Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26903 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26903 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARCELLONA POZZO DI GOTTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/05/2023 della CORTE DI CASSAZRAGIONE_SOCIALE di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente per le parti civili RAGRAGIONE_SOCIALE_SOCIALE e RAGRAGIONE_SOCIALE_SOCIALE, che hanno chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso o, in via subordinata, il rigetto dello stesso, depositando nota spese; udito l’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, nell’interesse del ricorrente, che si è riportato ai motivi di ricorso e ha insistito per l’accoglimento dello stesso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza n. 45332, emessa il 16 maggio 2023, la Corte di cassazione, Prima sezione penale, per quanto qui di interesse, rigettava il ricorso proposto per conto di NOME COGNOME, avverso la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 6 ottobre 2021, che in sede rescissoria – a seguito di
annullamento con rinvio disposto con sentenza n. 21234 del 2017 di questa Corte di cassazione, Quinta Sezione – ne aveva confermato la responsabilità penale per il delitto di partecipazione all’associazione mafiosa della ‘famiglia RAGRAGIONE_SOCIALE_SOCIALE‘, operante sul versante tirrenico della provincia di Messina.
Avverso la decisione della Corte di cassazione n. 45332 propone ora ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. COGNOME, a mezzo del difensore avvocato NOME COGNOME, munito di procura speciale.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di unico motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il ricorrente, dopo avere definito l’ambito del giudizio, conseguente ad errore di natura percettiva, e dopo avere ricapitolato l’orientamento giurisprudenziale in tema di partecipazione all’associazione di stampo mafioso, evidenzia come la Corte di cassazione sia incorsa in tale errore in relazione alle «fonti dichiarative, dal cui contenuto è stata erroneamente enucleata la condotta di partecipazione all’organismo associativo dal 1993 al 2000».
In sostanza, il ricorrente in relazione a ciascuno dei collaboratori di giustizia, le cui dichiarazioni sono state oggetto del giudizio di legittimità, richiama gli ‘error nei quali sarebbe incorsa la Corte di cassazione: per le dichiarazioni di COGNOME lamenta l’errore dell’avere attribuito a COGNOME il ruolo di uomo di COGNOME, quindi un clan diverso da quello oggetto dell’imputazione, dal che il contributo non convergente del dichiarante rispetto alle altre emergenze; per COGNOME, l’«errore in punto di fatto» risulterebbe dalla circostanza che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto in conto che l’imputato era detenuto nel momento in cui avrebbe dovuto favorire il fratello, candidato alle elezioni amministrative; per Siracusa, dopo averne ricapitolato le dichiarazioni, l’errore commesso dalla Corte di cassazione risulterebbe quello di avere ritenuto che l’inesistenza di un tipo di auto, non ancora in produzione al momento in cui sarebbe stata utilizzata in occasione di un summit mafioso, non sia tale da «inficiare di certo l’attendibilità dell’intero racconto del collaboratore»; per COGNOME, la Corte di cassazione sarebbe incorsa nell’errore di non aver sciolto il dubbio della maggiore attendibilità dei dichiaranti COGNOME e COGNOME ovvero di COGNOME; per COGNOME NOME e COGNOME NOME, che contrastano quanto al coinvolgimento dell’imputato nelle attività estorsive, l’errore sarebbe consistito nel collocare le dichiarazioni del primo fuori del «perimetro imputativo», mentre per il secondo sarebbe conseguente al contrasto fra le dichiarazioni di COGNOME e quelle di COGNOME e COGNOME; per COGNOME NOME, che rendeva dichiarazioni dinanzi alla Corte di appello di Messina, che
avevano condotto al primo annullamento della Corte di cassazione, in sede di rinvio erano rese dinanzi alla Corte di appello di Reggio Calabria ulteriori tardive dichiarazioni, che de relato risultavano fuori perimetro rispetto alla cronologia della contestazione, oltre che riscontrate solo dalla stessa dichiarazione del COGNOME, in modo non consentito, in ordine alla conoscenza da parte di COGNOME del rifugio di NOME COGNOME; inoltre, quanto al coinvolgimento di COGNOME nella morte dell’urologo COGNOME, che per COGNOME sarebbe stato ucciso dai servizi segreti dopo avere curato NOME COGNOME, la sentenza ora impugnata risulterebbe essere affetta da errore determinato dall’aver mal interpretato la censura proposta, che non riguardava la tardività delle dichiarazioni di COGNOME sul punto, rispetto al termine di 180 giorni, bensì il contrasto fra quanto riferito alla Corte peloritana rispetto a quanto riferito poi a quella reggina, dopo aver nella prima occasione escluso di avere contezza di altro riguardo all’imputato.
