Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35842 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 35842 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nata a San Giovanni Rotondo il DATA_NASCITA rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, di fiducia avverso la sentenza n. 5078/24 del 09/11/2023 della Corte di Cassazione Sesta sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che è stata avanzata dal difensore rituale richiesta di trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME richiamandosi integralmente alla memoria già depositata in cancelleria, ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso con annullamento della sentenza impugnata;
udita la discussione della difesa della ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso, associandosi in subordine alle richieste della Procura generale.
RITENUTO IN FATTO
Con atto presentato dal difensore di fiducia, l’imputata NOME COGNOME proponeva ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. avverso la sentenza n. 5078/24 emessa in data 09/11/2023 dalla Corte di cassazione Sesta Sezione penale.
Con la pronuncia di legittimità censurata veniva dichiarato inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza della Corte di appello di Bari emessa in data 24/01/2023 che aveva confermato il giudizio di penale responsabilità della stessa per i delitti di cui agli artt. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990 e 322, secondo comma, cod. pen. e ridotto la pena comminata in primo grado dal Tribunale di Foggia il 12/04/1922, ad anni quattro, mesi sette di reclusione ed euro 20.000,00 di multa (pena irrogata in primo grado, anni cinque di reclusione ed euro 21.000,00 di multa).
Per quanto rileva in questa sede, i giudici di legittimità dichiaravano manifestamente infondato il secondo motivo di ricorso con il quale si lamentava violazione di legge in relazione all’art. 448, comma 1, ultimo periodo, cod. proc. pen. e carenza di motivazione in relazione alla richiesta, reiterata in appello, di applicazione della pena oggetto dell’istanza di patteggiamento rigettata dal giudice di primo grado il quale aveva poi comminato, all’esito del giudizio, una sanzione superiore di soli tre mesi a quella indicata nell’accordo ex art. 444 cod. proc. pen., prima dell’applicazione della diminuente per il rito (anni quattro, mesi nove di reclusione ed euro 21.000,00 di multa, ridotta per il rito ad anni tre, mesi due di reclusione ed euro 14.000,00 di multa).
Più precisamente, con tale motivo di ricorso, la difesa prospettava che il giudice di appello, pur non applicando la sanzione indicata nella istanza di patteggiamento ed immotivatamente ritenuta incongrua, aveva comunque rideterminato la pena in misura inferiore a quella proposta dalle parti, al lordo della diminuente per il rito.
Rispetto a tale censura, i giudici di legittimità osservavano come il giudice di secondo grado avesse implicitamente ritenuto non congrua per difetto la proposta ex art. 444 cod. proc. pen., essendosi attestato su un trattamento sanzionatorio più elevato pur avendo rideterminato, in senso più favorevole all’imputata, la pena finale in anni quattro, mesi sette di reclusione ed euro 20.000,00 di multa.
Con il ricorso in esame, si deduce che la Corte di cassazione era incorsa in evidente errore materiale e di fatto consistito nel non avere considerato che la pena concordata era inferiore a quella poi applicata dal giudice di appello solo per effetto della calcolata diminuente per il rito richiesto. Invero, la proposta patteggiamento, al lordo della riduzione di un terzo conseguente alla scelta premiale, prevedeva un quantum pari a anni quattro e mesi nove di reclusione ed euro 21.000,00 di multa, poi ridotta per il rito ad anni tre mesi due di reclusione ed euro 14.000,00 di multa.
La Corte di appello, così rideterminando la pena finale, attestandosi su un trattamento più mite rispetto alla pena proposta ex art. 444 cod. proc. pen. prima dell’operata riduzione per il rito, avrebbe necessariamente dovuto dare seguito all’applicazione della sanzione concordata o quantomeno dare conto delle ragioni per le quali non ritenesse di poterlo fare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso straordinario è fondato e, come tale, meritevole di accoglimento.
Ritiene il Collegio che la sentenza della Sesta sezione penale della Corte di cassazione effettivamente parta dal presupposto (errato) che la pena sia stata rideterminata dalla Corte di appello in misura superiore a quella proposta con l’istanza di patteggiamento.
2.1. In realtà, al lordo della diminuzione della pena nella misura di un terzo per il rito, la proposta (assistita dal consenso del pubblico ministero) ex art. 444 cod. proc. pen., indicava una sanzione pari ad anni quattro, mesi nove di reclusione ed euro 21.000,00 di multa, pena da ridursi per il rito ad anni tre, mesi due di reclusione ed euro 14.000,00 di multa.
La pena rideterminata dalla Corte di appello (anni quattro, mesi sette di reclusione ed euro 20.000,00 di multa) effettivamente non risulta superiore – bensì inferiore – a quella che era stata proposta in sede di patteggiamento, prima della diminuente di legge per effetto del rito premiale. Del resto, riducendo astrattamente di un terzo la pena come rideterminata in appello, si arriverebbe ad una sanzione finale pari ad anni tre, giorni venti di reclusione ed euro 13.333,00 di multa, pena anch’essa inevitabilmente inferiore rispetto a quella richiesta con il pattegg ia mento.
2.2. Ne consegue che, respingere un patteggiamento per la valutata incongruenza per eccesso della pena concordata che, in concreto, viene poi ridotta ad una misura inferiore rispetto a quella richiesta, costituisce una violazione di
legge che, qualora si riverberi nell’avallo da parte del giudice di legittimit evidenzia in capo a quest’ultima decisione un palese errore di fatto: così operando, infatti, la Corte di cassazione, ha finito per comparare il quantum rideterminato dal giudice di secondo grado con quello dell’istanza di patteggiamento non avvedendosi che la pena di anni tre, mesi due di reclusione ed euro 14.000,00 di multa era il risultato finale con applicazione della riduzione per la scelta del rito che la comparazione, ai fini del giudizio sulla congruità, andava fatta tra la misura delle pene indicate edittalmente, prima dell’applicazione della diminuente dì legge.
Come è noto, l’art. 625-bis cod. proc. pen. dispone che, allorquando accoglie la richiesta, la Corte di cassazione “adotta i provvedimenti necessari per correggere l’errore”.
3.1. La regola di giudizio è, quindi, volta ad individuare il rimedio adeguato alla natura e alla qualità dell’errore ravvisato, su di esse calibrando il provvedimento: ciò comporta che, l’accoglimento del ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen., non impone necessariamente la revoca della precedente sentenza di legittimità, dovendosi invece provvedere all’adozione del provvedimento più idoneo alla correzione dell’errore (Sez. 6, n. 49079 del 22/11/2013, Chianello, Rv. 258361). Invero, la revoca integrale (ovvia quando, ad esempio, l’errore consista nel mancato rilievo di un vizio del rapporto processuale di legittimità ovvero nella mancata dichiarazione dell’estinzione del reato ovvero nella mancata considerazione di motivi che impongono l’assoluzione) non avrebbe ragione di essere quando, a fronte della presenza di altro ovvero di altri motivi decisi senza alcuna contestazione del condannato, l’errore riguardi un diverso ed autonomo punto specifico della decisione.
3.2. Le caratteristiche strutturali e sistematiche dell’istituto del giudica parziale, ex art. 624, comma 1, cod. proc. pen., possono (pur nella diversità dei contesti) essere esemplificativamente richiamate in ordine alla possibilità che parte solo della decisione mantenga autorità di giudicato. Ciò è quanto verificatosi nella fattispecie: la ricorrente aveva proposto due motivi, afferenti distinti punt della decisione, sui quali il giudice di legittimità si è pronunciato con la sentenz n. 5078/24 del 09/11/2023: con il primo motivo, si era denunciata la violazione degli artt. 420-ter, 178, comma 1, 179 e 180 cod. proc. pen. per illegittima mancata traduzione dell’imputata nel giudizio di appello (motivo che veniva considerato come manifestamente infondato); con il secondo motivo, parimenti ritenuto manifestamente infondato, si era denunciata la violazione di legge in relazione all’art. 448, comma 1, ultimo periodo, cod. proc. pen. e la carenza di motivazione (censura oggi integralmente riproposta) in relazione alla richiesta formulata in subordine, in sede di appello, di applicazione della pena oggetto di
istanza di patteggiamento, rigettata dal giudice di primo grado, il quale aveva comminato una pena superiore di soli tre mesi rispetto a quella indicata con l’istanza di patteggiamento prima dell’applicazione della diminuente per il rito.
Fermo quanto precede, ritiene il Collegio come una revoca generale della precedente sentenza di questa Corte sarebbe priva di alcuna ragione sistematica e non imposta dalla lettera dell’art. 625-bis cod. proc. pen. Nella fattispecie, Collegio ritiene di poter procedere direttamente alla fase rescissoria e, quindi, al nuovo giudizio sull’originario ricorso per cassazione, in applicazione del condiviso principio di diritto, prevalente nella più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui, in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, poiché l’art. 625-bis, comma 4, cod. proc. pen. dispone che la Corte di cassazione, ove accolga la richiesta, adotta i provvedimenti necessari per correggere l’errore, la definizione della procedura non deve necessariamente articolarsi nelle due distinte fasi della immediata caducazione del provvedimento viziato e della successiva udienza per la celebrazione del rinnovato giudizio sul precedente ricorso per cassazione, potendosi adottare un’immediata pronuncia della decisione che, se è di accoglimento del ricorso, sostituisce la precedente (cfr., Sez. 2, n. 48327 del 24/10/2023, COGNOME, Rv. 285586; Sez. 1, n. 18363 del 17/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284541; Sez. 3, n. 15307 del 05/03/2020, Reguig, Rv. 279754).
Venendo al merito del giudizio rescissorio, si ritiene necessario e sufficiente a rimuovere il riconosciuto errore di fatto un provvedimento di correzione della sentenza n. 5078/24 della Sesta sezione penale della Corte di cassazione limitatamente all’operato trattamento sanzionatorio da sostituirsi con la pena originariamente concordata tra le parti, rispettosa del giudizio di congruità sulla base delle valutazioni operate dal giudice di appello che ha ritenuto di dover ridurre la misura della pena inflitta in primo grado a seguito del mancato accoglimento della richiesta ex art. 444 cod. proc. pen., provvedendosi sul punto previo annullamento senza rinvio della sentenza della Corte di appello di Bari in data 24.01.2023, come da dispositivo, secondo quanto sopra argomentato.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso di COGNOME NOME, corregge la sentenza n. 5078/24 della Sesta sezione penale della Corte di Cassazione, e per l’effetto annulla senza rinvio la sentenza della Corte di appello di Bari del 24.1.2023 limitatamente al trattamento sanzionatorio, ed applica nei confronti di COGNOME NOME la pena di anni tre, mesi due di reclusione ed euro 14.000 di multa.
Così deciso in Roma il 10/09/2024.