Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 10051 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 10051 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME COGNOME nato in Colombia il 11/03/1983
e
COGNOME Garda NOMECOGNOME nato in Argentina il 04/12/1978 avverso la sentenza del 19/12/2023 della Corte di cassazione; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME
lette le conclusioni rassegnate ex art. 23, comma 8, del decreto legge n. 137 del 2020 dal Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria a firma del difensore dei ricorrenti, avv. NOME COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ricorso straordinario ex art. 625-bis cod proc pen avverso la sentenza n. 1967/2024 resa il 19 dicembre 2023 dalla Corte di Cassazione nell’ambito del procedimento n. 32113/2023, con cui si dichiaravano inammissibili i ricorsi perchè non rispettosi del requisito dell’autosufficienza, si denuncia errore di fatto perchè la traduzione giurata in lingua italiana -che avrebbe permesso alla Suprema Corte di decidere sul dedotto vizio motivazionale- era presente all’interno del fascicolo sottoposto all’attenzione della suprema Corte, come rilevato dal Procuratore generale che aveva chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza della Corte di appello.
Con il ricorso in esame si deduce un errore di fatto, percettivo, ex art. 625-bis cod. proc. pen..
Rileva la difesa che la traduzione della documentazione societaria de qua non era allegata al ricorso, ma indicata nello stesso, sicchè l’errore è “ictu ()cui/ percebile, tant’è vero che il Sostituto procuratore generale , riferendosi proprio alla traduzione giurata in italiano dei documenti societari, rilevava la fondatezza del ricorso perchè il giudice di merito aveva ‘mancato di formulare lo scrutinio doveroso evidenziando l’impossibilità di ricavare adeguata informazione della documentazione prodotta dalla difesa’ “, ed è decisivo, “in quanto il motivo di ricorso si fondava essenzialmente sulla traduzione della documentazione societaria e la mancata visione di questa non ha permesso all’Ecc.ma Corte di valutare la manifesta illogicità delle argomentazioni offerte dalla Corte di appello di Roma, quale giudice del rinvio, per la conferma della confisca delle somme di denaro”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I giudici di legittimità hanno dichiarato l’inammissibilità dei ricorsi, rilevan che l’unico motivo di ricorso non rispettava il requisito dell’autosufficienza, non risultando allegata al ricorso l’asserita traduzione giurata in italiano della documentazione societaria in lingua spagnola prodotta dalla difesa; e che la mancata dimostrazione della sussistenza in atti di una traduzione giurata in lingua
italiana non consentiva al Collegio di rilevare il dedotto vizio motivazionale, dovendosi, piuttosto, ritenere congrue e non manifestamente illogiche le argomentazioni offerte dalla Corte romana per la conferma della confisca delle somme di denaro in questione poiché gli imputati -secondo le insindacabili considerazioni dei giudici di merito- non avevano fornito dimostrazione della lecita provenienza degli ingenti importi di denaro corrente rinvenuti in loro possesso (euro 20.000 nella disponibilità di COGNOME e euro 34.000 nella disponibilità di RAGIONE_SOCIALE), importi ritenuti – non illogicamente- del tutto sproporzionati rispetto ai guadagni e al patrimonio dei prevenuti (anche in considerazione, quanto al Ferrero, della risalenza nel tempo -e precisamente al 2014- di una asserita liquidazione dei danni riconosciutigli in forza di un sinistro stradale che lo aveva visto vittima).
L’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedi previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso.” (cfr. Sez. U, Sentenza n. 16103 del 27/03/2002 Cc. (dep. 30/04/2002 ) Rv. 221280 – 01).
Nella motivazione si legge che 1) qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio; 2) sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti dell impugnazioni ordinarie; 3) l’operatività del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relative all’accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall’effettiva portata della norma in quanto l’errore percettivo può cadere su qualsiasi dato fattuale) (Conf. Sez. un., 27 marzo 2002 n. 16104, COGNOME, non massimata).
Col ricorso la difesa conferma che il documento di che trattasi, ossia la traduzione giurata, non era allegato al ricorso, ma nello stesso richiamato.
Non contesta, perciò, un errore percettivo (la circostanza fattuale dedotta dalla sentenza è ribadita dal ricorso), ma censura la svolta applicazione del consolidato principio dell’autosufficienza del ricorso.
E’ evidente il contenuto valutativo della decisione impugnata, contestata relativamente all’ambito di applicazione dell’istituto, denunciandone sostanzialmente un errore di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, e l’attribuzione ad esse di una inesatta portata.
Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per ii ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 13 novembre 2024
La C.- i.lir est.