Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6802 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4   Num. 6802  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Battipaglia il DATA_NASCITA, avverso la sentenza in data 22/02/2023 della Corte di cassazione; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte con cui il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, ha chiesto che sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza n. 24223/2023, emessa all’udienza del 22/02/2023 e depositata il successivo 06/06/2023, la Terza Sezione penale della Corte di cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto, nell’interesse di COGNOME NOME, avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno del precedente 29/04/2022, che aveva riformato, mediante la sola riduzione del trattamento sanzionatorio, la decisione di condanna per il delitto di illecita cessione di sostanza stupefacente nell’ipotesi del fatto di lieve entità, emessa dal Tribunale di Salerno il 17/07/2019.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso straordinario per cassazione il difensore di fiducia del COGNOME, AVV_NOTAIO, che ha articolato un unico motivo di doglianza, di seguito sintetizzato conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con tale motivo lamenta, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., errore di fatto dovuto a vizio percettivo in punto di omessa declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Rileva al riguardo che nella decisione oggetto d’impugnazione straordinaria il giudice di legittimità, nel disattendere un’esplicita richiesta formulata con i primo motivo di ricorso, avrebbe erroneamente ritenuto non estinto per prescrizione il delitto per cui v’era stata conferma della condanna in grado di appello, computando, in maniera, in tesi, illegittima, un periodo di sospensione del decorso del termine della durata di giorni 133, riferito al rinvio di un’udienza del giudizio di primo grado dalla data del 09/05/2018 alla data del 19/09/2018.
Sostiene, nello specifico, che di tale lasso temporale non si sarebbe dovuto tener conto ai fini del computo del termine di prescrizione del delitto, che risulterebbe, pertanto, estinto prima della pronunzia di secondo grado, posto che il rinvio era stato chiesto dal difensore di altro imputato e che era stato, i concreto, disposto anche in ragione dell’assenza dei testimoni da escutere.
Alla stregua delle prospettate censure, invoca, inoltre, la sospensione degli effettivi dell’impugnata sentenza, stante l’eccezionale gravità del caso.
Il procedimento è stato trattato in udienza camerale con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del d.l. n. 137/2020, convertito dalla legge n. 176 del 2020, i cui effetti sono stati prorogati dall’art. 7 del d.l. n. 1 del 2021, convertito dalla legge n. 126 del 2021 e, ancora, dall’art. 16 del d.l. n. 228 del 2021, convertito dalla legge n. 15 del 2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME è manifestamente infondato per le ragioni che di seguito si espongono.
Destituito di fondamento risulta l’unico motivo di ricorso, con cui, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., si lamenta un presunto errore di fatto dovuto a vizio percettivo.
Al riguardo, occorre premettere che, secondo il consolidato insegnamento della Suprema Corte, l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimit oggetto del rimedio di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen., consiste in un errore
percettivo, causato da una svista o da un equivoco in cui è incorso il giudicante nella lettura degli atti interni al giudizio, connotato dall’influenza esercitata s processo formativo della volontà, che risulta conseguentemente inficiato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali e conduce a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata laddove esso non vi fosse stato (così, Sez. U., n. 16103 del 27/3/2002, Basile, Rv. 221280-01).
Nello specifico, il giudice di legittimità, nel suo più ampio consesso, ha evidenziato che: 1) se la causa dell’errore non è identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione ha, comunque, un contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio; 2) sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione d norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di un’inesatta portata, anche se dovuti a ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi i cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi far valere questi ultimi – anche se risoltisi in travisamento del fatto – solo nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie; 3) l’operatività del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relative all’accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall’effettiva portata della norma, posto che l’errore percettivo può cadere su qualsiasi dato fattuale.
Ai parametri testé indicati si sono costantemente uniformate le decisioni delle sezioni semplici della Corte, che hanno altresì precisato che «In tema di ricorso straordinario per errore di fatto, l’errore che può essere rilevato ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. è solo quello decisivo, che abbia condotto ad una pronunzia diversa da quella che sarebbe stata adottata se esso non si fosse verificato» (in tal senso, Sez. 6, n. 14296 del 20/3/2014, Apicellla, Rv. 25950301).
Fatta tale premessa e passando al vaglio dell’errore di fatto in tesi caratterizzante la sentenza impugnata, è d’uopo porre in rilievo che tale non può ritenersi quello prospettato con l’atto d’impugnativa.
Nello specifico, si assume che, nella sentenza della Terza Sezione, il rigetto della doglianza azionata con il primo motivo di ricorso sarebbe stato erroneamente basato sulla ritenuta non estinzione per prescrizione del delitto per cui v’era stata conferma della condanna in grado di appello, conclusione alla quale si era pervenuti computando, in maniera, in tesi, illegittima, un periodo di sospensione del decorso del termine della durata di giorni 133, riferito al rinvio di un’udienza del giudizio di primo grado dalla data del 09/05/2018 alla data del 19/09/2018.
Appare, tuttavia, evidente che il giudice di legittimità, nel caso di cui trattas ha formulato una valutazione ascrivibile alla sua attività di giudizio, sicché si rivela impropria l’attivazione di un rimedio finalizzato all’emenda non di un “error in iudicando”, ma di un ipotetico errore percettivo.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi, in favore della Cassa delle ammende, la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18/01/2024