Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 35027 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 35027 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CAGLIARI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/04/2025 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG NOME PICUTI.
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RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13 dicembre 2023 la Corte di appello di Cagliari – per quanto di specifico interesse in questa sede – aveva confermato la decisione del G.U.P. del locale Tribunale del 25 gennaio 2022 con cui COGNOME NOME era stato condannato alla pena di anni otto, mesi otto di reclusione ed euro 40.000,00 di multa in ordine a due ipotesi di reato ex artt. 110 cod. pen., 73, comma 1, e 80, comma 2, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
1.1. Con successiva sentenza del 9 aprile 2025 la Terza Sezione di questa Corte ha annullato con rinvio la suddetta sentenza nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente al punto concernente la confisca, nel resto rigettando il ricorso da lui proposto.
Nella specie, in particolare, è stata ritenuta infondata – tra le altre – un doglianza con cui il ricorrente aveva dedotto inosservanza dell’art. 599-bis cod. proc. pen. e vizio di motivazione per il fatto che, nel giudizio di appello, la Cort territoriale aveva ritenuto incongrua, e perciò rigettato, una proposta di concordato in appello avente ad oggetto una pena di anni cinque, mesi dieci di reclusione ed euro 26.000,00 di multa, laddove, invece, la proposta formulata dalle parti prevedeva l’applicazione di una pena pari ad anni sei, mesi sei di reclusione ed euro 30.000,00 di multa.
La Terza Sezione ha, in particolare, ritenuto infondata l’indicata censura osservando come, pur effettivamente ravvisandosi un errore nell’entità della pena finale indicata, il rigetto della richiesta di concordato fosse stat pronunciato dalla Corte di merito non in ragione dell’entità della pena da applicarsi, ma sul fatto che le parti avevano proposto di escludere l’aggravante di cui all’art. 80 D.P.R. n. 309 del 1990 contrariamente a quanto ritenuto congruo da parte della stessa Corte territoriale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso straordinario per cassazione COGNOME NOME, a mezzo dei suoi difensori, che, dopo avere esposto la vicenda processuale e le ragioni di rigetto del motivo di doglianza concernente il mancato accoglimento della proposta di concordato in appello, ha invocato un intervento urgente da parte di questa Corte affinché la decisione di rigetto pronunciata dalla Terza Sezione venga tempestivamente revocata, altrimenti determinandosi la definitività e l’esecuzione della pena inflitta nei suoi confronti.
Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, con cui ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile.
Il Collegio rileva, in primo luogo, come il ricorso straordinario per cassazione proposto da COGNOME NOME sia del tutto generico e aspecifico, non puntualizzando le ragioni di doglianza in fatto e in diritto e non confrontandosi in modo adeguato con le argomentazioni espresse dalla sentenza impugnata.
In ogni modo, a prescindere dalla decisività dell’indicato aspetto, deve essere ribadito come la norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen. preveda l’esperibilità del ricorso straordinario avverso provvedimenti della Corte di Cassazione sia per errore materiale che per errore di fatto, riconducendo, pertanto, sotto un unico istituto situazioni profondamente differenti per la natura del rimedio messo a disposizione, per il tipo di vizio che legittima la proposizione del ricorso, nonché per le conseguenze che discendono dall’eliminazione dell’errore, sia sul piano sostanziale che su quello processuale. Può ben affermarsi, quindi, che il legislatore ha impropriamente accomunato, nella nuova figura, realtà processuali eterogenee e che la configurazione del nuovo istituto come mezzo di impugnazione extra ordinem è appropriata solo con riferimento all’errore di fatto, e non già anche per quello materiale.
Le due ipotesi di errore vengono individuate, rispettivamente: nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica (errore materiale); in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene perce in modo difforme da quello effettivo (errore di fatto). Sono, pertanto, estranei all’area dell’errore di fatto – e come tali inoppugnabili – gli errori di valutazion di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali (così, espressamente, Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, COGNOME, Rv. 273193-01).
In altri termini, l’errore di fatto, a differenza di quello materiale, attiene alla manifestazione grafica del provvedimento, ma inerisce in modo diretto al processo formativo della volontà del giudice, determinandola in una certa direzione anziché in un’altra, perciò influendo sul contenuto della decisione,
che, senza quell’errore, sarebbe stata diversa. L’errore di fatto, cio carattere della decisività, in quanto determinante nella scelta della sol accolta nel provvedimento adottato dalla Corte. Sul piano logico, si tratta errore di percezione, di una svista o di un mero equivoco, e non di un error valutazione o di giudizio sul fatto che il giudice di legittimità è chiam esaminare per definire i motivi di ricorso.
