Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 37180 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 37180 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NOLA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/05/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che, riportandosi alla memoria già
depositata, ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
udito il difensore:
lAVV_NOTAIO ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 33800 del 24 maggio 2023, depositata il 10 agosto 2023, la Quinta Sezione Penale della Corte di cassazione ha rigettato il ricorso proposto da NOME avverso la sentenza resa dalla Corte di appello di Roma il 24 marzo 2022, che aveva respinto l’istanza proposta da NOME di revisione della sentenza emessa dalla Corte di assise di appello di Napoli il 15 febbraio 2007, irrevocabile il 22 gennaio 2008.
La Corte di assise di Napoli aveva condannato NOME COGNOME alla pena dell’ergastolo, con isolamento diurno, in quanto lo aveva ritenuto responsabile, in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME, del tentativo di rapina con armi attuato il 21 ottobre 1991 sull’autostrada Caserta – Salerno ai danni dell’autoarticolato, contenente nocciole, condotto da NOME COGNOME, nonché dell’omicidio di quest’ultimo.
Questa sentenza era stata confermata dalla Corte di assise di appello di Napoli.
Indi, la Corte di cassazione, con sentenza resa da Sez. 1, n. 5636 del 22 gennaio 2008, aveva annullato con rinvio la statuizioneycondanna dei coimputati COGNOME COGNOME COGNOME, successivamente assolti, ma aveva rigettato il ricorso di NOME COGNOME.
1.1. Quest’ultimo aveva successivamente instato per la revisione della sentenza di condanna, senza esito.
Il primo giudizio di revisione era stato introdotto nel 2011 ed esitato, dopo un articolato iter, con sentenza della Corte di appello di Perugia del 10 luglio 2013, che aveva respinto l’istanza, sentenza impugnata da NOME con ricorso che era stato rigettato dalla Corte di cassazione (Sez. 1, n. 24868 del 21/01/2015).
Il secondo giudizio di revisione era stato introdotto nel 2015 e all’esito di esso la Corte di appello di Roma, con sentenza del 10 maggio 2016, aveva assolto NOME ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
Impugnata dal Procuratore generale territoriale, era stata annullata con rinvio dalla Corte di cassazione (Sez. 5, n. 32625 del 26/03/2018).
In sede rescissoria, la Corte di appello di Roma aveva dichiarato inammissibile l’istanza di revisione con sentenza del 27 marzo 2019 con sentenza a sua volta impugnata da NOME con ricorso che la Corte di cassazione (Sez. 1, n. 30010 del 15/09/2020) aveva rigettato.
Era seguita l’ulteriore istanza di revisione respinta dalla decisione della Corte di appello di Roma, a sua volta oggetto di ricorso che la sentenza della Corte di cassazione indicata nel preambolo ha rigettato.
1.2. La sentenza qui impugnata, dopo aver riportato l’iter delle istanze precedentemente proposte e rilevato che la terza istanza di revisione della decisione di condanna proposta da NOME era stata delibata e rigettata dalla Corte di appello di Roma con la sentenza del 24 marzo 2022, ha dato atto che avverso questa sentenza era stato proposto ricorso nell’interesse di NOME COGNOME con due atti di impugnazione, uno a firma dell’AVV_NOTAIO, uno a firma dell’AVV_NOTAIO.
Dopo aver richiamato in parte narrativa le censure sviluppate nei due atti indicati, i giudici di legittimità hanno ritenuto che le stesse non potevano dirs fondate ed erano ai limiti dell’inammissibilità, esponendo poi le considerazioni poste a sostegno della conclusiva statuizione di rigetto dell’impugnazione.
Con ricorso straordinario, ex art. 625-bis cod. proc. pen., NOME COGNOME, per il tramite del suo difensore, ha chiesto la revoca della sentenza di legittimità svolgendo un’ampia premessa e formulando poi tre motivi.
In premessa, il ricorrente riflette sullo strumento impugnatorio straordinario di cui si tratta e rileva la percentuale altissima delle dichiarazioni inammissibilità che la sua proposizione ha finora registrato, percentuale che ritiene influenzata negativamente dalla tendenza all’autoreferenziale difesa dell’esistente e dalla non generale adesione da parte dei giudici di legittimità ai principi generali definiti in questa stessa sede, principi utilmente esposti con riferimento al concetto di errore materiale o di fatto, del tutto diverso dall’erro di diritto, sia pure con le precisazioni man mano operate, in ampliamento, dall’ermeneusi dell’istituto, di cui il ricorrente segnala gli snodi ritenuti rileva
2.1. Indi, con il primo motivo, si prospetta l’errore di fatto per omissione scaturito dalla mancata disamina da parte della Corte di legittimità del motivo sub II del ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, con cui era stata dedotta la violazione del principio definito dagli artt. 533, comma 1, e 631 cod. proc. pen.
Ripetutamente la Corte di appello aveva negato l’efficienza delle prove dedotte a sostegno della revisione onde pervenire a un autonomo giudizio di innocenza dell’imputato, con specifico riferimento al filmato RAI e alla deposizione di COGNOME, affermando che esse non erano decisive per conseguire la certezza relativa al punto dedotto (l’inesistenza della manovra evasiva del Tir di COGNOME descritta da COGNOME): su tale argomento la sentenza impugnata ha omesso di esaminare il suddetto motivo di ricorso dell’AVV_NOTAIO assumendo che la valutazione della sua infondatezza trovasse risposta negli argomenti esposti per scrutinare l’analoga doglianza svolta nel ricorso dell’AVV_NOTAIO; però, nessun motivo di quest’altro ricorso aveva avuto ad oggetto i criteri di giudizio
da applicare sul tema degli effetti del novum.
In effetti, nella sentenza impugnata, è stata esclusa l’evenienza di un problema di ragionevole dubbio, dandosi per assodato che il contributo del dichiarante COGNOME, anche se depurato del riscontro costituito dalla manovra evasiva di COGNOME descritta da COGNOME, continuasse a costituire un sufficiente riscontro della chiamata di COGNOME – dopo che la Corte di merito aveva finalmente chiarito che la rivelazione della manovra improvvisa fosse provenuta da COGNOME, non da COGNOME – considerando che tale diversità di provenienza non mettesse in dubbio la manovra evasiva, questione posta al centro della confermata valutazione di credibilità della chiamata suddetta.
Su tale materia era incentrato il secondo motivo del suddetto ricorso non preso in esame dai giudici di legittimità, con esso essendosi sottolineato l’errore concettuale di fondo commesso dalla Corte territoriale, la quale aveva capovolto la ripartizione dell’onere della prova ed era incorsa nella carenza di motivazione su tale punto cruciale, del tutto distinto dal tema del ragionevole dubbio, punto inerente, invece, all’indissolubile correlazione fissata dai giudici della revisio fra la sussistenza della manovra evasiva e la tenuta della chiamata in reità.
Quindi, ad avviso del ricorrente, la Corte di cassazione ha ignorato del tutto la doglianza sviluppata dal ricorso dell’AVV_NOTAIO e riservato un’attenzione superficiale a quella del ricorso dell’AVV_NOTAIO, atti riferiti a doglianze diverse loro, e non analoghe, come le ha definite la sentenza impugnata, finendo per astenersi dal relativo esame e incorrendo in un errore di fatto per omissione.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia l’errore di fatto per omissione consistito nella mancata considerazione dei motivi V e VI del ricorso dell’AVV_NOTAIO.
