Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 10884 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 10884 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/12/2022 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto annullarsi la sentenza impugnata;
lette le conclusioni in replica dell’AVV_NOTAIO COGNOME, nell’interesse del ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso in ordine a ogni doglianza.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza n. 15394, emessa il 12 dicembre 2022 e depositata in data 12 aprile 2023, la Corte di cassazione, Prima sezione penale, per quanto qui di interesse, annullava quella della Corte di assise di appello di Bari, ritenendo fondati i motivi quarto e quinto del ricorso proposto da NOME COGNOME, in ordine ai delitti di omicidio pluriaggravato in danno di NOME COGNOME e di porto e detenzione di armi aggravati, nonché di furto in concorso, fatti contestati ai capi 1), 2) e 4), mentre invece non annullava la sentenza in ordine alla responsabilità
del COGNOME per il capo 3), relativo ad una rapina aggravata in concorso, disponendo l’annullamento solo in merito al trattamento sanzionatorio.
La Corte di cassazione, in particolare, riteneva fondate le doglianze in ordine al governo delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia NOME, che aveva accusato COGNOME dell’omicidio, del quale si autoaccusava, come anche del furto dell’auto Fiat Brava e della rapina dell’auto BMW, utilizzata per un precedente attentato sempre in danno di NOME: in sostanza non erano stati individuati degli effettivi riscontri individualizzanti alle accuse di COGNOME, né tali potevano ritenersi le dichiarazioni di altro dichiarante, NOME.
La Corte di legittimità, invece, rilevava come difettassero motivi di censura quanto alla responsabilità penale di COGNOME in ordine al capo 3), cosicché accoglieva il solo ottavo motivo relativo al trattamento sanzionatorio, dichiarando irrevocabile la sentenza in ordine alla responsabilità penale.
Avverso tale decisione della Corte di cassazione propone ora ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. l’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, procuratore speciale di COGNOME.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di COGNOME consta di unico motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il ricorrente, dopo avere riportati il quarto e quinto motivo dell’originario ricorso, si duole della circostanza che la Corte di cassazione abbia ritenuto, cadendo in errore percettivo, non sussistenti i motivi quanto alla responsabilità penale per il delitto di rapina sub capo 3).
I motivi dell’originario ricorso per cassazione riguardavano sia i delitti per i quali era intervenuto l’annullamento, sia anche il delitto di rapina dell’autovettura BMW, per cui la Corte di legittimità a fronte del medesimo e omogeneo materiale probatorio, avrebbe erroneamente ritenuto l’insussistenza di motivi quanto al delitto di rapina.
Il ricorso è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell’art. 11, comma 7, del d.l. 30 dicembre 2023, n. 215.
Le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va premesso il costante insegnamento di questa Corte, per il quale l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’ar 625-bis c.p.p. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui il giudice di legittimità sia incorso nella lettura degli atti interni giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso (Sez. Un., n. 16103 del 27 marzo 2002, Basile P, Rv. 221280).
Ed in tal senso si è altresì precisato che, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis c.p.p. (Sez. Un., n. 37505 del 14 luglio 2011, Corsini, Rv. 250527). Infatti, il rimedio di cui all’art. 625-bis c.p.p., può essere proposto solo nel caso di errore materiale o di fatto, e non per errore di diritto (Sez. 5, Sentenza n. 21939 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 273062).
A ben vedere nel caso in esame la Corte di cassazione ha ritenuto al punto 3 della sentenza (fol. 13) che quanto al capo 3), relativo alla rapina dell’autovettura BMW intervenuta il 12 dicembre 2013, che sarebbe poi stata utilizzata per l’attentato ai danni del NOME il successivo giorno 19, vi fosse assenza dei motivi sulla responsabilità.
Invero, i motivi quarto e quinto del ricorso per cassazione riportati nell’attuale ricorso straordinario, evidenziano come nell’ambito della complessiva valutazione di assenza della forza di riscontro individualizzante delle dichiarazioni di NOME rispetto a quelle di NOME, la censura sia rivolta a tutti i capi di imputazione ed in particolare anche al capo 3). Il ricorrente con il quarto motivo ripercorreva la motivazione della Corte di assise di appello di Bari che fondava sulle dichiarazioni del NOME a riscontro anche in ordine alla preparazione dell’omicidio (con la rapina dell’auto Bmw, cfr. fol. 3 lett. b e fol. 4 punto 3) del presente ricorso).