Tali caratteri distintivi contribuiscono a fare coincidere l’errore pr dall’ad. 625-bis cod. proc. pen. con l’errore di fatto revocatorio di cui 391-bis cod. proc. civ., che, attraverso il rinvio all’art. 395, n. 4, cod. ne delimita con precisione l’ambito, chiarendo che ricorre l’errore di risultante dagli atti o documenti della causa “quando la decisione è fondata supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa op quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positiva stabilita”. Ne consegue che l’errore di fatto indicato dall’ad. 625-bis cod pen. è di tipo meramente percettivo e che ad esso è estraneo qualsiasi pro attinente alla valutazione agli atti del processo, nel senso che non consiste errore di giudizio vedente sul fatto esaminato e non correttamente interpre dal giudice di legittimità (così, tra le tante: Sez. 3, n. 23964 del 26/0 Morello, Rv. 263646-01).
In questa prospettiva interpretativa si è mossa la giurisprudenza di qu Corte di legittimità, che ha assunto quale parametro di riferimento la nozion errore di fatto posta dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., cui, nel corso preparatori relativi all’approvazione del testo dell’ad. 625-bis cod. proc era stato fatto esplicito richiamo attraverso un emendamento poi ritirat stato, infatti, chiarito che il modello dell’errore di fatto che legittima straordinario è del tutto affine all’errore revocatorio di cui all’ad. 391proc. civ., ed è riconoscibile dalla circostanza che la decisione è fondata supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa o supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, rispondenza col motivo di revocazione prefigurato dall’ad. 395, n. 4, cod. p civ. (cfr., in questi termini, Sez. F, n. 42794 del 07/09/2001, Schiavone 220181-01).
Una simile impostazione è stata, tra l’altro, condivisa dalle Sezioni U che nella sentenza Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280-01 hanno stabilito, dopo avere riconosciuto che l’art. 625-bis cod. proc. pen. è modellato sull’analoga disciplina contenuta nell’art. 391-bis cod. proc. civ l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità, oggetto del rimedio dall’art. 625-bis cod. proc. pen., consiste in un errore percettivo causato svista o da un equivoco in cui la Corte di Cassazione sia incorsa nella le
degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata su processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso.
Orbene, chiariti in tal maniera i parametri esegetici alla stregua dei quali valutare l’errore di fatto di rilievo ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. p risulta, in tutta evidenza, come nel caso di specie non sia dato ravvisare la ricorrenza di tale errore e come, conseguentemente, siano da qualificare le doglianze espresse dal ricorrente in termini di manifesta infondatezza.
Nel ricorso straordinario proposto dal COGNOME, infatti, è stata ritenuta la sussistenza di un presunto errore fattuale presente nella sentenza impugnata riguardante uno specifico aspetto – e cioè la circostanza che la Corte di appello avesse rigettato, in quanto ritenuta incongrua, una proposta di concordato in appello avente ad oggetto una pena di anni cinque, mesi dieci di reclusione ed euro 26.000,00 di multa, laddove, invece, la proposta formulata dalle parti prevedeva l’applicazione di una pena pari ad anni sei, mesi sei di reclusione ed euro 30.000,00 di multa – invece diffusamente vagliato nell’ambito di una pronuncia connotata da una motivazione ampia ed esaustiva, congruamente esplicativa delle ragioni sottese all’assunta decisione.
Con il proposto ricorso, allora, il COGNOME ha, nella sostanza, inteso reiterare la proposizione di un motivo di doglianza già adeguatamente vagliato da questa Corte di Cassazione, mirando a ridiscutere il merito della decisione assunta, di fatto postulando una non accoglibile interpretazione dell’istituto ex art. 625-bis cod. proc. pen. quale strumento di indefinita rielaborazione degli esiti decisori, in chiaro contrasto con le sue connotazioni tipiche.
Ciò non può che condurre, anche sotto tale profilo, a una declaratoria dell’inammissibilità del ricorso, non potendo questa Corte di legittimità spostare l’asse della propria cognizione – come di fatto, invece, auspicato da parte dell’istante – finendo per essere non più chiamata a provvedere alla rimozione di errori percettivi di immediata evidenza incidenti sul percorso decisionale, ma a rivisitare integralmente la re-giudicanda, in un’ottica di rimozione del giudicato.
Il ricorso deve essere, dunque, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 17 settembre 2025
Il Consigliere estensore
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