2.2.1. Posta la centralità del dato, finalmente emerso, secondo cui a discorrere della manovra evasiva del conducente del Tir non era stato COGNOME, a riscontro della chiamata di COGNOME, ma COGNOME, a riscontro circolare della sua chiamata, nel motivo V di quell’atto era stato affrontato il tema dell’affidabilità estrinseca della pretesa confessione di COGNOME, essendo da confrontarsi quanto riferito da COGNOME con i dati di generica, operazione logicogiuridica omessa nella motivazione resa dai giudici della revisione.
Per la difesa, la risposta data a questo motivo nella sentenza di legittimità, risoltasi in molte clausole di stile, è stata determinata da una radicale incomprensione delle doglianze difensive, ascrivibile alla loro mancata lettura, soprattutto laddove essa si è trincerata dietro l’approdo dell’attendibilità dell fonte dichiarativa raggiunto dalle sentenze irrevocabili, mentre i giudici della revisione si erano assegnati proprio il compito di ricontrollare tale attendibilità, sua volta messa in discussione dalle prove nuove: la carenza di effettivo esame
del motivo viene ritenuta confermata dall’affermazione dei giudici di legittimità secondo cui il ricorrente non aveva spiegato perché l’attendibilità intrinseca di COGNOME fosse stata compromessa dalle prove nuove, siccome la Corte di appello le aveva ritenute non rilevanti; viceversa, la Corte territoriale aveva ritenut rilevanti, ma semmai insufficienti, la testimonianza della AVV_NOTAIO COGNOME e i filmato RAI ai fini della possibile esclusione della manovra evasiva.
Posta tale linea argomentativa, il motivo di ricorso aveva elencato in modo addirittura pedante i dati di generica influenti sulla verifica di logicità d persistente valutazione di attendibilità di quella fonte, ma la risposta dell sentenza impugnata tradisce l’omesso esame della corrispondente questione.
Solo in tal senso riesce a comprendersi, secondo il ricorrente, l’asserzione dei giudici di legittimità secondo cui la manovra evasiva neppure assurge a riscontro esterno della chiamata, in ciò contrastata dalle decisioni di legittimit che avevano chiuso i primi due procedimenti di revisione; e solo l’omissione di esame del motivo spiega la valutazione di congruità dell’argomentazione dei giudici della revisione secondo cui non era dimostrata l’inesistenza della manovra difensiva della vittima.
2.2.2. Nel motivo VI del medesimo ricorso si erano denunciati gli irreparabili vizi della motivazione sempre riguardo alla questione relativa all’effettuazione della manovra, dal punto di vista delle prove nuove, essendosi anzitutto evidenziato che la perizia del AVV_NOTAIO era pervenuta a conclusioni decisive circa la direzione di marcia rettilinea seguita dal Tir di COGNOME, salv piegare a destra nella parte terminale, conclusioni travisate dalla Corte territoriale, che aveva svolto affermazioni irrazionali sull’argomento, essendosi spiegato che la manovra ipotizzata dai giudici della revisione sarebbe stata assolutamente impossibile da effettuarsi, giacché, nell’unico punto in cui avrebbe potuto verificarsi, tale manovra avrebbe determinato il rovesciamento dell’autoarticolato sul suo fianco sinistro oppure l’incontrollabilità del veicolo, c sarebbe partito per la tangente finendo per schiacciare la fantomatica autovettura degli aggressori contro il new jersey oppure per sormontare il new jersey e finire nella corsia opposta.
La Corte di cassazione, pur riconoscendo esplicitamente che la tenuta della chiamata in reità fatta da COGNOME era da ritenersi condizionata alla dimostrazione dell’inesistenza della manovra, si è limitata a sostenere che anche la valutazione operata dai giudici della revisione di tale perizia non aveva prodotto, nel quadro delle prove evocate, la dimostrazione della suddetta inesistenza, non cogliendo il criterio di giudizio da applicare, posto che anche la sola insorgenza del dubbio che la manovra non fosse stata effettuata avrebbe determinato la crisi di credibilità della chiamata.
Il modo ritenuto liquidatorio con cui i giudici di legittimità hanno valutato l complessiva censura ha indotto il ricorrente a concludere che essa è stata totalmente ignorata, in quanto non è stata nemmeno letta.
In ordine alla valutazione del contributo delle dichiarazioni della AVV_NOTAIO COGNOME, poi, le considerazioni svolte nel ricorso dell’AVV_NOTAIO, riporta nell’atto, avevano analizzato la testimonianza della medesima, che si era avvalsa di una troupe RAI per elaborare la ricostruzione documentale dell’azione delittuosa condensandola nel relativo filmato, spiegando poi la corrispondenza fra il relativo esito e le conclusioni a cui era giunta la polizia giudiziaria, si assumeva preciso valore il dato per cui, in quella ricostruzione, nessuna manovra evasiva da parte di COGNOME era riportata, né era rappresentato un mutamento di traiettoria dell’autocarro, dato che essa era prospettata come costantemente rettilinea; e le considerazioni svalutative di quell’elemento addotte dalla Corte territoriale erano state contrastate dal ricorrente in modo argomentato.
A fronte di ciò, la sentenza impugnata – lamenta la difesa – ha opposto soltanto illazioni assumendo che la frenata improvvisa e forte con leggera deviazione a destra nella parte finale della traiettoria non ha escluso né un precedente tentativo di buttare fuori strada l’autovettura prima che la stessa superasse l’autoarticolato, né un tentativo di scarto successivo alla frenata stessa, dopo il sorpasso attuato dai malviventi: sull’impraticabilità di queste alternative la difesa ritiene di aver dato insuperabili delucidazioni, in virtù de quali la ricostruzione fatta da NOME COGNOME si qualificava come un “non fatto”: dunque, la manovra evasiva affermata dal chiamante in reità è restata priva di riscontro esterno, con l’effetto che le prove nuove avrebbero dovuto considerarsi tali da aver compromesso irrimediabilmente il giudizio di colpevolezza.
In ricorso si era evidenziato l’errore di fatto commesso dai giudici della revisione, consistito nel non tener conto che l’unica ricostruzione della dinamica dell’azione criminale era quella ottenuta dalla AVV_NOTAIO COGNOME, fondata sui rilievi generica, e si era rimarcato l’errore di valutazione giuridica commesso agli stessi giudici, consistito nel trascurare la necessità di riscontri esterni, inve insussistenti, alla chiamata in reità.
A tali rilievi la Corte di cassazione – denuncia la difesa – ha risposto con pochissime righe mancando, comunque, di pronunciarsi sul “come” i giudici della revisione si fossero soffermati sulle prove nuove, serbando sull’argomento un silenzio definito tombale, con conseguente emersione dell’errore di fatto per ornissione.
2.3. Con il terzo motivo si denuncia un ulteriore errore di fatto per omissione, inerente alla mancata considerazione del motivo III del ricorso dell’AVV_NOTAIO.