D’altro canto, il quarto motivo effettuava un esplicito riferimento al delitto di rapina, in relazione al quale, affermava il ricorrente in cassazione, le dichiarazioni
di COGNOME non erano accompagnate da riscontri individualizzanti, anche in relazione alle attività prodromiche all’omicidio, come appunto la rapina dell’auto BMW, il furto di altra auto, l’acquisto dell’arma (cfr. fol. 5 in alto del presente ricorso).
Anche il quinto motivo conteneva profili di censura riguardanti il capo 3) dell’imputazione: il vizio di motivazione veniva prospettato come relativo alle plurime ragioni indicati nell’atto di appello e alla mancanza di riscontri individualizzanti in relazione «a tutti i capi di imputazione» e fra i motivi di appello, riprodotti nell’originario ricorso ve ne era uno specificamente dedicato alla rapina (vedi punto 6, fol. 10 del presente ricorso), mentre nei motivi aggiunti in appello si ribadiva ulteriormente la natura solo di chiama in reità (e non in correità) di COGNOME per il capo 3 (fol. 12 del presente ricorso), come anche l’originario ricorso si doleva del ragionamento manifestamente illogico della Corte di appello di Bari che disarticolava l’intero impianto motivazionale per tutti i capi di imputazione, anche con specifico riferimento a quelli relativi alla rapina e al furto delle autovetture (foll. 17 e 18 del presente ricorso).
4. Se, dunque, non può ritenersi che il ricorso originario avesse pretermesso un riferimento alla responsabilità penale in ordine al delitto di rapina, va in primo luogo evidenziato che la sentenza ora impugnata, nel ricapitolare i motivi di ricorso al paragrafo 5.4 e 5.5, esplicitamente si riferisce alla fase preparatoria (relativa anche alla rapina dell’auto Bmw) e, nel paragrafo da ultimo richiamato, anche al capo 3) dell’imputazione. In sostanza, la Corte di cassazione ha colto l’esistenza di una censura a riguardo, tanto da ‘registrarla’ nel riepilogo dei motivi di ricorso. Pertanto, nessun errore percettivo è intervenuto in relazione alla individuazione dei motivi, fedelmente riportati in sentenza.
5. Va, inoltre, evidenziato come, in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, l’errore che può essere rilevato ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. è solo quello decisivo, che abbia condotto ad una pronunzia diversa da quella che sarebbe stata adottata se esso non si fosse verificato (Sez. 6, n. 14296 del 20 marzo 2014, Apicella, Rv. 259503, in una fattispecie relativa a una pronuncia d’inammissibilità del ricorso proposto avverso condanna per ricettazione delle targhe di un’autovettura, nella quale la Corte ha ritenuto irrilevante l’erronea indicazione del ricorrente quale intestatario di una polizza assicurativa rinvenuta sul veicolo, poiché la sostanziale riferibilità della polizza e dell’autovettura all’imputato risultava da circostanze ulteriori, debitamente considerate nella decisione impugnata).
Principio questo di cui deve tenersi conto anche qualora l’errore di fatto denunciato riguardi l’omesso esame di un motivo dell’originario ricorso per cassazione giacché, anche in questo caso, è necessario che l’omissione abbia influito sulla decisione finale, nel senso che l’errore non può essere considerato decisivo quando quest’ultima non avrebbe comunque potuto essere diversa da quella adottata (Sez. 1, n. 15422 del 10 febbraio 2010, Cillari, Rv. 247236).
A ben vedere, nel caso in esame il ricorso originario non si confrontava con la motivazione della sentenza della Corte di assise di appello che ai foll. 32 e ss. individuava gli elementi di riscontro al narrato dei due collaboratori di giustizia, anche di carattere logico, oltre che fattuale (in ordine, ad esempio, alla sostituzione delle targhe e al furto delle stesse), in relazione al delitto sub capo 3): diversamente si confrontava in modo specifico, in relazione all’omicidio, con i riscontri che venivano elencati ai foll. 39 e ss. della sentenza di secondo grado, e costituivano oggetto di una mirata censura.
Ciò determinava anche la Corte di cassazione, in sentenza al fol. 11, alla puntuale analisi dell’elenco di ben cinque elementi di riscontro, fra i quali anche quello relativo alla partecipazione diretta di COGNOME, unitamente a COGNOME e COGNOME, alla rapina dell’autovettura BMW per il successivo tentativo di attentato. Tale riscontro in sé viene ritenuto sussistente dalla sentenza ora impugnata, pur se non rilevante per confermare la dichiarazione del collaboratore per il successivo omicidio, in quanto il delitto fu commesso con auto diverse dalla BMW. Infatti, la Corte di cassazione ha ritenuto che non potesse costituire riscontro individualizzante per l’omicidio del 15 febbraio 2014, «la partecipazione di COGNOME alla rapina dell’autovettura BMW utilizzata per il precedente attentato del 19 dicembre 2013, non potendo istaurarsi, tra i due episodi, un nesso di derivazione necessaria, atteso che l’azione omicida del commando, come già detto, venne attuata a bordo di due autovetture diverse dalla BMW» (cfr. ultimo capoverso del fol. 11).
Appare evidente che la Corte di legittimità abbia ritenuto sussistente la responsabilità di COGNOME quanto all’omicidio, non risultando scalfita la sentenza di secondo grado dall’originario ricorso in cassazione, che proponeva un motivo generico: si limitava a denunciare l’assenza di convergenza fra le dichiarazioni e l’inaffidabilità delle stesse, facendo riferimento con specificità all’omicidio, non anche esaminando gli elementi di riscontro logico e fattuale, pure rinvenuti, alla narrazione dei collaboratori di giustizia quanto alla antecedente rapina dell’auto Bmw.
Ne consegue, che la Corte di cassazione per un verso non è incorsa in un errore di percezione, avendo seppur implicitamente ritenuto comprovato l’episodio della rapina della BMW, tanto da riportarlo al par. 2.2.3. lett. d).
Per altro verso, proprio l’esistenza di tali consistenti elementi di riscontro logico e fattuale rendono infondato l’attuale ricorso, che non palesa la decisività dell’omessa valutazione dei motivi in ordine al delitto di rapina, in vero solo formalmente formulati con l’originario ricorso, ma privi di specificità per quanto evidenziato: a ben vedere esula dal ricorso straordinario ogni sindacato di legittimità, per mancanza di motivazione, sulla sentenza irrevocabile della Cassazione (Sez. 1, n. 46981 del 6 novembre 2013, COGNOME e altri, Rv. 257346).
D’altro canto, in tema di ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, l’omessa motivazione in ordine ad uno o più motivi di ricorso per cassazione non dà luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen., allorché il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso, ovvero qualora l’omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite dall’esame di altro motivo preso in considerazione, o, ancora, quando l’omesso esame del motivo non risulti decisivo, in quanto da esso non discenda, secondo un rapporto di derivazione causale necessaria, una decisione incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata se il motivo fosse stato considerato; in tale ultima ipotesi, è onere del ricorrente dimostrare che la doglianza non riprodotta era, contro la regola di cui all’art.173 disp. att. cod. proc. pen., decisiva e che il suo omesso esame è conseguenza di un sicuro errore di percezione (Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, COGNOME, Rv. 268982 – 01).
Tutto ciò risulta verificarsi nel caso in esame, non avendo per altro il ricorrente dimostrato la decisività della censura formulata, comunque recepita nel riepilogo dei motivi e implicitamente disattesa, cosicché l’espressione al par. 3 della sentenza impugnata che riferisce dell’assenza di motivi sulla responsabilità per il delitto di rapina, va intesa come riferita comunque alla aspecificità degli stessi, e al più potrebbe integrare un vizio di motivazione, non più rilevabile in questa Sede in quanto errore valutativo.
Ne consegue il rigetto del ricorso con l’addebito delle spese processuali al ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso in Roma, 09/01/2024 Il Consigliere estensore
Il President