Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6317 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6317 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME a POMPEI il DATA_NASCITA
NOME NOME a CORBARA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/11/2022 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
in difesa di COGNOME NOME e COGNOME NOME è presente il difensore di fiducia, avvocato NOME del foro di FIRENZE che, dopo aver esposto i motivi di doglianza, insiste nell’accoglimento.
Con sentenza n. 31491 del 4.11.2022, la Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione – per quanto qui rileva – ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti, fra gli altri, di NOME COGNOME, limitatamente al reato di cui al capo 1) di imputazione, perché estinto per prescrizione e, nel resto, ha rigettato i ricorsi proposti, fra gli altri, da NOME COGNOME e da NOME COGNOME, in relazione ai reati loro rispettivamente ascritti (capi 17 e 18) ex art. 2 d.lgs. n. 74/2000.
Avverso tale sentenza il difensore di NOME COGNOME e di NOME COGNOME propone ricorso straordinario per cassazione, chiedendone la revoca, previa correzione dell’errore percettivo ivi contenuto, di seguito specificato.
In sintesi, si deduce che la sentenza impugnata abbia erroneamente affermato che nel corso del dibattimento di primo grado il corso della prescrizione è rimasto sospeso per 42 giorni, mentre ciò è frutto di una svista, in quanto, in realtà, non furono celebrate le udienze originariamente fissate per i giorni 22.3.2017 e 24.5.2017. Pertanto, per i reati di cui ai capi 17) e 18), il termine di prescrizione avrebbe dovuto essere calcolato senza considerare i 42 giorni di sospensione.
La difesa dei ricorrenti ha depositato memoria scritta con cui insiste nelle rassegnate conclusioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I proposti ricorsi sono infondati e vanno, pertanto, rigettati.
Va premesso che l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità, che può essere valorizzato con il rimedio straordinario previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen., è solo l’errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali, che abbia condotto ad una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso. Qualora, invece, la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale non
deducibile con il rimedio straordinario (cfr. Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Rv. 221280 – 01).
L’estraneità del rimedio del ricorso straordinario all’errore che non abbia basi percettive ma solo giuridico-valutative è stata costantemente ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, anche di recente nel suo più autorevole consesso (cfr. Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Rv. 263686 – 01).
Sulla stessa linea interpretativa, è stato affermato il principio secondo cui non rientrano nell’area dell’errore di fatto – e sono, quindi, inoppugnabili – gli errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali (Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, Rv. 273193 – 01).
Nel caso in disamina, a ben vedere, il ricorrente non ha dedotto un errore materiale o percettivo, bensì un errore valutativo riguardante l’interpretazione della disciplina della sospensione dei termini di prescrizione, in rapporto alle udienze programmate ma non svolte nel giudizio di merito per preannunciata astensione collettiva dalle stesse da parte dei difensori, a seguito di proclamata agitazione di categoria.
È vero, infatti, che nella vicenda processuale in disamina non si celebrarono le udienze del 22.3.2017 e del 24.5.2017, ma è anche vero che in entrambi i casi vi fu astensione dei difensori dalle udienze, dichiarata a verbale alle udienze precedenti, allorché il Tribunale si stava accingendo a disporre il rinvio, come da calendario esposto all’udienza dell’8.3.2017. In entrambi i casi, il Collegio scelse di differire ad altra data quella originariamente programmata, al 26 aprile quella del 22 marzo ed al 31 maggio quella del 24 maggio, dando atto della proclamazione dell’astensione e delle dichiarazioni di adesione dei difensori esplicitamente manifestate.
Si può discutere se un simile differimento comporti o non comporti la sospensione della prescrizione, anche se l’articolato insegnamento delle Sezioni Unite Cremonese in subiecta materia sembra far propendere per la soluzione positiva (cfr. Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001 – dep. 2002, Rv. 220509 GLYPH 01), così come i successivi arresti delle Sezioni semplici, in cui viene reiteratamente evidenziato che la sospensione del procedimento e il rinvio o la sospensione del dibattimento comportano, senza necessità di un provvedimento formale, la sospensione dei relativi termini ogni qualvolta siano disposti per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero su loro richiesta (cfr. Sez. 3, n. 23179 del 16/06/2020, Rv. 279861 – 01).
Tuttavia, è indubbio che, sul tema, la valutazione operata dalla Corte di legittimità nella sentenza impugnata non è stata frutto di una svista, bensì di un (implicito ed eventuale) errore di giudizio, non emendabile mediante il ricorso straordinario.
Difatti, tale istituto non è invocabile allorché la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, trattandosi in tal caso non di un errore di fatto, bensì di giudizio; inoltre, sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie (ex plurimis Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221283; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME, Rv. 250528; Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686; Sez. 4, n. 6770 del 17/01/2008, COGNOME, Rv. 239037; Sez. 6, n. 14296 del 20/03/2014, Apicella, Rv. 259503; Sez. 6, n. 37243 del 11/07/2014, COGNOME, Rv. 260817).
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 10 gennaio 2024
Il Consi re estensore