Le parti tutte hanno concluso oralmente come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Va premesso il costante insegnamento di questa Corte, per il quale l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’ar 625-bis c.p.p. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco, in cui il giudice di legittimità sia incorso nella lettura degli atti intern giudizio stesso e sia connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, che sia stato viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali e che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso (Sez. Un., n. 16103 del 27 marzo 2002, Basile P, Rv. 221280).
Ed in tal senso si è altresì precisato che, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis c.p.p. (Sez. Un. n. 37505 del 14 luglio 2011, Corsini, Rv. 250527). Infatti, il rimedio di cui all’art. 625-bis c.p.p., può essere proposto solo nel caso d errore materiale o di fatto, e non per errore di diritto (Sez. 5, Sentenza n. 21939 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 273062).
2. Nel caso in esame, tutte le doglianze mosse con l’attuale mezzo di impugnazione risultano volte a sollecitare rivalutazioni, contestare valutazioni operate dalla Corte di cassazione, riproporre motivi che già erano oggetto di ricorso in cassazione: in sostanza non si verte in tema di errore percettivo bensì di errori di diritto o di doglianze relative a vizi di motivazione, come tali non consentiti dall’attuale rimedio.
Pertanto, per gli indicati principi, deve evidenziarsi c:ome il ricorso sia inammissibile e ciò anche in relazione all’ultima censura, quella che lamenta almeno nella prospettazione un errore percettivo da parte della Corte di cassazione, avendo eluso il motivo con il quale si lamentava la contraddittorietà fra le prime dichiarazioni di COGNOME rese alla Corte di Messina e quelle poi rese alla Corte di Reggio Calabria.
A ben vedere, la Corte di cassazione chiarisce come la censura relativa alle dichiarazioni di COGNOME sia generica e soprattutto sia -cfr. punti 9 e ss.- aspecifica in quanto il ricorrente non evidenziava quale fosse la portata destrutturante del venir meno del portato di tale fonte di prova, che veniva indicata come «ulteriore» conferma della partecipazione di COGNOME al sodalizio, dunque un elemento aggiuntivo rispetto a un quadro probatorio ben più ampio (cfr. punto 10.1).
In sostanza la Corte di cassazione, con la sentenza ora impugnata, non dimentica il motivo di ricorso sulle dichiarazioni di COGNOME la cui valutazione include comunque il tema della attendibilità e della incostanza delle relative affermazioni, censura che è sostanzialmente valutata nel percorso argomentativo della Corte di cassazione, non essendo consentite – osserva la sentenza impugnata – valutazioni di merito del contenuto in sede di legittimità (cfr. punto 10.2.).
A fronte di tale complessiva genericità e aspecificità delle doglianze secondo la Corte di cassazione, anche in tal sede il presente motivo di ricorso, in generale e a maggior ragione per le dichiarazioni di COGNOME, non chiarisce quale sia la decisività dell’errore – e dei singoli errori – asseritamente commessi dalla Corte di cassazione.
A ben vedere, questo Collegio condivide il consolidato principio per cui «in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, non è declucibile la mancata disamina di doglianze non decisive o che devono essere considerate implicitamente disattese perché incompatibili con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la “ratio decidendi” della sentenza, sicché è onere del ricorrente dimostrare che i motivi non esaminati fossero, invece, decisivi, e che il loro omesso scrutinio sia dipeso da un errore di percezione (fattispecie in cui il condannato, nel dolersi dell’omesso scrutinio da parte della Corte di cassazione del motivo di ricorso relativo alla mancata rinnovazione del suo esame dibattimentale, a seguito
della mutata composizione del collegio giudicante, non aveva indicato i motivi per cui quell’incombente istruttorio dovesse ritenersi decisivo)» (cfr. Sez. 1, n. 391 del 09/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285553 – 01; mass. conf.: N. 53657 del 2016 Rv. 268982 – 01, N. 46044 del 2004 Rv. 230584 – 01, N. 20520 del 2007 Rv. 236731 -01, N. 16287 del 2015 Rv. 263113 -01, N. :34156 del 2004 Rv. 229099 – 01).
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Il ricorrente va anche condannato alla rifusione delle spese di costituzione e giudizio in favore delle parti civili intervenute, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGRAGIONE_SOCIALE_SOCIALE, che liquida in complessivi euro duemila, oltre accessori di legge, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Comune di Mazzarra’ Sant’Andrea, che liquida in complessivi euro quattromila, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, 29/02/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente