Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 32362 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 32362 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/09/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a SAN SEVERO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a SAN SEVERO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/01/2025 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Procuratore generale, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di NOME COGNOME e di NOME COGNOME ha proposto ricorso straordinario, ai sensi dell’art.625bis cod.proc.pen., in relazione alla sentenza n.8887 del 22/01/2025, con la quale la Terza Sezione penale di questa Corte ha, limitatamente alla posizione dei due suddetti ricorrenti, dichiarato inammissibile il ricorso.
Il ricorso straordinario si fonda su un unico motivo; sulla base del quale i ricorrenti hanno dedotto la sussistenza di un errore di fatto per non avere la Corte tenuto in considerazione, in tema di applicazione delle sanzioni sostitutive, la normativa applicabile ratione temporis e più favorevole applicando, invece, la più sfavorevole disciplina prevista dal vigente testo dell’art.53 della I. n.689/1981.
Ha dedotto che, l’impugnazione era stata proposta avverso la sentenza n.1373/2023 della Corte di appello di Bari con la quale, in riferimento alla posizione dei suddetti ricorrenti, era stata confermata la condanna emessa dal Tribunale di Foggia alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione ed C 5.000,00 di multa ciascuno, a titolo di aumento per la continuazione rispetto ai reati già giudicati con altra sentenza emessa il 1°/07/2019 dalla Corte di appello di Bari; sentenza di appello nell’ambito della quale era stata rigettata la richiesta di applicazione di una sanzione sostitutiva ai sensi dell’art.53, comma 3, della I. n.689/1981, in considerazione del fatto che il vigente testo della predetta disposizione prevede che, ai fini dell’applicazione delle sanzioni sostitutive, si tiene conto «della pena aumentata ai sensi dell’art.81 del codice penale», ovverosia della pena finale complessiva, nel caso di specie eccedente il relativo limite.
Ha dedotto che il motivo di ricorso si fondava sulla dedotta violazione di legge in relazione al rigetto della richiesta di sostituzione della pena detentiva, non avendo la Corte territoriale tenuto conto che le pene già irrogate agli imputati, con la sentenza emessa il 10 luglio 2009, erano state già eseguite, per cui la richiesta di sostituzione della pena riguardava la sola sanzione ancora da espiare, pari ad anni uno e mesi dieci di reclusione, inferiore al limite previsto dall’art.53, comma 1, I. n.689/1981.
Ha esposto che la Suprema Corte aveva dichiarato inammissibile il ricorso ritenendo che la nuova formulazione della norma imponesse di tenere conto della pena complessivamente irrogata; ha quindi ritenuto che tale interpretazione fosse il frutto di un mero errore di fatto, non essendo stata applicata la previgente normativa prevista dall’articolo 53, comma quarto,
1.689/1981, ai sensi del quale «Nei casi previsti dall’articolo 81 del codice penale, quando per ciascun reato è consentita la sostituzione della pena detentiva, si tiene conto dei limiti indicati nel primo comma soltanto per la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave punto quando la sostituzione della pena detentiva è ammissibile soltanto per alcuni reati, il giudice, se ritiene di doverla disporre, determina, al solo fine della sostituzione, la parte di pena per i reati per i quali opera la sostituzione».
Ha quindi ritenuto sussistente una svista nella lettura degli atti, derivante dal non aver tenuto conto del fatto che, nei confronti dei predetti imputati, doveva ritenersi applicabile la normativa previgente e non la più sfavorevole disciplina sopravvenuta, il tutto in violazione del principio della irretroattività della legge penale più sfavorevole.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta, nella quale ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Va premesso che l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di cassazione e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod.proc.pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui il giudice di legittimità sia incorso nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali, che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280; Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, COGNOME, Rv. 268982).
Qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. (Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME, Rv. 250527; Sez. 6, Ordinanza n. 28424 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283667).
Specificamente, va difatti rilevato che l’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625-bis cod. proc. pen. come motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà,
correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo, sicché rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – e sono, quindi, inoppugnabili – gli errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali.
Tanto premesso, nel caso di specie la Suprema Corte non è incorsa in alcun errore materiale qualificabile sotto il profilo dell’errore di fatto; ciò quanto, dalla lettura della parte motiva, emerge chiaramente che il Collegio ha esaminato nello stretto merito le argomentazioni proposte dalla difesa e, incidentalmente del tutto coincidenti con quelle sollevate in questa sede, ritenendole infondate alla luce della applicazione del vigente quadro normativo.
Ne consegue che le considerazioni inerenti alla, dedotta, erronea applicazione dei principi in tema di successione nel tempo di leggi penali sono astrattamente sussumibili nel solo ambito dell’errore di diritto e, in quanto tali, non suscettibili di essere posti alla base del ricorso straordinario per errore di fatto.
Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», i ricorrenti vanno condannati al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 ciascuno in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 23 settembre 2025
Il C nsigliere est.