Sentenza di Cassazione Penale Sez. F Num. 29950 Anno 2025
Penale Sent. Sez. F Num. 29950 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/08/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Jesi il 29/06/1992
avverso la sentenza del 03/03/2025 della Corte d’appello di Ancona visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito per l’imputato l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ancona, previa dichiarazione di non doversi procedere limitatamente all’emissione delle fatture per operazioni inesistenti relativi all’anno 2014, perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione, ha rideterminato la pena inflitta a COGNOME NOMECOGNOME nella misura di anni uno e mesi sette di reclusione, perché ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 8 D. Lgs n. 74 del 2000, perché, nella qualità di titolare dell’omonima ditta individuale, al fine di consentire a terzi di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto emetteva, nel 2015, le fatture dal n. 1 al n. 73, per un importo complessivo di C 69.271,00, e, nel 2016, le fatture dal n. 1 al n. 77 dell’importo complessivo di C
73.101,00, tutte nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE. In nel corso de 2015 e del 2016.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo cinque motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla erronea applicazione dell’art. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 nel caso in cui la fattura falsa sia redatta dall’utilizzatore. La corte territoriale avre ritenuto configurabile il reato nonostante le fatture non fossero materialmente redatte dal COGNOME, ma dallo stesso COGNOME destinatario e utilizzatore delle stesse.
La norma incriminatrice di cui all’art. 8 D. L.vo 74/2000 punisce colui che, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture per operazioni inesistenti.
Nel caso, invece, in cui il documento sia contraffatto o creato ex novo dallo stesso utilizzatore, troverebbe applicazione la fattispecie di reato descritta nell’art. D.L.74/2000 che punisce colui che compie operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente, utilizzando documenti falsi o altri mezzi fraudolenti.
Nel caso di specie, i giudici territoriali avrebbero accertato che la compilazione delle fatture oggetto del procedimento era stata effettuata dal personale delle ditte del Sig. COGNOME e la eventuale esposizione fraudolenta nella fattura di un importo superiore rispetto a quello effettivamente corrisposto al COGNOME da parte del destinatario della stessa non integrerebbe il reato di cui all’art. 2 D.L.v 74/2000 (che punisce la mera utilizzazione di una fattura redatta da terzi) quanto, invece, rientrerebbe nell’ipotesi di cui all’art. 3 D.L.vo 74/2000 (che punisce qualsiasi condotta finalizzata a porre in essere operazioni simulate oggettivamente).
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione là dove la sentenza impugnata ha ritenuto provata l’inesistenza delle prestazioni oggetto delle fatture su base meramente presuntiva e motivazione contraddittoria nella misura in cui, da un lato, i giudici territoriali avrebbe rite indice della falsità della fattura l’inoperatività della ditta del COGNOME e, dall’ lato, avrebbero ritenuto che lo stesso svolgeva l’attività di ferraiolo, dato ch smentisce l’elemento presuntivo indicato in sentenza, dimostrando le effettive capacità operative dell’imputato che appaiono antologicamente scollegate da tali elementi probatori di natura presuntiva che sono stati posti alla base della decisione.
2.3. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione là dove la sentenza impugnata avrebbe ritenuto provata l’inesistenza
delle prestazioni oggetto delle fatture sul presupposto che non era oggettivamente plausibile che con l’unico autocarro di cui disponeva l’imputato, potesse effettuare la movimentazione di tutto il materiale ferroso indicato nelle fatture, valutazione che avveniva su tre annualità contestate nonostante l’annualità del 2014 sia stata dichiarata prescritta, motivazione assolutamente non coerente dal punto di vista logico e giuridico poiché ogni annualità produce la consumazione di un autonomo reato e, pertanto, la motivazione posta a fondamento della decisione doveva essere calibrata sulle peculiarità di ciascuna di esse. Travisamento della prova.
2.4. Con il quarto motivo deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla prova del dolo di evasione. La corte territoriale non avrebbe aderito alle conclusioni del Giudice di primo grado ritenendo che il COGNOME fosse assolutamente consapevole delle modalità di compilazione delle sue fatture da parte del COGNOME e che anzi ne condividesse le finalità. A fronte del riconoscimento del dolo diretto da parte della Corte d’appello, il Tribunale aveva invece riconosciuto la responsabilità dell’imputato sulla base dell’applicazione del dolo eventuale che porterebbe ad escludere la consapevolezza da parte del COGNOME della condotta criminosa del COGNOME pur ritenendo che lo stesso potesse prefigurarsi tale condotta ed il conseguente evento illecito da parte di costui. Argomenta il ricorrente che in entrambi i casi, dalle motivazioni esposte nelle sentenze non si evincerebbero argomentazioni idonee ad attribuire al COGNOME il dolo specifico di evasione. Con riferimento, quindi, all’art. 8 D.Lvo n. 74/2000, non si potrebbe di conseguenza ritenere sufficiente, ai fini della prova del dolo specifico, la mera consapevolezza della emissione di fatture per operazioni inesistenti o l’entità della imposta evasa, costituendo ciò solamente degli elementi del fatto tipico che giustificherebbe unicamente il dolo generico non certo di dolo specifico di evasione, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.5. Con il quinto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata risposta in relazione alla richiesta di applicazione della circostanza di cui all’art. 62 n. 4 cod.pen.
Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso inammissibile, in quanto il difensore ricorrente si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata ed anche in parte manifestamente infondato.
5. Il primo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato sulla base delle seguenti ragioni.
Secondo il ricorrente l’imputato non potrebbe rispondere del delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti in quanto la fattura ideologicamente falsa è materialmente redatta dall’utilizzatore.
Il ricorrente mette in discussione la sua condanna per avere “emesso” le fatture per operazioni inesistenti perché la condotta di emissione sarebbe unicamente riferibile all’utilizzatore, materiale compilatore della fattura.
La prospettazione difensiva risulta manifestamente infondata sotto tutti i profili.
L’art. 8 del D.Lvo n. 74 del 2000 punisce chi “emette” il documento fattura e presuppone che il documento “fattura” sia vero nel senso che sia stato emesso da un soggetto giuridico (persona fisica/giuridica) che costituisce il centro di imputazione della prestazione indicata (anche se oggettivamente inesistente) e sia stata emessa per consentire a “terzi” l’evasione.
Nel caso in esame, risulta accertato in fatto, e non messo in discussione dal ricorrente, che l’imputato, titolare dell’omonima ditta individuale, aveva consegnato il blocchetto in bianco delle fatture che veniva materialmente riempito, con l’indicazione della prestazione e del prezzo, dall’utilizzatore.
I giudici territoriali hanno accertato che l’imputato, titolare di una dit individuale di gestione di rifiuti ferrosi, attività svolta senza alcuna autorizzazion evasore totale, risultava, sulla scorta delle fatture emesse dalla sua ditta individuale, avere commercializzato ingenti quantità di rifiuti ferrosi negli ann 2014-2015 e 2016, come indicato nel capo di imputazione, vendendoli alla ditta individuale COGNOME o alla società COGNOME; che l’imputato aveva consegnato al Giglio i blocchetti delle fatture in bianco che venivano compilate dal COGNOME su incarico dell’imputato, come dallo stesso dichiarato.
Sulla scorta di tale accertamento, i giudici territoriali hanno argomentato la responsabilità penale in relazione alla condotta di emissione di fatture per operazioni inesistenti sul rilievo, giuridicamente corretto, che “se la fattura pe operazioni inesistenti viene materialmente predisposta da chi la emette oppure, per conto di questo, dal soggetto che la utilizza per far apparire elementi passivi fittizi” sussiste la condotta del reato.
La fattura, infatti, resta comunque riferibile al soggetto che formalmente l’ha emessa (la ditta individuale del COGNOME), anche se materialmente compilata dall’utilizzatore che ha indicato i dati ideologicamente falsi, al quale l’imputato aveva consegnato il blocchetto di fatture. L’imputato, in altri termini con la materiale consegna del blocchetto delle fatture al Giglio, al quale aveva dato incarico di compilarle, ha “emesso” le fatture, imputabili alla sua ditta individual
anche se materialmente compilate nei dati falsi dall’utilizzatore che poi ne ha fatto uso per far risultare costi fittizi nella sua dichiarazione.
La corte territoriale ha correttamente ritenuto configurabile il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti in capo all’imputato con la materiale consegna del blocchetto delle fatture poi riempito in quanto il documento fattura, da terzi compilato, era certamente riferibile alla ditta individuale del medesimo quale documento fiscale, da cui l’integrazione della condotta di emissione punita dall’art. 8 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74.
Consegue, dal corretto inquadramento giuridico, che il fatto contestato all’imputato non possa essere sussunto nel diverso reato dichiarativo di cui all’art. 3 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, non ricorrendone i presupposti normativi, e, sotto questo profilo, la censura è manifestamente infondata.
5. Il secondo e terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili perché orientati in fatto e diretti a contestare la motivazione della sentenza impugnata che ha ritenuto l’inesistenza delle prestazioni indicate nelle fatture in oggetto.
La sentenza impugnata, in continuità con quella di primo grado, ha argomentato che la ditta dell’imputato non poteva commercializzare i quantitativi di materiale ferroso indicati nelle fatture (che riportano sia il peso del material che il prezzo di acquisto) sulla scorta di elementi obiettivi, e non presunzioni, risultanti dagli accertamenti svolti. Segnatamente la ditta individuale del COGNOME che risultava svolgere attività di commercio, raccolta e trasporto di rifiuti metallici, non risultava essere in possesso di autorizzazioni ambientali all svolgimento dell’attività; risultava evasore totale, non avendo mai corrisposto imposte, era priva di contabilità, non aveva effettuato acquisiti; operava in assenza di dipendenti; la sede era presso la residenza dell’imputato, non aveva nessun luogo ove stoccare gli ingenti quantitativi di materiali indicati nelle fatture la ditta aveva un solo autocarro con portata limitata insufficiente a movimentare i quantitativi indicati nelle fatture; i pagamenti avvenivano per contanti o assegni monetizzati in banca. Sulla scorta di tali obiettivi dati, i giudici del mer ritenevano che la ditta del COGNOME operava quale cartiera ovvero soggetto intento esclusivamente o prevalentemente a fornire a terzi documenti fiscali fatture passive – utilizzate dal terzo (il COGNOME) per esporre elementi passivi fit nelle dichiarazioni fiscali relative agli anni 2014- 2016, calcolati, contrariamente alla deduzione difensiva, anno per anno, rispettivamente: per l’importo complessivo di C 224.258 per l’anno 2014, di C 69.217,00 per l’anno 2015 e di C 73.101,00 per l’anno 2016.
La motivazione non solo non presenta profili di illogicità manifesta né di carenza, ma è oltremodo adeguata e congrua, ed è fondata su elementi probatori presenti nell’orizzonte cognitivo dei giudici del merito non suscettibile di diversa
rivalutazione in questa sede. Anche il denunciato errore di calcolo (15 quintali sono pari a Kg. 1500 e non come indicato C 15.000), non conduce a diversa conclusione in quanto non inficia il calcolo finale che risulta corretto come indicato in 468.000 (cfr. pag. 7 sentenza di primo grado).
Il quarto motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.
La corte territoriale ha argomentato che l’imputato era perfettamente in grado di comprendere che le fatture emesse non corrispondevano alla realtà economica rappresentata, per quantità e qualità del materiale che risultava compravenduto, risultando confermato dalle stesse dichiarazioni dell’imputato (cfr. pag. 9) escludendo, siccome priva di elementi a sostegno, l’affermazione difensiva della sovrafatturazione all’insaputa, peraltro smentita dalle stesse dichiarazioni rese dal COGNOME che aveva ammesso che “qualcosa in più o in meno” era indicata. La corte territoriale ha reso una motivazione congrua e corretta in diritto, là dove ha fatto applicazione dei principi reiteratamente espressi dalla giurisprudenza di Questa Corte di legittimità secondo cui in tema di reati finanziari e tributari, l’evasione d’imposta non è elemento costitutivo del delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ma caratterizza il dolo specifico normativamente richiesto per la punibilità dell’agente, essendo necessario che l’emittente delle fatture eitarZLia~2.~5 si proponga il fine d consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ma non anche che il terzo realizzi effettivamente l’illecito intento (Sez. 3, n. 42819 dell’01/10/2024, Giardino, Rv. 287093; Sez. F., n. 31142 dell’11/08/2022, COGNOME, Rv 283709).
Il fine di perseguire un risultato, sotto il profilo psicologico, può esser integrato anche dalla consapevolezza, da parte del soggetto agente, della obiettiva direzione e dalla concreta idoneità della sua condotta a realizzare detto risultato come conseguenza certa o comunque altamente probabile della stessa, e dalla volontà, ciononostante, di porre in essere tale condotta e il fine di «consentire» l’evasione a terzi, secondo un’accezione linguistica, può essere identificato anche nel fine di “permettere” l’evasione a terzi, e, quindi, nel fine di mettere disposizione degli stessi uno strumento, le fatture per operazioni inesistenti, utile a realizzare l’evasione.
Risulta, perciò, congrua e corretta la motivazione della sentenza impugnata là dove sulla scorta dell’accertamento di fatto secondo cui l’imputato aveva consegnato il blocchetto delle fatture riempite dal terzo utilizzatore nella consapevolezza che, secondo il dichiarato, “qualcosa in più o in meno” era indicata, ha argomentato la consapevolezza e volontà di realizzare di una condotta finalizzata a consentire al terzo che aveva compilato la fattura ideologicamente falsa l’evasione. Invero, chi forma una fattura relativa ad operazioni inesistenti e poi la consegna ad altro soggetto, prevedendone come certo o altamente probabile
il successivo utilizzo da parte del medesimo a fine di risparmio delle imposte,
“vuole” mettere a disposizione del destinatario un “mezzo” fisiologicamente funzionale ad “abbatterne” il carico fiscale.
7. Il quinto motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.
Il ricorrente si duole della mancata risposta alla richiesta, formulata in via del tutto generica nelle richieste formulate in via subordinata nell’atto di appello,
del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod.pen.
Va rammentato che il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare d’ufficio una o più circostanze attenuanti, non accompagnato
da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso in cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, qualora l’imputato, nell’atto di appello
o almeno in sede di conclusioni del giudizio di appello, non abbia formulato una richiesta specifica, con preciso riferimento a dati di fatto astrattamente idonei
all’accoglimento della stessa, rispetto alla quale il giudice debba confrontarsi con la redazione di una puntuale motivazione (Sez. 3, n. 10085 del 21/11/2019, Rv.
279063 – 02). In assenza di specifica richiesta il motivo risulta manifestamente
infondato.
8. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 26/08/2025