La doglianza era stata liquidata in sole sette righe, in quanto ritenuta generica, ma tale conclusione – sottolinea il ricorrente – è stata determinata dall’omissione radicale di esame della censura difensiva coniugata con la mancata comprensione della struttura della sentenza di merito, secondo quanto si è già in precedenza evidenziato riferimento al tema, riesaminato dai giudici della revisione, dell’attendibilità intrinseca ed estrinseca della chiamata in reità senza che valesse a neutralizzare la necessità di prendere in considerazione i rilievi sull’argomento il fatto che le pronunce precedenti, pur se definite plurime, avevano concluso per la sussistenza di tale attendibilità.
Nuovamente trattando il tema, la Corte territoriale aveva elencato i riscontri graduandone anche la valenza (indicando quale principale fra gli stessi il comportamento di COGNOME e poi gli altri) e avverso la corrispondente disamina si erano proposte doglianze univocamente volte a destituire di valenza logicogiuridica i relativi dati, richiamando anche la complessiva vicenda che, nel corso dell’íter giudiziario, aveva contrassegnato la valutazione delle dichiarazioni di COGNOME, in ordine alla sequenza diacronica dei fatti riferiti e alla collocazion temporale del colloquio con NOME in esse raccontato: ebbene – lamenta la difesa – la sentenza di merito aveva omesso di prendere posizione sulla stessa cruciale questione se NOME e COGNOME si fossero incontrati il 22 ottobre o il 23 ottobre 1991, per cui si erano dedotti la violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. in ordine alle dichiarazioni di COGNOME, il difetto assoluto motivazione sulla negata esclusività della conoscenza delle notizie asseritamente rivelate da NOME a COGNOME, la mancata rilevazione del riferimento da parte di NOME alle fonti costituite da NOME e COGNOME dell’accaduto, elementi da cui non avrebbe potuto mai farsi derivare la conferma della responsabilità di NOME per il fatto onnicidiario, come invece aveva fatto la Corte di appello. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A fronte dell’argomentata doglianza – sostiene la difesa – l’avere la Corte di legittimità bollato la stessa come generica dà contezza del fatto che i giudici di legittimità non hanno neppure letto il corrispondente motivo di impugnazione.
Né a surrogare tale carenza potrebbe, secondo la difesa, considerarsi la trattazione del motivo V dell’atto di impugnazione a firma dell’AVV_NOTAIO, in quanto quel motivo non aveva trattato dell’assenza di riscontri alla dichiarazione di COGNOME circa il suo incontro con NOME, né aveva preso in considerazione il tema della collocazione nel tempo di quell’incontro: temi che erano ancora centrali nella dialettica impugnatoria, al di là del pregresso annullamento.
Pertanto, l’indicata complessiva doglianza è stata, secondo il ricorrente, ignorata dalla sentenza di legittimità sul presupposto, errato e ingenerato dalla
mancata lettura, che il tema trattato nel ricorso dell’AVV_NOTAIO coinc con quello devoluto dall’AVV_NOTAIO.
Sotto altro aspetto la sentenza della Corte territoriale aveva confuso l’alibi con la sua prova, giacché – a fronte delle critiche mosse dalla difesa per contestare l’affermato fallimento della prova d’alibi costituita dalle dichiarazion di COGNOME, che aveva riferito della presenza dell’imputato nell’autoparco in orario incompatibile con la partecipazione alla rapina e all’omicidio, nonché per segnalare la natura di elemento agnostico, sotto il profilo probatorio, dell’alib semplicemente fallito, con la conseguente manifesta illogicità dell’annessione allo stesso di un rilievo probatorio, contrariamente a quanto aveva fatto la sentenza di merito, che lo aveva fatto assurgere a dignità di riscontro – la Corte di cassazione, secondo il ricorrente, non ha fornito risposta.
Quanto alla supposta professionalità di NOME nella commissione di rapine, elemento pure considerato dai giudici della revisione come avente dignità di riscontro, il ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO pure aveva censurato in modo specifico l’affermazione richiamando le dichiarazioni di COGNOME, che non aveva attribuito rapine a NOME: anche su tale questione si stigmatizza il silenzio della Corte di legittimità.
In ordine, poi, a quello che era stato considerato l’elemento principale di riscontro, ossia il comportamento di COGNOME circa l’anticipazione di esso da parte di COGNOME in merito alle accuse calunniose a carico di COGNOME e di COGNOME, si era evidenziata l’insanabile contraddizione costituita dall’aver collocato la pretesa ammissione di COGNOME nell’ottobre 1991 e il progetto calunnioso svelato al chiamante COGNOME nel gennaio 1994: si era distinta la chiamata in reità relativa al progetto calunnioso maturato da NOME a carico di NOME NOME di COGNOME, rispetto a cui il comportamento di NOME, dopo la confessione, aveva costituito un riscontro risolutivo, dalla chiamata in reità relativa al fatto omicidiario, rispetto alla quale non era dato individuare riscontr né estendere il comportamento suddetto, rilevante soltanto per le accuse calunniose.
Anche solo al lume di buon senso – obietta la difesa – avrebbe dovuto considerarsi che COGNOME ben poteva aver detto il vero quanto alla strategia criminale di COGNOME nel gennaio 1994 e, invece, aver mentito in ordine alla pretesa confessione di NOME, addotta come avvenuta quattro o cinque giorni dopo il fatto, tempo nel quale i due avevano avviato una lucrosa attività di ricettazione dei carichi di noccioline rubati o rapinati; in tale situazione, lo ste NOME avrebbe potuto millantare di aver compiuto il clamoroso fatto di sangue per intimidire il suo ostico interlocutore, dotato della forza di relazioni pericolos era, pertanto, una situazione del tutto diversa da quella del 1994, quando
NOME e COGNOME erano entrambi in carcere.
In presenza di queste e altre deduzioni, la sentenza impugnata, secondo la difesa, ha trattato quelli che ha definito plurimi riscontri come se il ragionamento svolto dai giudici della revisione non fosse stato contrastato con l’impugnazione, contrariamente al contenuto del ricorso, contenuto ignorato fino a determinare il denunciato errore di fatto per omissione, connotato da decisività in re ipsa.
Il Procuratore generale ha rassegnato memoria, con essa anticipando i temi della requisitoria da svolgere nel corso della discussione orale e preannunciando la richiesta della declaratoria di inammissibilità del ricorso straordinario, in quanto l’impugnazione in esame non si è articolata nei limiti dell’alveo previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen., rimedio costituente eccezione, di stretta interpretazione, alla regola dell’inoppugnabilità della sentenza e, più in generale, dei provvedimenti emessi dalla Corte di cassazione: rimedio che non deve avere ad oggetto l’attività del giudicare, occorrendo che l’errore sia di tipo percettivo, non di tipo valutativo.
In tale prospettiva, l’impugnazione in esame, secondo l’Autorità requirente, svolge una dettagliatissima, ma non consentita, doglianza in ordine al contenuto della decisione assunta, evidentemente non condivisa: quelli che, ove pure sussistenti, si risolverebbero in errori valutativi vengono dal ricorrent prospettati come errori percettivi, attraverso la formula dell’errore di fatto p omissione, sia con riferimento all’opzione della Corte di legittimità di trattare modo unitario alcuni motivi introdotti con i due atti di impugnazione, sia con riguardo al dissenso dalle scelte ermeneutiche operate nella sentenza impugnata, ascritte dal ricorrente alla radicale mancata comprensione dei motivi di ricorso, sia con riferimento alla critica della sintesi con la quale alcu doglianze sono state scrutinate nella sentenza impugnata.
In tutte queste articolazioni, per il Procuratore generale, l’impugnazione qualifica come errori percettivi o di fatto quelli che sono gli esiti delle condivise interpretazioni delle risultanze processuali effettuate nella decisione di legittimità, in ordine alle quali il rimedio di cui all’art. 625-bis cod. proc. pe precluso.
Nel corso della discussione orale il Procuratore generale, facendo seguito alle considerazioni sviluppate con la memoria, ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Il difensore del ricorrente, a sua volta, ha illustrato e specificato le doglianze articolare con il ricorso insistendo per il loro accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. è stato tempestivamente COGNOME proposto: COGNOME il COGNOME provvedimento COGNOME di COGNOME legittimità COGNOME oggetto dell’impugnazione è stato pubblicato il 1° agosto 2023, mentre l’atto di impugnazione è stato depositato il 28 febbraio 2024, nel rispetto del termine di centottanta giorni stabilito dal comma 2 della suddetta norma, ove si computi, come è corretto fare (Sez. U, n. 32744 del 27/11/2014, dep. 2015, Zangari, Rv. 264047 – 01), la sospensione dei termini verificatisi nel periodo feriale, ai sensi dell’art. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742.
L’impugnazione, tuttavia, non si profila fondata e, pertanto, non può essere accolta.
è necessario ribadire, anche in relazione all’ampia premessa critica sviluppata dal ricorrente e al corrispondente fine dell’adeguato scrutinio delle richiamate doglianze, che l’errore di fatto – verificatosi nel giudizio di legitti e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. – deve consistere in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso.
Consegue che, ove la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì si verte in tema di errore di giudizio e che, nella stessa ottica, sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridich sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia inco il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie (Sez. U, n. 16104 del 27/03/2002, COGNOME, non mass.; Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280 – 01).
In questa prospettiva le Sezioni Unite hanno specificato che “qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen.” (così Sez. U,
n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686 – 01; cfr. anche Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, Rv. 250527 – 01).
Coerente con tale impostazione è la – non irrilevante anche in rapporto al caso al vaglio – considerazione in virtù della quale il ricorso straordinario ex art 625-bis cod. proc. pen. non si reputa ammissibile neanche quando venga dedotto un erroneo vaglio delibativo di aspetti del compendio storico-fattuale, essendo pure in tal caso prospettato un errore non di fatto, bensì di giudizio (cfr. Sez. 6, n. 37243 del 11/07/2014, Diana, Rv. 260817 – 01), così come la limitazione della proposizione del rimedio in questione ai soli casi di errore materiale o di fatto esclude che esso possa essere proposto per far valere un errore di diritto (Sez. 5, n. 21939 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 273062 – 01).
Le medesime coordinate hanno indotto a precisare che l’errore materiale e l’errore di fatto consistono, il primo, nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica e, il secondo, in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo, con l’effetto che rimangono estranei all’area dell’errore di fatto – e vanno ritenuti inoppugnabili anche gli errori di valutazione e di giudizio dovuti a una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, assimilabili agli errori d diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali (Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, COGNOME, Rv. 273193 – 01).
E anche in relazione all’omessa motivazione in ordine ad uno o più motivi di ricorso per cassazione, deve considerarsi che – se è certo che essa, quando inerisce a motivo non manifestamente infondato e di potenziale rilevanza ai fini del decidere, nel caso in cui sia seguito il rigetto o la declaratoria inammissibilità del ricorso, dà luogo a errore di fatto rilevante (fra le altre, Se 2, n. 28513 del 18/06/2019, Lampada, Rv. 276925 – 01) – è del pari assodato che la medesima omissione, invece, non dà luogo a errore di fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen. allorché il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso, ovvero qualora l’omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite dall’esame di altro motivo preso in considerazione, o, ancora, quando l’omesso esame del motivo non risulti decisivo, in quanto da esso non discenda, secondo un rapporto di derivazione causale necessaria, una decisione incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata se il motivo fosse stato considerato, con la – non inutile – precisazione che, in tale ultima ipotesi, è onere del ricorrente dimostrare che la doglianza non riprodotta era, contro la regola di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., decisiva e che il omesso esame è conseguenza di un sicuro errore di percezione (Sez. 2, n. 53657
del 17/11/2016, COGNOME, Rv. 268982 – 01; nel medesimo senso, con riferimento ai motivi aggiunti, Sez. 3, n. 27622 del 26/04/2023, COGNOME, Rv. 284804 – 01, e, con riguardo agli oneri incombenti sul ricorrente, Sez. 1, n. 391 del 09/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285553 – 01).
3. È, poi, da rilevare che, vertendosi in tema di ricorso straordinario avverso la sentenza di legittimità che ha definito il procedimento avente ad oggetto la terza istanza di revisione proposta da NOME nei riguardi della sentenza della Corte di assise di appello di Napoli il 15 febbraio 2007, irrevocabile il 22 gennaio 2008, che lo aveva condannato alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, la Corte di cassazione, nella decisione che qui si valuta, ha correttamente premesso che l’ordinamento giuridico non preclude la possibilità di reiterare le istanze di revisione, a condizione, però, che quella ulteriore si fondi su un corredo probatorio che possa definirsi nuovo, anche rispetto alle valutazioni e considerazioni, di natura istruttoria, operate in occasione del giudizio di rivisitazione del giudicato già svoltosi; in tal senso, l’istituto della revisione costituisce un’impugnazione tardiva della condanna, che permetta di eccepire, in ogni tempo, e finanche con carattere di ripetitività, ciò che nei processi definitivamente conclusi non è stato introdotto, eccepito o rilevato, bensì è un mezzo straordinario di impugnazione che consente – in casi determinati in modo tassativo – di rimuovere gli effetti della condanna stessa, dando priorità alle esigenze di giustizia sostanziale rispetto a quelle di certezza dei rapporti giuridici
Per tale ragione – ha affermato la Corte di cassazione nella sentenza che qui si esamina – la risoluzione del giudicato non può avere come presupposto soltanto una diversa valutazione del dedotto, oppure un’inedita disamina del deducibile, a fortiori dopo l’esito negativo della precedente impugnazione straordinaria dello stesso tipo.
Se n’è tratta, quindi, la conseguenza giuridica (condivisa con la precedente decisione di legittimità che aveva definito il secondo giudizio di revisione: Sez. 1, n. 30610 del 2020, cit.) che non è consentito riproporre istanze di revisione, che si basino sulla mera rilettura di quanto è stato deciso nel giudizio di revisione già celebrato, o ripropongano argomenti già dibattuti e risolti nella stessa sede.
È utile ricordare anche che, sempre nella sentenza qui impugnata, i giudici di legittimità hanno ricordato che, rispetto al più articolato catalogo di prov nuove prospettato dall’istante, la Corte di appello aveva considerato quale prova nuova, in primo luogo, le dichiarazioni di NOME COGNOME circa la manovra elusiva posta in essere dalla vittima prima di essere uccisa, nel senso che esse erano ritenute avere integrato un novum sotto il profilo della loro provenienza, in quanto, inizialmente, esse erano state attribuite a COGNOME, ma poi era stato
chiarito che esse erano provenienti, invece, dallo stesso COGNOME e, quindi, tali da incidere sulla credibilità di quest’ultimo, nel senso che, ove la suddetta manovra non fosse risultata provata, si sarebbe posto il problema della tenuta dell’intrinseca attendibilità delle dichiarazioni di COGNOME sulla confessione di COGNOME.
