Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 34510 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6   Num. 34510  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato in Albania il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/10/2024 n. 43176 della Corte di Cassazione visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME COGNOME sentita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
sentito l’AVV_NOTAIO, nell’interesse di NOME COGNOME, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
 Con il provvedimento impugnato, la Seconda Sezione della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, proposto nell’interesse di NOME COGNOME, avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Torino del 6 maggio 2024 che respingeva la richiesta di rescissione del giudicato della sentenza emessa il 6 giugno 2018 dal Tribunale di Aosta e divenuta irrevocabile il 28 febbraio 2020.
NOME COGNOMECOGNOME a mezzo del proprio difensore, ha proposto un unico motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 625-bis, cod. proc. pen., chiedendo la correzion dell’errore di fatto in cui è incorsa la sentenza della Corte di cassazione allorch ha ritenuto la «conclamata inattendibilità» del ricorrente circa i presupposti di fatto relativi all’accertamento della mancata conoscenza del processo a suo carico, con specifico riguardo al disconoscimento della firma sul ricorso per cassazione. Infatti, COGNOME COGNOME ha mai ammesso di averlo sottoscritto per assenza di un effettivo rapporto fiduciario con l’AVV_NOTAIO. 
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto presentato per motivi diversi da quelli consentiti.
Va premesso che oggetto della presente impugnazione è l’errore di fatto contenuto nella decisione di inammissibilità pronunciata dalla Corte di cassazione avverso il ricorso proposto dal condannato contro l’ordinanza della Corte di appello di rigetto di rescissione del giudicato.
Come è noto, presupposto imprescindibile per esperire il ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. è lo status di condannato, inteso come soggetto che ha esaurito tutti i gradi del sistema dell’ impugnazione ordinaria rispetto al quale si è formato il giudicato sulla decisione che lo riguarda.
Nel caso della rescissione è l’art. 629-bis, comma 1, cod. proc. pen. a menzionare la condizione di “condannato” che, in quanto tale, lo legittima a proporre il ricorso straordinario previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen.
Si tratta di un caso paradigmatico in cui il destinatario della pronuncia della Corte di cassazione, anche sotto il profilo strettamente formale, va qualificato come condannato in senso tecnico in quanto con il procedimento di cui all’art. 629bis cod. proc. pen. introduce il giudizio di rescissione per ottenere un nuovo giudizio avente ad oggetto l’accertamento della sua responsabilità penale.
Attraverso detto meccanismo, in caso di rigetto della domanda, avviene lo scrutinio di legittimità che può concludersi, come nella specie, con un provvedimento negativo – di rigetto o di inammissibilità – che conferma la condizione giuridica di partenza, cioè il giudizio di responsabilità penale del ricorrente-condannato, tanto da stabilizzare il giudicato, e ciò a prescindere dal momento in cui questo si è formato.
Come statuito dalla sentenza delle Sezioni Unite Nunziata con riferimento alla decisione di inammissibilità o di rigetto pronunciata dalla Corte di cassazione avverso il ricorso proposto dal condannato contro l’ordinanza della Corte di appello che abbia dichiarato inammissibile l’istanza di revisione (Sez. U, n. 13199 del 21/07/2016, dep. 2017, Nunziata, Rv. 269789, in part. § 8), anche nel caso della rescissione ciò che rileva è che il provvedimento della Corte di cassazione si collochi nell’ambito dell’accertamento della responsabilità penale della persona interessata e contribuisca a determinare il giudicato stesso.
Una volta ritenuto ammissibile il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la decisione della Corte di cassazione che ha definito il procedimento di rescissione del giudicato, è possibile trattare il merito della doglianza proposta rispetto alla quale deve escludersi che sussista l’errore di fatto denunciato.
L’originario ricorso di NOME COGNOME era fondato sul disconoscimento della firma apposta nel ricorso per cassazione proposto il 10 dicembre 2014, avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Torino emessa 1’11 novembre 2014 previa nomina dell’avvocato COGNOME.
La Seconda Sezione della Corte di Cassazione, senza incorrere in alcun errore percettivo, ha rigettato il ricorso su precise circostanze di fatto espressive dell conoscenza del ricorrente del processo a suo carico, per come specificamente riportate e valutate dal provvedimento impugnato della Corte di appello di Torino, tali da rendere non veritiera la diversa ricostruzione difensiva. Al riguardo è stato richiamato anche il puntuale giudizio di merito sull’inattendibilità delle conclusioni
cui era pervenuta la relazione grafologica prodotta dalla difesa per escludere genuinità alla firma apposta dal ricorrente sul ricorso per cassazione.
Ne consegue che i presunti errori denunciati non rientrano nella categoria degli errori di fatto cui si riferisce l’art. 625-bis, cod. proc. pen. in quanto questa Co ha costantemente precisato che essi sono errori percettivi causati da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione è incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio, tale da influenzare il processo formativo della volontà e viziarlo per l’inesatta percezione delle risultanze processuali tale da condurre ad una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv.221280).
L’errore di fatto, quindi, GLYPH va identificato soltanto in una fuorviata rappresentazione percettiva, con esclusione delle ipotesi in cui la decisione abbia contenuto valutativo (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Moroni, Rv. 263686), come nella specie.
L’inammissibilità del ricorso determina la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ex art. 616 cod. proc. pen., al versamento della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende
Così deciso il 17 settembre 2025.