Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31935 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 6 Num. 31935 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 30/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. proposto da: COGNOME NOME nato a Castellammare di Stabia il DATA_NASCITA
per la correzione dell’errore di fatto contenuto nella sentenza n. 7954/2023 12/12/2023 della Seconda Sezione penale della Corte di cassazione;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il provvedimento impugnato, la Seconda Sezione della gode di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto nell’interess COGNOME NOME avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 13 lugl 2022 che confermava la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 21 settembre 2020, con la quale il ricorrente era condannato alla pena di anni di reclusione ed euro 516,00 di multa per il reato di rapina aggravata e les gravi in danno di COGNOME.
COGNOME, a mezzo dei procuratori speciali, avvocati NOME COGNOME COGNOME e NOME COGNOME, propone ricorso straordinario a mente dell’art. 625-bis, cod. proc. pen., e chiede la correzione dell’errore materiale e di fatto contenuto nella sentenza emessa il 12 dicembre 2023 dalla Seconda Sezione Penale della Corte di cassazione nella parte in cui ha fondato la motivazione della sentenza su elementi di prova inesistenti agli atti del processo, e, precisamente, segmenti testimoniali mai riferiti dalla persona offesa COGNOME, e dal teste di polizia giudiziaria, ispettore COGNOME.
Per quanto concerne i fatti, la difesa evidenzia che, all’udienza del 18 novembre 2019, la persona offesa COGNOME COGNOME confermava che, nella notte dell’aggressione, non aveva riferito l’identità degli aggressori, fra i quali i COGNOME, la rapina del telefono cellulare e della catenina d’oro a causa del forte timore di subire ritorsioni nei confronti suoi e della famiglia. All’udienza del 23 dicembre 2019 era sentito l’ufficiale di polizia giudiziaria che aveva assunto a s.i.t. COGNOME nella notte dell’aggressione, il quale dichiarava che quest’ultimo gli aveva espressamente detto di avere smarrito, durante la colluttazione, le chiavi dell’automobile, il telefono cellulare e la collanina d’oro. La difesa chiedeva, pertanto, il confronto tra i due e, sia in primo grado, che in secondo grado la richiesta era rigettata. COGNOME ricorreva allora in cassazione, deducendo la violazione di legge e il vizio di motivazione per avere la Corte d’appello confermato l’ordinanza di rigetto, emessa dal primo giudice, della richiesta di confronto tra COGNOME e l’ispettore COGNOME, in modo illogico e contraddittorio: sia il tribunale che la Corte d’appello motivavano il rigetto avendo riguardo alla circostanza che COGNOME aveva dichiarato di avere riferito alcune circostanze non vere, tra cui quelle attinenti alla sottrazione dei beni denunziati, nonostante, in realtà, aveva riferito di non avere mai detto nulla in merito. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La Corte di Cassazione, a pagina 9 della sentenza, così motiva il profilo reiettivo della richiesta di confronto «la censura in ordine alle richieste di confronto, strettamente connessa alla pretesa inattendibilità del COGNOME, è manifestamente infondata poiché la Corte ha osservato che la persona offesa ha ammesso di avere riferito, al momento del suo arrivo in ospedale, circostanze veritiere e, quindi, poco rileva che il teste COGNOME abbia ricordato che COGNOME aveva escluso dì avere perso qualunque tipo di oggetto, poiché l’ eventuale confronto non inficerebbe l’attendibilità delle accuse formulate dal COGNOME, frutto della paura in cui versava in quel frangente».
La Corte di cassazione è incorsa in una svista nella lettura degli atti. In particolare:
nella motivazione della sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli non si afferma che COGNOME avrebbe ammesso di avere riferito al momento del
suo arrivo in ospedale circostanze veritiere, bensì, al contrario, che avrebbe riferito circostanze non veritiere, tra cui quelle relative alla sottrazione degl oggetti;
-il teste COGNOME non ha riferito che la persona offesa gli aveva detto di avere escluso di aver perso qualunque tipo d’oggetto, ma, al contrario, ha più volte specificato che gli aveva detto di avere smarrito le chiavi dell’auto, il telefono cellulare e la collanina.
L’errore percettivo in cui è incorsa la Corte ha inciso sul processo formativo della volontà. Tale errore rientra nel perimetro della decisività, in quanto il contrasto dichiarativo ha ad oggetto un elemento essenziale della accusa del COGNOME.
Il ricorso può essere trattato nelle forme de plano, ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen. – come modificato dalla legge n. 103 del 2017 -, trattandosi di impugnazione che deve essere dichiarata inammissibile.
Osserva il Collegio che il ricorso straordinario è inammissibile perché manifestamente infondato poiché lamenta la sussistenza di un errore di fatto in realtà non sussistente.
4.1. In proposito è opportuno ricordare che, quanto al primo denunciato errore percettivo, lo stesso, in realtà, è insistente, posto che la Corte di cassazione ha aggiunto, davanti a: «circostanze veritiere», l’avverbio «non».
Quanto al secondo errore, si tratta di una mera svista della Corte di cassazione: ciò è facilmente desumibile dalle conclusioni alle quali, perviene nella riga successiva, la sentenza oggetto del ricorso. Sottolinea, infatti, la Corte di cassazione che l’eventuale confronto tra i due «non potrebbe inficiare la attendibilità delle accuse formulate da COGNOME frutto della paura in cui versava in quel frangente». Quindi, la Corte di cassazione prende atto della divergenza delle dichiarazioni dei due e ritiene che i giudici di merito correttamente non abbiano proceduto a confronto posto che, al momento dei fatti, per sua stessa ammissione, COGNOME non aveva detto la verità e che, pertanto, il confronto sarebbe stato del tutto inutile.
Non essendo, in conclusione, ravvisabile un errore di percezione decisivo da parte della Corte di cassazione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30 aprile 2024