Erano state ritenute, in secondo luogo, prove nuove le dichiarazioni della testimone di polizia giudiziaria NOME COGNOME, intervenuta sul luogo del fatto subito dopo, e il filmato realizzato dai tecnici della RAGIONE_SOCIALE, contenente la ricostruzione delle modalità dell’omicidio, con particolare riferimento alla traiettoria della motrice condotta dal COGNOME: esse erano state considerate tali, in quanto dall’esame delle sentenze di primo e secondo grado non risultava la valutazione di tali evidenze, in relazione al comportamento dell’autoarticolato e, in particolare, con riferimento alla esistenza di tale manovra evasiva e all’utilizzo da parte dei colpevoli di una motrice o di un’autovettura.
Tuttavia, la Corte territoriale, dopo aver valutato tali prove, aveva escluso che esse avessero la capacità di dimostrare in termini di certezza l’inesistenza della manovra riferita da NOME a NOME e aveva confermato il giudizio di positiva attendibilità di NOME, reputato non inciso dalle prove addotte, risultate prive di apprezzabile attitudine a introdurre ragionevoli dubbi in merito all’esistenza della confessione di NOME a NOME.
Tutte le doglianze sviluppate nell’interesse di NOME con i due atti di impugnazione (estesi, l’uno dall’AVV_NOTAIO, l’altro dall’AVV_NOTAIO) avverso i ragionamento esposto dalla Corte di appello di Roma del 24/03/2022 sono state, poi, disattese da parte della Corte di cassazione.
4. Puntualizzato l’alveo in cui è stata resa la decisione di legittimità qu impugnata, quanto al primo motivo del ricorso, occorre constatare che la Corte di cassazione ha richiamato nella parte narrativa il motivo II del ricorso dell’AVV_NOTAIO segnalando che con esso si lamentava la violazione del principio del ragionevole dubbio, in presenza del quale avrebbe dovuto essere accolta l’istanza di revisione ed emettersi sentenza di proscioglimento, sostenendosi la mancanza della prova dell’esistenza di una manovra evasiva posta in essere dal conducente del camion, per tentare di liberarsi dei rapinatori, con conseguente riflesso decisivo sulla credibilità dell’unica fonte di accusa, costituita da propalazioni di NOME COGNOME.
La Corte di legittimità ha ritenuto tale motivo omologo al terzo motivo dell’atto di impugnazione proposto dall’AVV_NOTAIO, con riferimento ai quale era riportata la doglianza di omessa motivazione in merito all’attendibilità di NOME COGNOME in ordine all’esistenza o meno della manovra eversiva del conducente del
camion, dal momento che, per il ricorrente, i nova introdotti avevano dimostrato l’inesistenza della manovra difensiva del conducente del camion, con l’effetto che tale esito, essendo idoneo a smentire il collaboratore di giustizia NOME, che ne aveva parlato agli inquirenti, ne minava la credibilità, per cui, anche in virtù de principio del ragionevole dubbio, la Corte di appello avrebbe dovuto assolvere NOME, invece di ricercare ricostruzioni alternative, essendo diverso il tema della credibilità da quello della mancanza di riscontri alle dichiarazioni.
Posto ciò, nella sentenza impugnata, la Corte di legittimità, quando ha affrontato il motivo II del ricorso dell’AVV_NOTAIO, ne ha ritenu l’infondatezza spiegando che le basi di tale valutazione trovavano illustrazione negli argomenti già esposti nello scrutinio dell’analoga doglianza articolata dall’AVV_NOTAIO, argomenti a cui ha fatto, pertanto, esplicito richiamo.
4.1. Si prende atto, al riguardo, che la trattazione da parte dei giudici di legittimità della tematica introdotta con il terzo motivo svolto nel ricors proposto dall’AVV_NOTAIO si è dipanata in una serie articolata di considerazioni.
Dopo aver rilevato che la doglianza mirava a conseguire, attraverso una rilettura di alcune fonti di prova, la dimostrazione dell’inesistenza della manovra di guida posta in essere dalla persona offesa poco prima di essere colpita, rilettura finalizzata a indebolire l’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie COGNOME, la Corte di cassazione ha osservato che, nella prospettazione difensiva, mancava un effettivo confronto con la motivazione della decisione della Corte di appello, la quale, svolgendo una specifica analisi fattuale e spendendo congrue argomentazioni, prive di cedimenti logici, aveva escluso che dall’esame di quel materiale probatorio emergesse una smentita dell’esistenza della manovra; si era pertanto concluso che quelle prove non apparivano decisive, nel senso di conseguire la certezza sul dedotto punto dell’inesistenza della manovra evasiva descritta da COGNOME, per cui anche sull’esistenza della confessione di NOME non potevano esservi dubbi tali da portare a escludere la manovra ritenuta compiuta da COGNOME.
Ragionando su questa base, la Corte di legittimità, considerato che l’affermazione di colpevolezza di COGNOME si fondava sulle dichiarazioni di COGNOME, ritenute attendibili dalle tre sentenze irrevocabili (da un lato, quella conclusiv del giudizio di cognizione e quella che aveva definito il primo giudizio di revisione, che avevano ritenuto il racconto di COGNOME riscontrato, oltre che da dichiarazioni di COGNOME, anche da altri elementi, fra cui, in primo luogo, i comportamento processuale calunnioso di COGNOME nel rendere agli inquirenti una versione corrispondente a quella anticipata da COGNOME, nonché il fallimento dell’alibi tardivamente allegato dal COGNOME, l’esito delle indagini sull’indiscuss coinvolgimento del COGNOME in analoghe rapine, ammesso dallo stesso imputato,
dall’altro, quella che aveva definito il secondo giudizio di revisione, che aveva convalidato la tenuta logica dell’affermata attendibilità di COGNOME, anche a prescindere dal contributo dichiarativo di COGNOME), ha osservato che la valutazione con cui la sentenza impugnata aveva escluso che fosse stata smentita la ricostruzione di COGNOME in merito alla manovra elusiva di cui gli avrebbe riferito COGNOME, confessando la partecipazione all’omicidio, era tale da resistere alle critiche difensive.
Questo approdo è stato argomentato aderendo all’osservazione della Corte territoriale, secondo cui la chiamata in reità a carico di NOME, da parte di COGNOME, era sorretta dai plurimi riscontri richiamati e, comunque, la circostanza della manovra difensiva della vittima non risultava affatto smentita dalle nuove prove prodotte dalla difesa, poiché la Corte di appello non aveva cercato ricostruzioni alternative in merito alla dinamica dell’omicidio, che era stata invece, ritenuta confermata, nelle sequenze già acclarate, anche alla luce delle conclusioni della perizia COGNOME. È stato osservato che la Corte di appello aveva evidenziato che tale perizia si era espressa favorevolmente circa il livello di compatibilità della traiettoria dei colpi che avevano attinto COGNOME con la dinamica riferita da COGNOME, oppure ammettendo che la compatibilità degli esiti dell’accertamento con la tesi che l’agguato fosse stato condotto a bordo di un’autovettura, sicché si è ritenuto che la Corte di appello avesse in modo coerente concluso che la manovra elusiva come riferita da NOME non era risultata smentita dalle prove poste a base dell’istanza di revisione.
