Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10497 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10497 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Fabriano il 14/11/1978
avverso l’ordinanza del 23/04/2024 della Corte di cassazione
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l’avvocato NOME COGNOME sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME difensore di COGNOME NOME, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza n. 22121 del 23/04/2024 la settima sezione della Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME
COGNOME avverso la sentenza del 19/06/2023 della Corte di appello di Ancona, rilevando la manifesta infondatezza dell’unico motivo di ricorso, che ineriva a una pretesa nullità del giudizio di primo grado, e del conseguente giudizio di impugnazione, per l’illegittimo rigetto della richiesta di sospensione del processo con messa alla prova.
Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso straordinario ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen, il difensore di NOME COGNOME.
La difesa premette che innanzi al giudice di primo grado, all’udienza del 12/05/2021, il ricorrente, tramite il proprio difensore, aveva formulato istanza di applicazione della pena con contestuale offerta risarcitoria di euro 170.000, sulla quale il pubblico ministero non aveva prestato il consenso. Nella medesima udienza era stata, quindi, avanzata istanza di sospensione con messa alla prova, ex art. 464-bis cod. proc. pen., con deposito di copia dell’istanza di elaborazione del programma di trattamento, inoltrata all’ufficio di esecuzione penale esterna, in cui il ricorrente dichiarava espressamente di rendersi disponibile a intraprendere percorsi finalizzati alla riparazione del danno o di mediazione con la persona offesa, secondo le modalità previste dal giudice.
Il giudice, rilevato che la messa alla prova comporta, ove possibile, il risarcimento del danno cagionato dal reato, che il danno era quantificato nel capo di imputazione in un importo superiore ad euro 500.000 mentre l’imputato aveva formulato offerta risarcitoria per complessivi euro 170.000, aveva respinto l’istanza, non essendo la somma minimamente satisfattiva delle pretese delle persone offese costituite parti civili.
Deduce il difensore che illegittimamente il giudicante ha respinto l’istanza pur in difetto di un programma di un trattamento e che, del pari legittimamente, la Corte d’appello ha confermato la decisione sul punto.
La Corte di cassazione, cui la questione è stata riproposta, sarebbe incorsa in errore di fatto, nella parte in cui ha ritenuto che fosse stato elaborato un programma di trattamento da parte dell’UEPE e che su di esso fosse stata posta in essere la valutazione del giudice.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, non essendo proposto ai fini della correzione di errori materiale o di fatto contenuti nella sentenza e collocandosi, dunque, al di fuori dei limiti previsti dall’art. 625-bis cod. proc. pen.
p-Y
L’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimed previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà. Dunque, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio (ex plurimis, Sez. 3, n. 11172 del 15/12/2023, Dema, Rv. 286048 – 01).
Nel caso di specie la Corte di cassazione ha esaminato la doglianza difensiva, ritenendo che i giudici di merito avessero adeguatamente motivato in ordine al rigetto dell’istanza di messa alla prova, che, in ogni caso, non avrebbe potuto essere accolta per la manifesta sproporzione tra il danno quantificato nel capo di imputazione e la somma offerta dal ricorrente. In questo senso la Corte ha implicitamente valutato come irrilevante la mancata presentazione del programma, alla luce dell’entità del risarcimento prospettato.
Le doglianze del ricorrente, quindi, pur essendo formalmente volte a censurare un errore di fatto, richiedono in realtà un nuovo, e diverso, apprezzamento della questione di diritto esaminata dall’ordinanza impugnata.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue l’obbligo al pagamento delle spese processuali ma non la condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ravvisare una colpa grave del ricorrente, in ragione dell’equivoco in ordine al parametro di giudizio adottato della Corte di cassazione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il riqorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30/01/2025