Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31610 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31610 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Cosenza il DATA_NASCITA
avverso la sentenza n. 2001 emessa dalla Corte di cassazione il 19/12/2023;
visti gli atti ed esaminato il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
La Seconda Sezione della Corte di cassazione con la sentenza n. 2001 del 19.12.2023, emessa nel procedimento nei confronti di NOME COGNOME, ha dichiarato, da una parte, estinti, per essersi prescritti prima della pronuncia di appello, i rea contestati ai capi F) – G) – con conferma delle statuizioni civili – e, dall’al inammissibile il motivo di ricorso con il quale si deduceva la estinzione per prescrizione anche dei reati di truffa in danno di istituti di credito, contestati ai capi D)-E)-H).
La Corte ha ritenuto di individuare il momento consumativo del reato, dal quale far iniziare a decorrere il termine di prescrizione, nel momento di adozione della delibera di affidamento da parte dell’organo bancario deliberante ovvero, ove diverso, in quello del versamento delle somme sul conto corrente; sulla base di tale presupposto ha ritenuto non prescritti i reati in questione.
Ha proposto ricorso straordinario il condannato deducendo errore di fatto percettivo; la Corte avrebbe errato nel individuare la data di consumazione dei reati.
Si assume: a) quanto al capo D), che la Corte non si sarebbe avveduta che la delibera di affidamento sarebbe datata 19.7.2012 e che dunque il delitto sarebbe estinto; b) quanto al capo E), che la delibera di affidamento sarebbe del 30.8.2012 e che, diversamente da quanto affermato, il 21.9.2012 vi sarebbe stato non un ulteriore fido ma solo un “autobonifico”, nel senso che l’imputato avrebbe utilizzato parte del credito in precedenza messo a disposizione per alimentare un proprio conto nel Principato di Monaco; c) quanto al capo H), che la delibera di fido sarebbe del 31.8.2012 e che la banca in seguito si sarebbe limitata ad autorizzare la emissione di un assegno per una somma quasi corrispondente all’importo dell’affidamento già disposto; dunque, non vi sarebbe stato un rinnovo di fido e neppure una concessione di un nuovo affidamento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
L’intera prospettazione del ricorrente è fondata sull’assunto per cui la Corte di cassazione, nel non dichiarare estinti i reati contestati ai capi D) – E) – H), avrebb errato nella “lettura” di alcuni documenti, che, se correttamente considerati, avrebbero dovuto indurre a dichiarare la prescrizione dei reati.
Si tratta di un ragionamento che non può essere condiviso.
La nozione di errore di fatto che può verificarsi nel giudizio di legittimità è sta delineato dalle Sezioni Unite in più occasioni.
Si è affermato che tale vizio consiste «in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti intern al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali, che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso» (Sez. Un, n. 16103 del 27/3/2002, Basile P., Rv. 221280; Sez. Un., n. 37505 del 14/7/2011, COGNOME, Rv. 250527; Sez. Un., n. 18651 del 26/3/2015, COGNOME, Rv.265248; nello stesso senso, fra le tante, Sez. 4, n. 17178 del 8/4/2015, COGNOME, Rv. 263443; Sez. 5, n. 7469 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259531; Sez. 1, n. 17362 del 15/4/2009, COGNOME, Rv. 244067; Sez. 4, n. 15137 del 8/3/2006, COGNOME, Rv. 233963).
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che:
t-
deve essere esclusa ogni possibilità di dedurre, attraverso l’art. 625 bis cod. proc. pen., errori valutativi o di giudizio;
sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incors giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie;
l’operatività del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relativ all’accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall’effettiva portata della norma, atteso che l’errore percettivo può cadere su qualsiasi dato fattuale;
l’errore di fatto censurabile secondo il dettato dell’art. 625 bis cod. proc. pen. deve consistere in una inesatta percezione di risultanze direttamente ricavabili da atti relativ al giudizio di cassazione;
l’errore di fatto deve rivestire “inderogabile carattere decisivo”;
l’errore di fatto può consistere anche nell’omissione dell’esame di uno o più motivi del ricorso per cassazione, sempre che risulti dipeso “da una vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura”, ovverossia che l’omesso esplicito esame lasci presupporre la mancata lettura del motivo di ricorso e da tale mancata lettura discenda, secondo “un rapporto di derivazione causale necessaria”, una decisione che può ritenersi incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata a seguito della considerazione del motivo;
il disposto dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, secondo cui “nella sentenza della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione i motivi di ricorso sono enunziati nei limiti strettamente indispensabili per la motivazione”, non consente di presupporre che ogni argomento prospettato a sostegno delle censure e non analiticamente riprodotto in sentenza sia stato non letto, anziché implicitamente ritenuto non rilevante.
Nel caso di specie, la Corte di cassazione, affermato cI principio di diritto i precedenza indicato, ha spiegato, nel dichiarare inammissibile il motivo di ricorso, come il ricorrente non avesse dimostrato – “fornendo elementi incontrovertibili”, tali, cioè, d non imporre accertamenti in fatto – che i reati per cui si procede fossero stati consumati in una data anteriore a quella accertata.
In particolare, la Corte di cassazione ha ritenuto: a) quanto al capo D), che l’imputato, dopo una prima concessione, aveva ottenuto un rinnovo dell’affidamento nel novembre del 2012; b) quanto al capo E), che l’affidamento fu disposto, diversamente da quanto affermato, il 21.9.2012; c) quanto al capo H), che, dopo l’affidamento del 31 agosto
2012, nel novembre di quello stesso anno, “la banca rinnovò un nuovo credito autorizzando l’emissione di un assegno”.
Rispetto a tale trama argomentativa, quanto al reato di cui al capo D), il ricorso è del tutto silente, sicchè non è chiaro perché la Corte avrebbe errato nel ritenere che l’originario affidamento fu rinnovato nel novembre del 2012.
Quanto al capo E), il ricorrente assume genericamente che la Corte avrebbe errato nel valutare come affidamento un “autobonifico” (così il ricorso), senza tuttavia spiegare alcunchè e, soprattutto, senza dedurre perché, nella specie, l’errore eventuale della Corte non sarebbe al più di tipo valutativo, relativo cioè alla qualificazione d quell’operazione come “autobonifico”.
Non diversamente, quanto al capo H), si sostiene che la Corte avrebbe errato nel considerare quale rinnovo del credito, l’autorizzazione che la Banca rilasciò all’imputato di emettere un dato assegno; dunque, anche in questo caso, si deduce un errore non percettivo, rispetto al quale, peraltro, si omette di spiegare, da una parte, perché, pur volendo ragionare con il ricorrente, quell’autorizzazione non potesse essere considerata come rinnovo dell’affidamento e, dall’altra, perché il ricorrente avesse “bisogno” di quell’autorizzazione se l’affidamento fosse stato ancora nella sua disponibilità.
Dunque, non può dirsi affatto provato l’errore di fatto.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 3000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE dell Ammende. Così deciso in Roma, il 24 aprile 2024.