Ritenendo incensurabile questo approdo, la Corte di cassazione ha ricordato che oggetto del riscontro era la circostanza che NOME avesse realmente raccolto la confessione di NOME, riscontro che, per essere tale, non doveva presentare autonomo significato persuasivo della responsabilità penale e a integrare il quale si è ribadito essere stati indicati gli elementi, ulteriori rispetto alle dichiarazi COGNOME, valorizzati in sede di cognizione e ripresi in sede di prima e seconda revisione, elementi costituenti indici probatori già pienamente validati in tutti precedenti giudizi e che la sentenza della Corte di appello aveva confermato, anche alla luce del novum, essendosi escluso che le nuove prove addotte fossero risultate idonee a dimostrare l’innocenza di NOME: e, ciò, neppure in termini di ragionevole dubbio.
La ragione di questo approdo è stata ricollegata dai giudici di legittimità sia al rilievo che non era stata smentita la circostanza della manovra presente nel racconto di COGNOME, sia al rilievo che il racconto di quest’ultimo era corroborato dai suddetti, svariati riscontri. Si è quindi prestata piena adesione all conclusione raggiunta dalla Corte territoriale, ripresa in modo letterale: “la assenza della manovra nelle parole del COGNOME non appare quindi in grado di
fornire un nuovo quadro probatorio dato che gli elementi di conferma delle dichiarazioni di COGNOME erano altri, e non limitati all’aver parlato della manovra evasiva”.
La Corte di legittimità ha specificamente ribadito che non si poneva nemmeno un problema di ragionevole dubbio, in quanto la chiamata in reità continuava a essere pienamente riscontrata da quelli che sono stati definiti i plurimi elementi, già ricordati, reputati convergenti nel corroborarne l’attendibilità estrinseca, non posta in discussione dalla circostanza incentrata sulla ricostruzione della dinamica dell’omicidio, essendo, invece, stata ribadita la plausibilità della ricostruzione fornita da COGNOME.
4.2. Lo sviluppo argomentativo della motivazione resa dalla Corte di cassazione, valutato in rapporto al contenuto del motivo II articolato nell’atto di impugnazione dell’AVV_NOTAIO, non conforta la prospettazione difensiva circa l’avvenuta obliterazione, sfociata in errore percettivo, nella risposta data dai giudici di legittimità a quella doglianza, che si assume erroneamente accomunata a quella, analoga, sollevata nell’atto di impugnazione dell’AVV_NOTAIO.
La Corte di legittimità ha preso in considerazione sia l’aspetto inerente alla mancata osservanza, nella rivalutazione del quadro probatorio, del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio, su cui pure nel succitato motivo II la difesa di NOME si era spesa, ma ha anche analizzato la posizione assunta dalla Corte di appello in merito agli effetti della corretta attribuzione alla fonte accusator costituita da NOME COGNOME, e non al testimone COGNOME, delle dichiarazioni relative alla manovra evasiva del conducente del Tir.
Gli argomenti adottati nella sentenza impugnata sono stati esposti con compiutezza di riferimenti, anche lì dove hanno ritenuto espressamente motivata in modo congruo e incensurabile la valutazione della Corte territoriale della persistente sussistenza dell’attendibilità delle dichiarazioni di COGNOME, dopo aver considerato che la manovra elusiva da lui riferita non era risultata smentita dalle ulteriori prove considerate nuove.
Il motivo di cui si tratta, nella sua essenza, non è stato, pertanto, ignorato con il dedotto, ma non dimostrato, errore percettivo: la sostanza delle obiezioni con esso svolte – per destrutturare l’addotto rispetto del principio dell’oltre og ragionevole dubbio e per avvalorare la tesi secondo la quale la Corte di appello aveva delibato i presupposti della revisione in modo erroneo, perché parametrato sulla disciplina del codice previgente – è stata comunque considerata e disattesa con determinazione di natura certamente valutativa, la cui censura non può fondare il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto.
Circa la modalità con cui la Corte di cassazione ha preso le distanze dalle
deduzioni introdotte da COGNOME con il motivo II, è, in particolare, da ribadire che non dà luogo a errore di fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen. l’omesso scrutinio di specifiche deduzioni contenute in un motivo di ricorso per cassazione, qualora le stesse siano state implicitamente valutate e disattese dalla Corte (Sez. 5, n. 26271 del 26/05/2023, COGNOME, Rv. 284697 – 01; Sez. 1, n. 46981 del 06/11/2013, COGNOME, Rv. 257346 – 01).
In tal senso, la corrispondenza fra le doglianze connotanti l’atto di impugnazione e i relativi punti della decisione deve riscontrarsi in guisa da soddisfare l’esigenza che sia preso in considerazione ciascuno dei motivi dedotti con l’enunciazione specifica richiesta dall’art. 581 cod. proc. pen., peraltro i singoli argomenti addotti dall’impugnante nell’ambito di ogni doglianza potendo essere presi in considerazione e, se del caso, disattesi dal giudice anche in modo implicito, senza detrimento per la compiutezza della risposta decisoria.
Quel che decisivamente rileva in questa sede, comunque, è che – quale che sia l’impostazione giuridicamente preferibile sul tema prospettato dal ricorrente COGNOME – l’opzione posta dalla Corte di cassazione alla base del rilievo di complessiva infondatezza della doglianza presa certamente in esame ha costituito l’esito di un giudizio e, quindi, di una operazione logica di natur valutativa.
Sotto l’enucleato profilo, deve tenersi per fermo che non può essere proposto il ricorso straordinario per errore di fatto quando l’errore in cui assume che la Corte di cassazione sia – in ipotesi – incorsa abbia natura valutativa e si innesti su un sostrato fattuale correttamente percepito (Sez. 6, n. 28424 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283667 – 01).
Il primo motivo è, pertanto, da disattendersi.
In ordine al secondo motivo di ricorso, deve egualmente prendersi atto che, nella sentenza impugnata, dopo aver esaurientemente richiamato in parte narrativa il contenuto delle doglianze svolte nei motivi V e VI dell’att impugnatorio dell’AVV_NOTAIO, la Corte di cassazione ha ritenuto prive di pregio entrambe le doglianze offrendo un’articolata motivazione a supporto di tale conclusione.
5.1. Posto che il motivo V aveva lamentato che la Corte di appello aveva reso una motivazione censurabile in tema di affidabilità estrinseca di quella che era stata considerata la confessione stragiudiziale di NOME, la Corte di legittimità, circa il rilievo secondo cui i giudici territoriali non avreb proceduto alla preliminare verifica della credibilità di NOME, confrontando il suo narrato con gli elementi di prova generica che davano atto di una traiettoria pressocché orizzontale dei colpi che avevano attinto la vittima, ha ritenuto
infondata la deduzione, in quanto ha reputato che essa si fosse assertivamente concentrata nel ripercorrere consolidati criteri di giudizio in tema di chiamata in reità – in concreto applicati perfettamente nel caso concreto – nel tentativo di conseguire una rivalutazione del quadro probatorio, sulla base di prospettazioni ritenute, però, di natura solo argomentativa e tendenti a rivedere il giudizio della Corte di merito, che, dal canto suo, aveva legittimamente mantenuto ferme le valutazioni in punto di attendibilità della fonte dichiarativa, accreditate d sentenze irrevocabili, non essendo consentito invocare la risoluzione del giudicato sulla base di una diversa valutazione del dedotto o di un’inedita disamina del deducibile.
