Errore di Diritto: Quando il Ricorso per Correzione è Inammissibile
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale della procedura penale: il rimedio per la correzione dell’errore materiale non può essere utilizzato per contestare un presunto errore di diritto. Questa decisione chiarisce i confini applicativi dell’art. 625 bis del codice di procedura penale, uno strumento concepito per rimediare a sviste fattuali e non per ottenere un nuovo giudizio sulla questione giuridica. Analizziamo insieme i dettagli di questo caso per comprendere le implicazioni pratiche per chi si approccia al giudizio di legittimità.
I Fatti di Causa
La vicenda trae origine da un precedente ricorso presentato da un cittadino, che la stessa Corte di Cassazione aveva già dichiarato inammissibile con un’ordinanza del febbraio 2024. Non rassegnato, il ricorrente ha deciso di impugnare anche questa seconda decisione, avvalendosi dello strumento previsto dall’art. 625 bis del codice di procedura penale, ovvero il ricorso per la correzione degli errori materiali.
Il ricorrente sosteneva che la Corte avesse commesso un ‘errore percettivo’ nella lettura dei motivi del suo precedente ricorso. In altre parole, a suo dire, i giudici avevano frainteso il contenuto delle sue argomentazioni, giungendo a una decisione di inammissibilità basata su una premessa fattuale errata.
La Decisione della Corte di Cassazione sull’Errore di Diritto
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato categoricamente questa impostazione, dichiarando il nuovo ricorso a sua volta inammissibile. Il cuore della decisione risiede nella netta distinzione tra ‘errore percettivo’ (o materiale) e ‘errore di diritto’.
L’errore percettivo, emendabile tramite l’art. 625 bis, è una svista puramente materiale: un errore di calcolo, una data sbagliata, un nome trascritto male. Si tratta di un errore che non tocca il nucleo del ragionamento giuridico del giudice.
L’errore lamentato dal ricorrente, invece, non era di questa natura. La Corte ha stabilito che contestare il modo in cui i giudici hanno interpretato e valutato i motivi del ricorso non costituisce una svista fattuale, ma un dissenso sull’interpretazione giuridica. Questo, per definizione, è un errore di diritto.
Le Motivazioni
I giudici hanno spiegato che il rimedio previsto dall’art. 625 bis c.p.p. ha una portata ben definita e limitata. Esso serve a ‘ripulire’ la sentenza da imprecisioni oggettive, non a riaprire la discussione sul merito della controversia. Permettere che tale strumento venga usato per contestare la valutazione giuridica della Corte significherebbe trasformarlo in un inammissibile ‘terzo grado’ di giudizio di Cassazione, snaturandone la funzione.
L’errore prospettato dal ricorrente, dunque, non rientrava nell’alveo di applicazione della norma invocata. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.
Le Conclusioni
Questa ordinanza è un monito importante: gli strumenti processuali devono essere utilizzati per le finalità per cui sono stati previsti. Il ricorso per correzione di errore materiale non è una scorciatoia per contestare una decisione sfavorevole con cui non si è d’accordo dal punto di vista giuridico. L’abuso di tale strumento porta non solo a una dichiarazione di inammissibilità, ma anche a conseguenze economiche. La Corte, infatti, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, sanzionando così il tentativo di utilizzare in modo improprio un istituto processuale.
Qual è la differenza tra ‘errore percettivo’ ed ‘errore di diritto’ secondo la Corte?
Un ‘errore percettivo’ (o materiale) è una svista di fatto, come un errore di trascrizione, che non incide sul ragionamento giuridico. Un ‘errore di diritto’, invece, riguarda l’errata interpretazione o applicazione di una norma di legge e attiene al merito della valutazione del giudice.
Perché il ricorso basato sull’art. 625 bis c.p.p. è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il ricorrente lamentava un presunto errore nell’interpretazione dei suoi motivi di ricorso, che la Corte ha qualificato come ‘errore di diritto’ e non come ‘errore percettivo’. L’art. 625 bis c.p.p. può essere utilizzato solo per correggere quest’ultimo tipo di errore.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del suo ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 47091 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 47091 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 13/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN CIPRIANO D’AVERSA il 14/05/1971
avverso l’ordinanza del 22/02/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
Rilevato che COGNOME Michele ricorre ex art. 625 bis cod. proc. pen. avverso la ordinanza di questa Corte del 22 febbraio 2024 che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dallo stesso in precedenza.
Considerato che il primo e unico motivo con il quale il ricorrente censura l’errore percettivo nella lettura dei motivi di ricorso, è inammissibile perché non rientra nell’alveo dell’art. 625 bis cod. proc. pen. dal momento che l’errore prospettato dal ricorrente è un errore di diritto.
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13 novembre 2024
COGNOME Il Presidente