna, non considerando il fatto del 26 ottobre 2015.
Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15/12/2023