La Corte di cassazione ha aggiunto che non era stato spiegato dal ricorrente perché l’attendibilità intrinseca di COGNOME sarebbe stata compromessa dalle prove nuove, dal momento che – posta la necessità di effettuare la nuova valutazione operando, mediante la debita comparazione, la prova di resistenza e delibando le prove nuove con quelle a suo tempo poste a base della pronuncia di condanna non poteva obliterarsi che ia credibilità e attendibilità di COGNOME era stata già oggetto di approfondita disamina in sede di cognizione e nel corso del primo e del secondo procedimento di revisione e che i relativi profili non risultavano interessati dalle nuove prove, le quali tendevano a mettere in discussione l’affidabilità, in sé, del chiamante in reità attraverso la dimostrazio dell’inesistenza di un fatto (la manovra difensiva del conducente dell’autoarticolato e, in definitiva, la ricostruzione della dinamica omicidiari narrata dal propalante) neppure assunto a riscontro esterno della chiamata, corroborata da altri elementi.
In esito a tali considerazioni, si è ritenuto che non vi fosse alcuna ragione per la quale la Corte territoriale avrebbe dovuto discostarsi dagli esiti attinti s punto nei precedenti giudizi di revisione e, quindi, dal riconfermato giudizio – di complessiva attendibilità delle dichiarazioni de relato rese da NOME COGNOME sulla confessione ricevuta da NOME di aver commesso l’omicidio di COGNOME nel corso della tentata rapina del Tir carico di nocciole da questi condotto formulato nel processo di merito, essendosi già evidenziato che COGNOME aveva sempre tenuto ferme le proprie dichiarazioni, anche in sede di confronto con NOME, e comunque non le aveva mai ritrattate, neanche in punto di morte, posto che l’affermazione sulla falsità delle accuse contenute nel manoscritto rinvenuto in occasione del suo suicidio in carcere nel maggio 2006 si riferiva a dichiarazioni diverse da quelle rilasciate dodici anni prima a carico del ricorrente, non avendo COGNOME alcuna ragione di mentire sul contenuto della confidenza (certa nel suo accadimento storico) ricevuta da COGNOME.
Richiamate tali pregresse valutazioni, la Corte di legittimità ha considerato
che, nel momento in cui la sentenza della Corte di appello aveva ritenuto in modo congruo non dimostrata l’inesistenza della manovra difensiva della vittima e aveva, anzi, concluso per la persistente verosimiglianza della ricostruzione fornita dal propalante, non sussisteva ragione per rinnovare il giudizio sull’attendibilità soggettiva del propalante.
5.2. Circa la critica contenuta nel motivo VI del ricorso dell’AVV_NOTAIO, la Corte di cassazione ne ha disatteso la prospettazione secondo cui la sentenza impugnata aveva obliterato l’esito della perizia COGNOME, obiettando che la Corte di appello, pur dando atto che la specifica dinamica del fatto non aveva formato oggetto della perizia, l’aveva precipuamente valutata per trarne argomenti idonei a sconfessare la tesi dell’agguato mortale condotto a bordo di una motrice e per negare che, pur attraverso una lettura aggiornata alle fonti di prova evocate nel giudizio di revisione, fosse risultata dimostrata l’inesistenza della manovra, per le ricadute che ciò avrebbe potuto produrre sull’attendibilità di COGNOME, risultata non intaccata.
Si è aggiunto nella sentenza impugnata che la Corte di appello si era anche soffermata sulle dichiarazioni del funzionario di polizia, AVV_NOTAIOssa COGNOME osservando che la stessa non aveva assistito ai fatti, ma era arrivata sul luogo solo dopo la sparatoria e aveva ricostruito la vicenda nella prima fase, sulla base dei soli dati presenti e accertati al momento dei fatti, elementi che avevano dato luogo anche alla ricostruzione e al filmato della RAI, illustrativo della vicenda sulla base delle prime indagini, senza che fossero praticati altri accertamenti dopo questi primi rilievi.
Anche alla stregua di queste considerazioni, la Corte di legittimità prendendo in esame il motivo VI dell’atto di impugnazione dall’AVV_NOTAIO, in cui si era rimarcato il vizio consistito nella manchevole ricognizione del materiale probatorio (con riferimento alla perizia COGNOME), nel travisamento di alcune evidenze (la testimonianza della AVV_NOTAIOssa COGNOME e il filmato RAI) e nell’obliterazione di altre fonti (in particolare, le sentenze assolutorie COGNOME e COGNOME), con effetti rilevanti in punti di omessa constatazione dell’evenienza del ragionevole dubbio – ha sottolineato di non aver riscontrato, in ordine a quanto aveva dedotto il ricorrente, prove ignorate, travisate o espunte, né errori giuridici decisivi ai fini della decisione del giudizio di revisione.
È stato, viceversa, ribadito che le prove addotte e ritenute ammissibili erano state valutate dalla Corte di appello, con esito negativo del relativo giudizio, ritenuto sorretto da argomentazioni coerenti con il principio che impone che la pronuncia di condanna, ove mantenuta in sede di revisione, deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità penale, stante il motivato rilievo dell’inidoneità delle prove nuove rispetto all’obiettivo di inficiare il quadro logi
valutativo già esposto e la persistente capacità delle prove preesistenti, aventi carattere autonomo, di sorreggere l’affermazione di responsabilità.
5.3. Contrariamente alle deduzioni del ricorrente, il Collegio ritiene, dopo l’esame della risposta data nella sentenza di legittimità alla doglianza, che il motivo V dell’atto di impugnazione dell’AVV_NOTAIO sia stato preso in compiuta considerazione dalla Corte di cassazione.
La motivazione della sentenza di legittimità qui impugnata ha spiegato, con precisi argomenti e non con semplici clausole di stile, le ragioni per le quali la complessiva censura non andava condivisa, essendo stata, la stessa, ritenuta con valutazione che in questa sede non è in alcun modo censurabile – minata dalla natura rivalutativa degli argomenti addotti, dalla sua sostanziale inidoneità a contrastare l’approdo della Corte territoriale della carenza di dimostrazione dell’inesistenza della suindicata manovra difensiva della vittima, conducente del Tir, e dalla constatazione che neanche la ponderazione dei dati scaturenti dalla perizia COGNOME e dalla ricostruzione curata dalla AVV_NOTAIOssa COGNOME fosse risultata viziata in guisa da scardinare le conclusioni raggiunte con la sentenza di merito in quella sede impugnata.
5.4. Del pari, con riferimento all’analisi del motivo VI dell’atto impugnazione dell’AVV_NOTAIO, la conclusione di insussistenza di travisamenti e omissioni valutative dedotte dal ricorrente, in ordine al quadro probatorio riferito al novum pure individuato dalla Corte di appello nel terzo giudizio di revisione, la risposta dai giudici di legittimità – che ha compendiato, riprendendole coerentemente, anche le considerazioni già svolte in merito al contenuto e alla portata della perizia COGNOME e all’opera ricostruttiva realizzata sulla base dell’esito delle prime indagini, dalla AVV_NOTAIO COGNOME, che aveva formato oggetto del filmato realizzato dalla RAGIONE_SOCIALE – ha concretato l’esito, non di un’omissione o di un fraintendimento di natura percettiva, bensì di una ponderazione di marca valutativa – la cui portata e congruenza (va ancora una volta precisato) esula dall’oggetto del presente vaglio – riferita precisamente agli elementi del compendio istruttorio addotti come travisati od obliterati.
