Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 12726 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 12726 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a FOGGIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/05/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto annullarsi la sentenza impugnata quanto al trattamento sanzionatorio e dichiararsi inammissibile, nel resto, il ricorso;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La pronunzia impugnata è stata deliberata il 23 maggio 2023 dalla Corte di appello di L’Aquila, che ha confermato la condanna a due anni e quattro mesi di reclusione inflitta in abbreviato a NOME COGNOME dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pescara per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarat fallita dal Tribunale di Pescara il 21 novembre 2017.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore di fiducia, formulando due motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso denunzia violazione di legge e vizio di motivazione perché la Corte di appello ha erroneamente reputato come già “correttamente” concessa dal Giudice di prime cure la circostanza attenuante di cui all’art. 219, comma 3, legge fall. – stimata equivalente alla circostanza aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1), legge fall. – mentre tale attenuante non era stata ritenuta dal Tribunale, che aveva, invece, concesso le circostanze attenuanti generiche in regime di equivalenza con l’aggravante suddetta. Ne consegue – sostiene il ricorrente – che vi sarebbe omessa motivazione sulle ragioni della non concessione della circostanza attenuante, che l’imputato aveva invocato nell’atto di appello – e circa le ragioni per cui ciò non aveva comportato un’ulteriore riduzione della pena. Altro difetto della sentenza impugnata consisterebbe nel fatto che si era ritenuta congrua la pena inflitta siccome «attestatasi sul minimo edittale», mentre la pena, come si legge nella sentenza di primo grado, era stata individuata in termini superiori rispetto al minimo edittale.
In pratica la Corte di appello avrebbe sposato le ragioni dell’appellante quanto alla circostanza attenuante e alla riduzione della pena, ritenendo, poi, che già il Giudice di primo grado avesse deciso in tal senso.
2.2. Il secondo motivo di ricorso – riferendosi alla sola bancarotta fraudolenta documentale – denunzia contraddittorietà della motivazione perché il giudizio di penale responsabilità sarebbe stato determinato esclusivamente da una mail che il consulente del lavoro aveva mandato al curatore – in cui si affermava di avere consegnato tutta la documentazione in suo possesso all’imputato – senza che si fosse approfondito a quali scritture contabili si riferisse la comunicazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato.
Per ragioni di ordine logico va prima affrontato il secondo motivo di ricorso – che attiene al giudizio di penale responsabilità circa la bancarotta fraudolenta documentale – motivo inammissibile in quanto versato in fatto. Milita nel senso dell’inammissibilità del ricorso, dunque, un principio di diritto più volte affermato da questa Corte, secondo cui, nel giudizio di legittimità, non è consentito invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al
fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli element di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità l mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, 3akani, Rv. 216260). Più di recente si è sostenuto che, nel giudizio di cassazione, sono precluse al Giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento del decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati d giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 Ud., dep. 2021, F.; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; pronunzie che trovano precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, COGNOME, Rv. 233780; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
E’ fondato, invece, il primo motivo di ricorso, con cui l’imputato lamenta la mancata concessione della circostanza attenuante del danno di particolare tenuità di cui all’art. 219, comma 3, legge fall. e la quantificazione della pena, non attestatasi sul minimo edittale.
Ebbene, su entrambi gli aspetti, la decisione avversata è incorsa in difetti motivazionali che ne evidenziano la manifesta illogicità.
In risposta alle doglianze dell’atto di appello che, appunto, invocavano la concessione della circostanza attenuante di cui sopra e la riduzione della pena al minimo edittale, la Corte territoriale ha fornito una risposta che evidenzia la mancata focalizzazione circa l’esatto contenuto della sentenza di primo grado.
Quanto alla circostanza attenuante, infatti, la sentenza impugnata ha specificato che essa era già stata già concessa in primo grado – aggiungendo che tale scelta era stata «corretta» mentre ciò non corrisponde alla realtà, in quanto il Giudice di prime cure aveva concesso le sole circostanze attenuanti generiche, in regime di equivalenza con l’aggravante.
Venendo al giudizio sulla quantificazione della pena, la decisione avversata ha, poi, reputato che la pena inflitta in primo grado fosse “attestata” sul minimo edittale, a dispetto del fatto che il Tribunale aveva espressamente escluso di poter partire dal minimo della pena che, dopo il giudizio di comparazione, era stata individuata in anni tre e mesi sei di reclusione.
Si tratta, dunque, di due sviste che inficiano la coerenza e la pertinenza delle risposte alle sollecitazioni provenienti dall’appellante, il che impone l’annullamento, in parte qua, della sentenza impugnata affinché la Corte di appello dì Perugia – individuata quale Giudice di rinvio – vi ponga rimedio, fornendo nuova motivazione sia sulla concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 219, comma 3, legge fall. che in relazione alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’attenuante del danno di speciale tenuità e al trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Perugia. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso 1’11.1.2024.