La difesa, nella sua ampia e articolata prospettazione, ha fornito una serie di indicatori logico-giuridici che, posti dal suo angolo visuale in connessione con gli elementi di prova oggetto di verifica nella sede di revisione, avrebbero dovuto imporre ai giudici della revisione di ritenere esclusa la stessa possibilità dell manovra evasiva messa in essere dal conducente del Tir, con ogni conseguente effetto sulla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni di NOME COGNOME, sino a qualificare l’incensurabilità ritenuta nella susseguente sede di legittimità della conferma da parte della Corte territoriale della compatibilità dell’esistenza di quella manovra, anche nel quadro probatorio rinnovato, come l’erronea
percezione in punto di fatto del complesso di critiche mosse con il motivo di ricorso per la sua mancata lettura.
E, però, l’analisi della motivazione della decisione di legittimità, che ha dato conto di avere compiutamente esaminato e delibato questa come le altre doglianze e di avere alfine espresso la conclusione difforme da quella preconizzata dalla difesa di NOME, rende conseguente ritenere che la Corte di legittimità non sia incorsa in errore di fatto per omessa lettura e comprensione del motivo, bensì abbia compiuto in modo pienamente informato il vaglio delibativo dei dedotti profili del compendio storico-fattuale, per poi determinarsi a disattendere la prospettazione del ricorrente.
Orbene, le deduzioni del ricorrente hanno conclusivamente criticato tale vaglio con argomenti che non possono essere ritenuti fondati, in quanto essi, esaminati funditus, non enucleano effettivi errori materiali o di fatto della decisione impugnata, ma risultano nutriti, a loro volta, da opzioni valutative che, solo con non consentite torsioni dialettiche, sono proposte come afferenti al piano percettivo.
Anche il secondo motivo di ricorso va, nel suo complesso, respinto.
Per ciò che concerne il terzo motivo di ricorso, in cui si è coltivata l deduzione dell’errore di fatto per omissione, in relazione al motivo III del ricorso per cassazione redatto dall’AVV_NOTAIO, si rileva che, nella sentenza impugnata, la Corte di cassazione – dopo aver sintetizzato la doglianza in parte narrativa, riferendola alla deduzione di violazione del criterio di giudizio fissa dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. nella valutazione della confessione stragiudiziale di COGNOME, come raccolta da NOME COGNOME e da questi riferita agli inquirenti, con il susseguente richiamo, in via sintetica, di tutte le notazio sviluppate dal ricorrente – ne ha, in motivazione, ritenuto la genericità.
6.1. A sostegno di questa affermazione, che ha collocato la doglianza al di fuori dell’area di ammissibile delibazione, si è evidenziato da parte dei giudici di legittimità che il motivo è risultato finalizzato, peraltro attrave un’inammissibile parcellizzazione della prova, a ridiscutere le valutazioni di merito, già espresse conformemente dalle precedenti sentenze e condivise dalla sentenza della Corte di appello oggetto di impugnazione, in ordine all’affermata attendibilità di COGNOME e all’esistenza di plurimi riscontri alle sue propalazioni merito alla confessione ricevuta da NOME, riscontri specificamente vagliati nei precedenti giudizi.
Si è ribadito anche in tale snodo che la Corte di appello aveva correttamente escluso che le prove nuove introdotte nel giudizio di revisione potessero incidere, con valenza dirimente, su tali profili.
La Corte di cassazione, in immediata consecutio, ha ulteriormente considerato che – con specifico riguardo al valore di riscontro alla chiamata di COGNOME costituito dalle dichiarazioni di COGNOME, su cui il ricorrente aveva insistito perché esso avrebbe potuto essere inciso dalle ricadute provenienti dalla circostanza dell’esatta collocazione temporale dell’informazione ricevuta da COGNOME, dopo il delitto – tale elemento era stato oggetto di specifico vaglio nel corso del secondo giudizio di revisione, in cui si era sottolineato come l’elemento nuovo apportato in quella sede non fosse suscettibile di infirmare irrimediabilmente la tenuta del ragionamento probatorio che aveva condotto alla condanna irrevocabile, in quanto, anche eliminando l’idoneità di quell’elemento a fungere da riscontro, la chiamata in reità di COGNOME, che aveva veicolato la confessione stragiudiziale, peraltro circostanziata, di COGNOME, aveva trovato ulteriori e adeguati riscontri di natura logica.
Nella sentenza oggetto della presente valutazione, si è anche ricordato che la Corte di appello di Perugia aveva specificamente argomentato in merito all’incongruenza delle asserite ragioni del mendacio calunniatorio da parte di NOME, sicché il tentativo di rimettere in discussione il punto, ancora una volta in questa sede, andava reputato del tutto inammissibile, alla stregua dell’impostazione giuridica chiarita in premessa.
6.2. La risposta data dalla Corte di legittimità, anche in questo snodo, non si profila essere il risultato della mancata lettura del motivo di impugnazione, come ha sostenuto la difesa, ma costituisce l’esito della valutazione delle articolazioni argomentative svolte nella doglianza, che sono state ritenute versate nel merito, oltre che, nei sensi succitati, riferite a profili già trattati e definiti nei pre giudizi, con valutazioni reputate non assoggettabili a nuovo scrutinio, dopo che la Corte di appello aveva concluso, con giudizio valutato come corretto, nel senso dell’inadeguatezza delle nuove prove introdotte nel giudizio di revisione.
Avendo, fra l’altro, i giudici di legittimità (anche nei passi ulteriori risp alle sette righe considerate dalla difesa in questa impugnazione) discorso della chiamata di COGNOME e del vaglio inerente alla problematica del riscontro alla stessa, considerando la questione esaustivamente trattata e definita nel secondo giudizio di revisione, con richiamo dei corrispondenti argomenti, inerenti all’idoneità della valenza probatoria delle dichiarazioni del suddetto COGNOME, siccome sorrette da riscontri autonomi rispetto alle dichiarazioni di COGNOME, nonché segnalando come adeguatamente definito nel precedente giudizio il tema delle ragioni del mendacio calunniatorio ascritto a COGNOME, appare innegabile ritenere che, con riferimento al complessivo vaglio del motivo III di quell’atto d impugnazione, la sentenza impugnata abbia fornito una motivazione radicata su base eminentemente valutativa – come tale, non ascrivibile a un errore
percettivo – della ritenuta genericità del motivo.
Pure con riferimento all’impostazione difensiva che sorregge questo motivo di ricorso straordinario, la prospettazione di mancata lettura da parte dei giudici di legittimità del contenuto del motivo III non afferisce, quindi, a un fatt processuale dimostrato, ma si profila costituire il veicolo argomentativo per riproporre in questa sede le censure già dirette avverso la sentenza della Corte di appello di rigetto dell’istanza di revisione e disattese – dopo essere state colte e valutate – dai giudici di legittimità nei sensi indicati.
Nemmeno il terzo e ultimo motivo può essere, quindi, accolto.
Discende da tali considerazioni il rigetto del ricorso.
Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19 giugno 2024
Il Consigl e estensore
Il Presidente